Fra scioperi, annessi e connessi c'è voluto un po' prima che la stagione 2 di 1923 si palesasse in streaming su Paramount+, ma, alla fine, è arrivata. E adesso sappiamo che, dopo settimane e settimane d'interviste a un cast "birbantello" che si è divertito a prendere in giro la stampa rispondendo in maniere barocche e sibilline alle domande su un'eventuale terza stagione, questo particolare tassello dello Sheridanverse è davvero giunto a conclusione.
E lo ha fatto in grande con una puntata di quasi due ore di durata che, caso vuole, è arrivata in contemporanea a un altro finale di stagione "sotto steroidi": quello di The White Lotus 3. Insomma: la domenica appena trascorsa è stata una giornata da ricordare nell'ambito di una serialità che, al netto di crisi creative ventilate da più parti, continua a dimostrare di avere davvero tanto da dire e da dare al pubblico.

Certo, bisogna anche avere l'onestà di ammettere che non tutti possono vantare di avere la stessa bravura di un Taylor Sheridan o di un Mike White, tanto per citare i diretti interessati, ma da parte nostra non possiamo fare altro che ringraziarli di avere scelto i tempi narrativi delle serie TV al posto di quelli più ristretti del cinema perché così sono riusciti a coniugare respiro e ritmi delle storie raccontate al valore produttivo, alle performance del cast e alla scrittura.
Guerra totale
La seconda stagione di 1923 è stata una vera e propria odissea per tutti i personaggi coinvolti. In senso figurato, come per Jacob e Cara Dutton che, in Montana, devono resistere agli attacchi di uno spietato Donald Whitfield sempre più deciso a impossessarsi del loro ranch. La sua idea è quella di trasformare l'area in un paradiso per la nascente impresa del turismo e, per raggiungere il suo scopo, è disposto a far fuori tutta la famiglia Dutton e chi gravita intorno a essa.
Per altri l'odissea è praticamente letterale. C'è Spencer Dutton col suo viaggio verso casa che rischia di finire tragicamente proprio all'arrivo del treno su cui sta viaggiando: ad attenderlo c'è lo zio Jacob, ma anche un gruppo ben nutrito di gente disposta a eliminarlo su ordine del già citato Whitfield. C'è Alexandra Dutton che, come vi abbiamo già spiegato in un altro approfondimento, dopo essere stata separata dal marito Spencer è decisa a raggiungerlo in Montana costi quel che costi. Una traversata oceanica prima e continentale poi che le presenterà un conto salatissimo.
E poi c'è Teonna Rainwater che, dopo essere riuscita a scampare dalle grinfie di Marshall Kent e Padre Renaud, si ritrova ad avere degli alleati inattesi che l'aiuteranno a evitare la galera per gli omicidi che ha commesso. D'altronde, si trattava di persone colpevoli di aver abusato di lei in ogni modo per cui la sua era una legittima difesa più che lecita.
Due ore di vero e proprio kolossal
Se siete fedeli spettatori e spettatrici di quello che Taylor Sheridan architetta per il suo universo western nato con Yellowstone ormai dovreste saperlo: il nostro non è uno che ama le mezze misure o il basso profilo. Che si tratti di lanciare coltellate a mezzo stampa a Kevin Costner o di far spendere alla Paramount vagonate di milioni di dollari per produrre una sua serie, Sheridan ha ormai raggiunto uno status che, in televisione, è paragonabile a quello che uno come Christopher Nolan ha al cinema: può fare sostanzialmente tutto quello che vuole perché tutto quello che fa diventa oro.

E questo è anche più evidente con i valori produttivi messi in campo con serie come 1883 e 1923 che, essendo ambientate decenni e decenni prima di Yellowstone, hanno bisogno di un livello di ricostruzione storica che rende anche più palpabile. Analizzato in quest'ottica, 1923 assume i contorni del riuscitissimo kolossal western con forti tinte melodrammatiche in cui è possibile vedere come ogni dollaro speso sia andato a buon fine.
A partire da un cast che farebbe impallidire quello di qualsiasi produzione cinematografica di alto profilo. Già il fatto di rivedere insieme Harrison Ford e Helen Mirren a 36 anni di distanza dall'uscita nelle sale di Mosquito Coast di Peter Weir è qualcosa di emozionante. Solo che poi, a toccare le corde di chi guarda 1923, c'è, in aggiunta alle performance del cast in cui ogni singolo attore e attrice è encomiabile, una scrittura che è capace di dire molto su questa finestra temporale in cui il western way of life classicamente inteso stava cedendo il passo alla modernità.

