Gioie, dolori, difficoltà, successi e insuccessi, tanti dubbi, la vita è fatta soprattutto di questo. Ne sa qualcosa Carlo Verdone, trent'anni di onorata carriera dietro e davanti la macchina da presa, erede del grande Sordi, portavoce e rappresentante di una comicità mai scontata, verace, semplice, romana ma mai volgare, e perchè no, spesso amara. Dopo il mezzo flop di Grande, grosso e... Verdone e la partecipazione straordinaria in Italians, il grande Carlo paradossalmente ci regala uno dei suoi film più maturi e commoventi proprio nell'anno in cui viene a mancare il suo adorato padre Mario, una guida affettiva oltre che professionale, novantaduenne illustre critico d'arte, insegnante di storia del Cinema, poeta, scrittore e saggista di fama internazionale. E' dedicato a lui Io, loro e Lara, il film che per assurdo segna la rinascita della vena artistica di Carlo Verdone, commovente, corale, ben recitato dagli attori tutti ma in primis dal caro vecchio Carlo che torna se stesso dopo anni di 'riciclaggi' di personaggi visti e rivisti e di poca libertà 'in mano' a produttori un po' invadenti.
Di questo e di molto altro ci ha parlato stamattina Carlo Verdone, che accompagnato, dal Presidente e Amministratore Delegato di Warner Bros. Entertainment Italia Paolo Ferrari e dal cast al completo composto da una Laura Chiatti in versione sexy di nuovo bionda dopo la parentesi bruna delle riprese, la bravissima Anna Bonaiuto, un inedito Marco Giallini, e a chiudere Angela Finocchiaro e Sergio Fiorentini, che nel film ci regalano due personaggi davvero pittoreschi.
Il film, distribuito da Warner Bros. in 650 copie a partire dal 5 gennaio prossimo (uscita che originariamente era fissata per l'8 ma che poi per via del posticipo di Avatar al 15 gennaio è stata anticipata) verrà anche proiettato in assoluta anteprima nazionale sabato 2 gennaio alle ore 16 per i terremotati de L'Aquila nell'Auditorium Scuola Guardia di Finanza di Coppito - una promessa fatta in estate da Verdone agli aquilani che egli ha voluto a tutti i costi mantenere.
Carlo Verdone: Inutile dirvi che per me Io, loro e Lara è un film molto importante e particolare, mi sento di dire anche coraggioso, giocato interamente sui mezzitoni e con al centro argomenti molto delicati. Il protagonista è un sacerdote, Padre Carlo Mascolo, missionario in Africa in crisi di fede che decide di tornare in Italia per parlare di questi suoi turbamenti con la sua famiglia e con i suoi superiori. Toglietevi dalla mente la caratterizzazione del prete che avete visto in tanti miei film, sarebbe stata una pazzia farlo in quel modo, volevo che fosse un film serio sui sacerdoti di oggi che sono molto simili a quello che avete appena visto. Ho avuto anche l'approvazione delle istituzioni religiose cui ho chiesto di darmi un consiglio. E' la storia di un uomo per bene, che conduce una vita retta ma che ad un certo punto viene colto da una crisi e torna a casa trovando una famiglia completamente dissestata che tutto riesce a dargli fuorchè il conforto che egli cercava.
Non dev'essere stato facile superare la grave perdita che la tua famiglia ha subito durante le riprese...
Carlo Verdone: Il mio sentito grazie va alla Warner che ha creduto in questo progetto sin dall'inizio, pur non essendo un film estremamente commerciale, ma soprattutto hanno creduto in me e mi sono stati molto vicini nel momento di grande dolore che ho attraversato quando è venuto a mancare mio padre. Ricordo che nell'ultimo periodo mi rimproverava e mi diceva "Carlo, non venire più a trovarmi sennò va a finire che me lo sbagli 'sto film", e vi assicuro che sapere che in questa sala con noi oggi a vedere il film lui non c'è, mi riempie di malinconia. L'ho dedicato a lui, per ricordarlo e ringraziarlo di tutto quello che mi ha insegnato.
