Nel momento in cui ci accingiamo a scrivere questa recensione di 1917, il film di Sam Mendes ha appena vinto due Golden Globe, quello per il miglior film e per la miglior regia. Due premi molto importanti e significativi, che spianano anche la strada verso i ben più prestigiosi Oscar, ma tutt'altro che sorprendenti o inaspettati, considerato come questo film abbia ricevuto critiche ottime dalla stampa internazionale fin dal suo debutto.
Anche perché si tratta di un film che oltre a raccontare la Storia, in primis celebra il cinema con un'operazione filmica di titanica ambizione: grazie a quella sensazione più unica che rara di trovarsi davanti a un unico piano sequenza, 1917 diventa un'esperienza sensoriale unica nel suo genere, nonché un evento cinematografico da essere vissuto e goduto necessariamente in sala. Il film di Sam Mendes racconterà pure di una guerra ormai lontana un secolo, ma, in modo più o meno consapevole, ne rilancia una nuova e ben più vicina ai nostri tempi, quella tra la sala cinematografica e lo streaming, perché sfidiamo chiunque a vedere un film come questo nel proprio salotto di casa e vivere lo stesso tipo di esperienza. Siamo certi che proprio questo aspetto sarà tenuto molto in considerazione dai più strenui difensori della sala e vedremo se la prima battaglia, quella combattuta la notte degli Oscar, lo vedrà trionfare contro l'apparente predominio di Netflix.
Un trama tipica da film di guerra, ma con un messaggio attualissimo
Nella sua essenza più pura, 1917 é comunque un film di guerra che si propone di raccontare la Storia e più precisamente un episodio poco conosciuto, e certamente poco sensazionalistico, della prima guerra mondiale. La sceneggiatura firmata da Sam Mendes e Krysty Wilson-Cairns (ispirata ai racconti reali del nonno del regista stesso) comincia nel nord del Francia, sul fronte inglese, con due giovani caporali che sognano la fine della guerra o quantomeno un (breve) permesso per tornare dalle loro famiglie. Le loro speranze vengono presto interrotte da ordini dall'alto, quando un Generale affida loro una missione quasi impossibile: raggiungere un altro battaglione, ben oltre la terra di nessuno e il fronte tedesco.
Lo scopo è quello di consegnare al comandante un importante messaggio: annullare un attacco che, dopo le nuove informazioni in possesso dagli inglesi, sarebbe semplicemente suicida, e salvare così la vita di oltre 1600 uomini, tra cui il fratello di uno dei due protagonisti. L'impresa é tanto nobile quanto ardua, i pericoli che i due giovani troveranno sulla loro strada sono molteplici e forse facilmente immaginabili da chiunque abbia una certa dimestichezza con il genere bellico, ma quello che rende 1917 un film diverso da molti altri è la mancanza di quel senso di eroismo e quindi anche di epica al termine del viaggio. Per i nostri protagonisti non c'è un dittatore malvagio da detronizzare, non ci sono bandiere da issare né tantomeno campi di concentramento da liberare, la loro missione é semplicemente quella di recapitare un messaggio e impedire, ma solo temporaneamente, uno spargimento di sangue inutile. Ma nella Grande Guerra, anzi in qualsiasi guerra, non può che voler dire rimandare l'inevitabile. Se c'è un film che racconta al meglio l'inutilità della guerra e del sacrificio di chi effettivamente la combatte, quel film é proprio 1917. E se c'è un momento storico in cui un messaggio del genere é necessario, quel momento, ahinoi, è proprio questo.
Eroi invisibili, nuovi talenti e un cast di non protagonisti da sogno
La forza dello script di Sam Mendes sta tutta qui, l'aver scelto di raccontare una guerra complessa e dalle gravissime conseguenze, attraverso una storia minimalista e due protagonisti quasi anonimi e insignificanti. I racconti del nonno (alla cui memoria il film è dedicato) devono aver condizionato in modo significativo l'approccio di Mendes al genere ed é così che questo 1917 diventa forse il film di guerra più vicino a quei milioni di soldati che non hanno mai vinto medaglie o compiuto chissà quali grandi imprese memorabili, ma sono stati i veri (sfortunati) protagonisti di questi tragici avvenimenti: le vittime o, se preferite, dei veri e propri "eroi non celebrati".
Tutto questo non vuol certo dire che gli attori in 1917 non sia importanti, tutt'altro: Dean-Charles Chapman (l'avevamo già visto ne Il trono di spade nel ruolo di Tommen) e soprattutto l'astro nascente George MacKay (Captain Fantastic e 22-11-1963) sono perfetti nel riuscire a rendere le paure ma anche la determinazione di questi due ragazzi chiamati ad un'impresa in cui nemmeno loro inizialmente riescono a credere, convinti quasi di essere stati mandati loro stessi al macello. Così come sembrano non crederci tutti coloro che incontreranno sul loro cammino, soldati di vario rango e con alle spalle esperienze completamente diverse (e attori del calibro di Colin Firth, Benedict Cumberbatch, Mark Strong, Andrew Scott e Richard Madden), ma che raccontano tutti la stessa storia: l'inevitabilità della guerra e la triste consapevolezza che per loro non ci sarà mai una vera fine, se non attraverso la morte. L'eroe vero non è quindi chi conquista la medaglia o porta il proprio schieramento alla vittoria, ma semplicemente chi riesce a sopravvivere per affrontare un nuovo giorno e continuare a sperare di tornare, infine, dai propri cari.