Una modernità fatta di nuove comodità come la luce elettrica, il telefono e il fatto di potersi fare la doccia dentro casa usando l'acqua che arrivava grazie all'acquedotto, ma, soprattutto, di un'avidità decisa, anche al costo di far scorrere ettolitri di sangue, a tagliare i ponti con uno stile di vita ritenuto ormai antiquato. Ma molto più in armonia con l'ambiente, la natura e quelli che sono i suoi ritmi.
Per girare le fila di questo spaccato nella saga dei Dutton, Sheridan mostra i muscoli con un episodio di quasi due ore che scorrono via che è un piacere.
Una natura estrema, ostile, mortifera. Da salvaguardare.
Natura madre e matrigna. Un dibattito sempre aperto e stimolante che a quanto pare è di fondamentale importanza anche per Taylor Sheridan. Da Yellowstone a 1923, passando per la meravigliosa serie antologica 1883, i personaggi delle sue storie sono sempre messi in relazione con un habitat che intendono preservare riconoscendo l'importanza di uno stile di vita che deve adattarsi ai suoi ritmi o distruggere per puro e semplice lucro. O che magari si ritrovano a dover attraversare per cause di forza maggiore, come nel viaggio dei personaggi di 1883 o la fuga di Teonna in 1923. Un ambiente che può garantire la sopravvivenza di chi se ne prende cura, come le varie generazioni di Dutton allo Yellowstone Ranch, o portare al campo santo.

Se 1883 era l'inizio di questo discorso, 1923 è il necessario passaggio alla definizione di quello per cui il John Dutton di Kevin Costner ha combattuto in maniera così caparbia da essere fatto fuori dalla nuova generazione di affaristi decisi a deturpare gli scenari naturali del Montana a uso e consumo del Dio Dollaro. Pensate a una versione western della Trilogia prequel di Star Wars. Solo scritta e recitata meglio. Sappiamo già cosa accadrà poi, ma è impossibile non appassionarsi comunque alla trama.
Una riflessione sull'avarizia che, in aggiunta alla finestra temporale di svolgimento, non può non portare a un paragone con Killers of the Flower Moon. Thriller western di un regista come Martin Scorsese, che in materia di cultura cinematografica e conoscenza di pellicole appartenenti a questo genere ne sa sicuramente più del più dotto fra i cinefili, ha comunque partorito un polpettone sgangherato in cui non funziona né la supposta denuncia dell'avidità dell'uomo bianco, ne le performance dell'importante cast. Si perde tutto in una storia troppo diluita e dilatata in cui fra l'altro, le vittime Osage passano del tutto in secondo piano. In 1923 ogni sfumatura di questo tema viene toccata e analizzata a dovere anche in relazione alle vessazioni patite dai nativi nelle scuole gestite dalla chiesa cattolica.

Tutto questo deflagra in un finale di serie più cinematografico di buona parte di ciò che, oggigiorno, arriva nelle sale. La tensione crescente che aleggia sia nell'attacco al ranch che all'agguato teso a Spencer alla stazione di Livingstone, le piacevoli cessioni agli aspetti più smaccatamente melodrammatici della storia d'amore fra Spencer e la vessatissima Alexnadra.
Ma come già accaduto con i finali di 1883 e quello di Yellowstone, a emozionare è in primis il ragionamento ambientale che viene fatto che non ha nulla dello smaccato didascalismo di un Avatar 1 o 2. È una riflessione più profonda su come anche nell'inevitabile processo di modernizzazione delle nostre esistenze, non si dovrebbe perdere di vista il fatto che siamo abitanti, al massimo custodi, ma di sicuro non i proprietari della terra sulla quale viviamo (anche a prescindere dai contratti firmati). Anche perché da queste parti siamo solo di passaggio.
Conclusioni
La prima stagione di 1923 pareva quasi partita in sordina rispetto a 1883 o Yellowstone. La seconda è un autentico tripudio, un kolossal western che dimostra ancora una volta che il racconto americano per eccellenza è ancora vivissimo ed estremamente vegeto grazie a un gigante come Taylor Sheridan. Un autore che sa maneggiare tutti i registri necessari a un affresco del genere, dramma, azione, melò, e che nelle sue serie sullo Yellowstone Dutton Ranch ha dimostrato una coerenza invidiabile nel portare avanti una riflessione sul rapporto che lega l'uomo all'ambiente. Un'imponenza della messa in scena che fa impallidire il 90% dei tentpole che hollywood porta in sala, una partnership sempre più consolidata con il direttore della fotografia e regista Ben Richardson, che riesce a trasportare magistralmente sullo schermo quello che Sheridan scrive e un cast in cui tutti recitano in maniera sopraffina. Su tutti, inevitabilmente, Harrison Ford e Helen Mirren che in più di un momento, specie nel finale di serie, fanno letteralmente venire i brividi per quanto sono bravi e “in parte”. Dovremmo esserci abituati, eppure fa strano vedere quanto cinema ci sia nelle serie Tv di Taylor Sheridan.
Perché ci piace
- La stagione 2 di 1923 è decisamente più centrata della prima
- Valori produttivi fuori scala
- Il cast, tutti, nessuno escluso, è sensazionale
- La scrittura, la messa in scena, la gestione dei momenti di tensione e di dramma
Cosa non va
- - Un po' di eccessivo accanimento nella storyline di Alexandra, ma anche questo è Taylor Sheridan