Questo tuo nuovo film ci dice molto di cosa è diventato oggi il nostro paese, si parla senza troppa pesantezza e senza mai pigiare il pedale sul sociale o sulla politica, degli immigrati e del nostro rapporto con loro. Qual'è la tua personale idea delle relazioni tra italiani e immigrati? Cos'hai voluto dirci su questo tema con il tuo film?Carlo Verdone: L'Italia di oggi la vedo come un paese diffidente, forse dire razzista sarebbe esagerato, ma a volte quello che accade è così crudo che può degenerare in una forma velata di razzismo, non ci sono strutture di accoglienza che funzionino decentemente, non c'è quella cultura europea che hanno paesi come la Francia e la Germania. Sapete quanti turchi ci sono oggi in Germania? Qualche decennio fa era impensabile una cosa del genere, ma loro ce l'hanno fatta. L'Italia è un paese molto diviso, c'è un contrasto molto forte tra gli schieramenti politici e secondo me è un male in questo momento. Il mio piccolo messaggio finale ha voluto trasmettere proprio quello che oggi manca, un'immagine di concordia, di quieto vivere, di tolleranza, di sapersi accettare l'un l'altro. Sicuramente questa è una parte importante del mio film, avevo bisogno di raccontare queste cose, le sentivo dentro.
Come hai conosciuto Laura Chiatti e soprattutto perchè l'hai voluta bruna?
Carlo Verdone: Ho incontrato per la prima volta Laura due anni fa alle giornate professionali di Sorrento, le dissi "dobbiamo fare un film insieme", e lei senza battere ciglio mi rispose "ma magari!". La consideravo già allora una giovane attrice con un bel temperamento e poi è stata solo una formalità, Ferrari ci ha fatto da trait d'union e abbiamo dato vita al film. Perchè l'ho voluta bruna? Diciamo che se a Laura metti in testa un gatto è sempre bellissima, il direttore della fotografia Danilo Desideri aveva quasi un orgasmo ogni volta che doveva illuminarla, mi piaceva castana perchè la sentivo più vicina a me, più semplice, con lo scuro vengono fuori meglio gli occhi, mi piaceva che il suo volto rispecchiasse la quotidianità e non la volevo che lo spettatore la vedesse solo come una femme fatale. Per me è stata una grandissima scoperta, ho capito sin dai primi giorni di che pasta era fatta, è una ragazza molto umile, con tanto entusiasmo, molto professionale e positiva.
Come hai scelto gli altri attori?Carlo Verdone: Marco Giallini l'avevo visto in tanti film e telefilm e mi ero accorto di lui, dei suoi tempi recitativi e ho voluto provarlo per la prima volta in un ruolo veramente e puramente comico. E' bravissimo in ruoli drammatici ma sul set mi ha lasciato a dir poco sbalordito. Di Anna Bonaiuto che devo dire, è una delle nostre migliori attrici teatrali, quando reciti con lei la sera prima ti devi preparare non puoi andare allo sbaraglio, è perfetta in tutto. Angela Finocchiaro è stata veramente straordinaria nel ruolo della psicologa dei servizi sociali, specialmente nelle scene finali in cui cerca di sedurmi ha fatto quasi tutto lei, io ero in una condizione psicologica terribile per le notizie che arrivavano di mio padre e in quelle scene credo si possa leggere il mio sfinimento, forse per questo sono venute così bene. Di Sergio Fiorentini vi posso dire che ho trovato in lui una lucidità impressionante, quando si cerca un attore di una certa età è difficile trovarlo con queste caratteristiche.
E' un film molto malinconico ma senz'altro anche uno dei tuoi film più ispirati, si racconta di un uomo mosso da una grande dignità e da una grande umanità, doti quasi assenti in tutti gli altri personaggi, ci puoi raccontare come è nato?
Carlo Verdone: Oggi secondo me la parola etica è di grande avanguardia e non è vecchia nè tanto meno polverosa. Viviamo in un momento in cui sentiamo di aver perso non solo il senso etico delle cose ma anche la civiltà. Avevo voglia di raccontare la storia di una persona per bene, non il solito cialtrone borghese a caccia di donne e di corna, sono attento alle critiche e alle esigenze del pubblico e sentivo che in questo momento il mio pubblico aveva bisogno di qualcosa di diverso. Insieme con i miei due co-sceneggiatori Francesca Marciano e Pasquale Plastino abbiamo pensato che la figura di un sacerdote poteva essere interessante, uno di quelli moderni che stanno a contatto con i fedeli nelle periferie difficili e che hanno un rapporto molto importante con la gente, quelli che non parlano dal pulpito ma in mezzo alla strada, molti di loro vengono da esperienze missionarie e non sono solo predicatori o crociati dell'etica.