La guerra in piano sequenza: un unico incubo senza pause
Se guardiamo però 1917 non per la storia e il messaggio che racconta, ma per come lo racconta, è evidente che ci troviamo davanti a un'impresa (cinematografica) davvero senza precedenti. Ed è evidente che l'eroe in questo caso sia uno ed uno soltanto: il direttore della fotografia Roger Deakins. Proprio perché ha recentemente vinto il suo primo Oscar (per Blade Runner 2049, dopo 14 nomination!) e sappiamo bene che l'Academy difficilmente ama ripetersi a così breve distanza, noi ci sentiamo di proporre una vera e propria statua a colui che reso possibile questa esperienza più unica che rara rappresentata da 1917. E ha trasformato quello che poteva essere un film come tanti in un un'opera che verrà ricordata, studiata ed esaminata per decenni.
Di piani sequenza incredibili ne abbiamo visti tanti negli ultimi anni, ma quello che Deakins riesce a fare in questo film non ha eguali: non solo ci trasporta con apparente semplicità in un viaggio allucinante attraverso campi di battaglia pieni di cadaveri e animali in putrefazione, fiumi in piena, villaggi e bunker abbandonati e privi di illuminazione, ma la sua macchina da presa riesce sempre a soffermarsi anche sui volti degli attori, a cogliere le loro straordinarie performance ricche di sfumature. Tutto questo senza staccare quasi mai, se non in poche occasioni che fanno da raccordo e permettono a tutti di riprendere fiato e ricominciare. Ma la sensazione (ancor di più per chi non è abituato a notare certi "trucchetti") è davvero quella di un'unica e continuata scena in cui tanto i personaggi sullo schermo che gli spettatori in sala non hanno nemmeno un attimo di respiro. Da "semplice" film di guerra, 1917 si trasforma così quasi in un thriller/horror, ma con una messa in scena da kolossal.
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Se è vero che, come dicono alcuni, la vita è un unico piano sequenza, a maggior ragione lo stesso vale per la guerra, perché sul fronte non esistono momenti in cui puoi rilassarti o distrarti, molte volte gli avvenimenti più importanti succedono anche fuori schermo. Esattamente quello che accade a metà film mentre uno dei protagonisti va semplicemente a prendere dell'acqua: è una sequenza che comincia nel modo più spettacolare possibile, con un aereo che precipita a pochi centimetri da "noi", ma il tocco di classe è appunto nella scelta di non mostrarci direttamente il colpo di scena, ma farcelo solo subire. L'orrore maggiore sta proprio nel non avere controllo o consapevolezza di tutto quello che accade attorno a noi: la mancanza di un qualsiasi montaggio o controcampo ci mette nelle stesse, spaventose, condizioni del protagonista.
La guerra di Sam Mendes e la necessità di reinventare i generi
La regia e la messa in scena di Sam Mendes è tanto precisa e studiata a tavolino, quanto in grado però di riprodurre proprio quella sensazione di imprevedibilità che i protagonisti vivono sulla loro pelle dal primo momento in cui superano la trincea e si espongono al fuoco nemico. I movimenti della macchina da presa di Deakins non sono mai nervosi, ma eleganti come il genere e la filmografia del regista richiede, eppure la tensione che il film riesce a trasmettere è comunque altissima. Merito anche dell'ottima colonna sonora di Thomas Newman, altro elemento essenziale per la riuscita del film che Mendes riesce a sfruttare davvero al meglio.
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Ha un unico difetto il suo 1917, ed è quello di essere arrivato leggermente in ritardo. Perché se è vero che il suo film si rifà anche a grandi classici del passato (vedi Orizzonti di gloria di Kubrick) e che recentemente la prima guerra mondiale al cinema è stata poco trattata, é altrettanto vero che negli ultimi 20 anni il cinema bellico è riuscito a regalarci comunque diversi capolavori, ma soprattutto opere (pensiamo allo spielberghiano Salvate il soldato Ryan, alla miniserie HBO Band of Brothers, allo stesso Dunkirk di Nolan) che hanno segnato in modo indelebile il genere. Questo 1917, grazie alla sua immensa tecnica e alla presenza di molteplici scene destinate davvero ad essere a lungo ricordate per la bellezza e il crudo realismo, si aggiunge alla prestigiosa lista, ma al tempo stesso deve tantissimo a questi titoli, perché senza ciascuno di essi non sarebbe probabilmente mai esistito. Il film di Sam Mendes non inventa nulla insomma, ma fa tutto talmente bene che viene spontaneo chiedersi a cosa davvero serva l'originalità quando hai già a disposizione così tanta tecnica e talento.
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Conclusioni
Come avrete capito da questa recensione di 1917, il film di Sam Mendes é tecnicamente prodigioso e il lavoro di Deakins alla fotografia é tra le cose migliori che ci sia mai capitato di vedere in sala in tutta la nostra vita. Per fortuna il film non si limita solo a questo, ma ha anche una storia dal messaggio interessante (seppure poco originale) e molto ben interpretata da un giovane talento come George MacKay. A chiusura di un'annata di otttimo cinema in cui i grandi autori sembravano destinati a spartirsi i principali premi, ecco arrivare un film di genere in grado di mettere d'accordo tutti, critica, pubblico e addetti ai lavori.
Perché ci piace
- La fotografia di Roger Deakins lascia senza parole: dopo alcune scene viene spontaneo chiedersi come abbia fatto a filmarle.
- Un film tecnicamente perfetto, ben recitato, dall'ottima colonna sonora e ricchissimo di momenti di cinema indimenticabili e unici nel suo genere...
Cosa non va
- ... manca giusto un briciolo di originalità in più e lo stesso tipo di ambizione anche da un punto di vista narrativo. Ma vuol dire davvero cercare il pelo nell'uovo.