Cosa pensi tu di questi sacerdoti cosiddetti moderni?Carlo Verdone: Sono persone come noi, che dopo cinque minuti ti dimentichi che sono preti, io ho diversi amici sacerdoti e parliamo di tutto, a volte mi turbano, mi mettono un po' in difficoltà e mi fanno riflettere, altre volte non siamo d'accordo su alcune cose, e volevo raccontare proprio questo. C'è una parte buona della Chiesa che avevo voglia di indagare, e volevo farlo in una commedia che avesse al centro un personaggio dall'animo mite e tranquillo, in contrapposizione allo schifo che vediamo in giro per il mondo ogni giorno, un mondo totalmente amorale in cui le relazioni sociali sono diventate difficili. E' lui che alla fine rimette a posto il mosaico della sua famiglia e che aiuta tutti a trovare il proprio equilibrio.
Raccontato così il film ci appare ancor più personale di quanto potesse sembrare a fine visione...
Carlo Verdone: Si, è il frutto di una mia necessità, di una cosa che volevo fare e che sentivo in questo momento della mia vita, se avessi fatto un altro film 'su commissione' che non fosse venuto da me non mi sarei divertito e non mi divertirei più a fare il mio lavoro. Sono arrivato ad un punto che o faccio veramente quello che voglio io oppure chi se ne frega. Certo, avrò sempre un occhio attento al produttore, ma giunto a questo punto della mia carriera penso di potermi permettere di fare quello che veramente voglio fare. Questa struttura di film corale mi piace sempre di più e sono convinto di aver trovato la chiave giusta. Da oggi in poi voglio lavorare con attori giovani e bravi che mi facciano sentire giovane e voglio donare loro la mia esperienza. Chi mi vorrà produrre d'ora in poi mi dovrà accettare per quello che sono.
Laura, immaginiamo che non sia stato facile entrare in un personaggio così ambiguo e così ricco di sfaccettature...Laura Chiatti: Avevo il terrore di fare l'orrenda pantomima della Clauda Gerini di Viaggi di nozze, ma anche di Margherita Buy e di Asia Argento, ho manifestato i miei dubbi a Carlo e abbiamo raggiunto un compromesso, abbiamo fatto il film come ce lo sentivamo anche se a volte ho avuto paura di esagerare nei panni di Lara, una ragazza che entra nella vita della famiglia Mascolo e la sconvolge totalmente. Era un personaggio ricco di sfaccettature, sì compassionevole ma anche con alti toni di ironia e malinconia, ho colto dalla vita di tutti i giorni e dalle persone che mi stanno intorno molte delle sfumature con cui ho delineato Lara.
Signor Ferrari, è la prima volta che Warner Bros. produce un film interamente italiano. Il fatto che abbiate in mano un film di Verdone vuol dire che ora ci sono più possibilità di esportarlo all'estero?
Paolo Ferrari: E' il secondo film che facciamo con Carlo, dopo il primo abbiamo aspettato un po' ma sin da ora possiamo dire che saremo disponibili ad affiancarlo anche in futuro, qualsiasi cosa voglia proporci saremo lieti di valutarla insieme, aspettiamo i suoi prossimi progetti. Con l'uscita di Io, loro e Lara saremo molto competitivi sul mercato a fronte di tutte le numerose e importanti uscite di questi giorni di festa. Presto giungerranno dei distributori americani per i quali abbiamo preparato una copia con i sottotitoli in inglese, vediamo cosa accade. Siamo convinti che il film avrà la possibilità di un'ottima lettura internazionale.
Trent'anni fa esordiva con Un sacco bello al cinema. Ad oggi come si sente di dire che è andata la sua avventura nel cinema? Meglio o peggio di come si aspettava?
Carlo Verdone: Mi sento di dire che è accaduto un vero miracolo, lo dico con sincerità, ancora mi meraviglio. Dopo Un sacco bello e Bianco, rosso e Verdone pensavano tutti che avessi sparato tutte le mie cartucce, ho sentito una lontananza da parte di tutti, anche da parte di Sergio Leone. In quegli anni imperversava il grande fenomeno Troisi che aveva catalizzato tutta l'attenzione. Fu a quel punto che chiesi a mia madre di tirare fuori la mia laurea (in Lettere Moderne ndr.) e di prepararla per ogni evenienza. Poi arrivò Mario Cecchi Gori che chiese di incontrarmi, era rimasto colpito dal personaggio dell'emigrante di Bianco, rosso e Verdone e mi chiese di fare un film con lui dandomi carta bianca. Così scrissi Borotalco, quello che a tutt'oggi considero il mio film più importante, con cui vinsi cinque David di Donatello e feci un grande incasso. Solo allora si riavvicinarono tutti ma io decisi di rimanere con Cecchi Gori che aveva creduto in me in un periodo in cui ero rimasto solo. Là ho capito che potevo farcela, la sera del debutto di Borotalco sentii l'approvazione del pubblico e per me fu la svolta. Se finisse tutto oggi direi che sono stata una persona fortunata, uno che ha lavorato sempre con sincerità, il pubblico si stanca facilmente, ma anche se ogni tanto sterzi lo avverte quando a muoverti c'è una vibrazione forte e una grande creatività. Un bilancio decisamente positivo dunque, è stato un bel regalo che la vita mi ha fatto.
Che differenza c'è a fare un film con De Laurentiis e un film con la Warner? Ti sei sentito più libero?Carlo Verdone: C'è un modo diverso di approcciare verso l'attore, verso il regista e lo sceneggiatore. La Warner legge il copione, fa una riunione e poi eventualmente una seconda; con De Laurentiis è diverso perchè usa il modo di fare dei vecchi produttori, vuole le prime venti pagine, poi iniziano delle riunioni e le critiche, a pagina tot c'è questo che non mi convince, a pagina tot anche, e il lavoro si complica, non interviene per farti cambiare il soggetto ma ti suggerisce di andare verso una direzione piuttosto che un'altra. Con la Warner ho avuto un rapporto basato più sulla fiducia, molto più sciolto, con meno interferenze, ma non giudico nessuno, ognuno ha il suo modo di lavorare e io rispetto molto Aurelio. E' un bravo produttore che è capace di fare cose anche molto belle e diverse dal solito film di Natale. La differenza maggiore è stato l'approccio migliore verso l'autore, con la Warner se perdi una giornata non accade nulla, Aurelio invece ti rimette subito sull'attenti.
Carlo, se potessi fare un augurio a te stesso e uno agli italiani per il prossimo anno cosa augureresti?
Carlo Verdone: L'augurio che posso fare è quello di ritrovare il buon senso delle cose, so che può sembrare banale, auguro che si stemperi in qualche modo questa tensione che si avverte nel paese ed è sopra la testa di ognuno di noi. Sembra come se l'Italia fosse coinvolta in una grande violenta riunione di condominio, mi auguro che ci sarà meno presenzialismo e meno protagonismo da parte dei politici, lasciate l'arte e lasciate apparire gli artisti. Mi auguro che arrivi presto una nuova generazione che sappia cambiare qualcosa, mi viene il dubbio che il ricambio generazionale trovi molta difficoltà ad instaurarsi in questo paese. Per quel che riguarda me spero di potervi dare delle buone commedie sempre nuove, che possano fungere da osservazione sul momento attuale, lo sapete, io sono un pedinatore di italiani, andrò sempre in cerca dei loro difetti e delle loro fragilità.
Sai già cosa ci regalerai per il prossimo film?
Carlo Verdone: Non posso dirvi nulla, ma forse è stato individuato un piccolo semino di quello che potrà essere la mia prossima storia, è un qualcosa che mi piace e che mi darebbe la possibilità di pescare in un grandissimo calderone. Quel che mi posso augurare è di lavorare di nuovo con un cast come quello che ho avuto per questo film, senza dubbio uno dei migliori con cui abbia mai lavorato in vita mia.