Winning Time 2: L'ascesa della dinastia dei Lakers, la recensione: It’s Showtime!

La recensione di Winning Time 2: L'ascesa della dinastia dei Lakers: la serie firmata Adam McKay e targata HBO entra nel vivo e racconta la rivalità tra i Los Angeles Lakers e i Boston Celtics degli anni Ottanta: dal 28 agosto su Sky Atlantic e NOW.

Winning Time 2: L'ascesa della dinastia dei Lakers, la recensione: It’s Showtime!

"We want their fucking hearts". Siamo alle finali NBA del 1984, gara 1. A Boston i Los Angeles Lakers hanno appena battuto i Boston Celtics e sono scappati sul pullman dopo essere stati ricoperti da qualunque cosa da parte del pubblico locale. Ed è qui, sul bus, che uno spiritato Adrien Brody, nei panni di Pat Riley, storico coach dei Lakers, pronuncia queste parole, quasi una dichiarazione di guerra ancestrale. La nostra recensione di Winning Time 2: L'ascesa della dinastia dei Lakers, la serie tv HBO firmata da Adam McKay (Don't Look Up, Succession), in arrivo dal 28 agosto in esclusiva su Sky e in streaming solo su NOW, inizia da qui.

Winning Time Poster
Locandina di Winning Time: l'ascesa della dinastia dei Lakers

Winning Time, dopo averci raccontato la nascita del mito dei Lakers, entra nel vivo e racconta la rivalità tra la squadra di Los Angeles e i Boston Celtics, quella tra Magic Johnson e Larry Bird. Che all'epoca era diventata una sorta di guerra santa. Ma è anche il periodo dell'avvicendamento alla guida tecnica dei Lakers, con Pat Riley destinato a prendere le redini del team e ad entrare nella leggenda. È il ruolo che cambia l'uomo, un tema quasi shakespeariano. Così, diventato il coach principale, quell'uomo dimesso e riservato comincia a vestire Giorgio Armani, prende il gel e si pettina i capelli all'indietro e comincia a fare discorsi da condottiero. La seconda stagione di Winning Time, così, alza la temperatura rispetto alla prima: e quel racconto intimo, irriverente e nostalgico di un'età dell'oro del basket diventa anche più epico, più teso, più coinvolgente. Quell'era dei Lakers è stata definita quella dello Showtime, dello spettacolo. E Winning Time è ancora più spettacolare.

Un anello non fa una dinastia

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Winning Time: l'ascesa della dinastia dei Lakers - un momento della serie

Boston, finali NBA 1984, gara 1. Los Angeles Lakers contro Boston Celtics. I Lakers hanno vinto e scappano felici e carichi tra contestazioni e aggressioni, sulle note di Let's Go Crazy di Prince. Ma è solo gara 1, ne servono altre tre. Se sapete come sono andate a finire quelle finali del 1984, ok. Altrimenti non ve lo raccontiamo. Ma intanto Winning Time fa un passo indietro e torna all'estate del 1980. I Lakers hanno appena vinto il campionato NBA, ma vogliono continuare a vincere, perché "un anello non fa una dinastia", come recita il titolo dell'episodio 1. Dal 1980 a quel 1984 ne succedono di cose. Magic Johnson (Quincy Isaiah) ha un grave infortunio. E quando rientra soffre la rivalità con Norm Nixon. Ma anche quella, di personalità se non di ruolo, con Kareem Abdul-Jabbar (Solomon Hughes) e poi lo scontro con il coach Paul Westhead (Jason Segel), che sarà sostituito da Pat Riley (Adrien Brody). Nel frattempo, il boss dei Lakers Jerry Buss (John C. Reilly) è alle prese anche con una serie di problemi con la sua famiglia.

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Una serie girata benissimo per sembrare girata male

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Winning Time: l'ascesa della dinastia dei Lakers - una foto di scena

Quello che conquista da subito, in Winning Time: l'ascesa della dinastia dei Lakers, è quel tuffo immersivo che ci consente di fare in un'altra epoca. Non è solo perché ci racconta una storia rappresentativa di quegli anni: è proprio per lo stile che sceglie. Adam McKay ricopre tutta la storia di una patina anni Ottanta, che è quella del racconto televisivo dell'epoca: le trasmissioni sportive ancora in bassa definizione e le ingenue serie tv, pardon i telefilm dell'epoca. I colori sono caldi e un po' sbiaditi, mai accesi, ma pastosi. E le riprese sono cariche di primi piani, di zoom, di movimenti di macchina arditi; a volte l'immagine è sovraesposta, troppo illuminata. L'effetto è retrò e nostalgico e il risultato è che sembra proprio di assistere a quella storia guardandola alla televisione a quell'epoca. Quello stile un po' "sporco", poi, è anche perfettamente funzionale perché permette di integrare alla perfezione, nel montaggio, alcune immagini di repertorio, e di mescolarle al girato, e a un girato trattato in modo da sembrare repertorio (come alcune immagini che ricreano le dirette tv dell'epoca, in formato 4:3, cioè quadrato). Il paradosso di Winning Time è che è una serie girata benissimo per sembrare girata male. Non è da tutti.

Il paradosso secondo Adam McKay

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Winning Time: l'ascesa della dinastia dei Lakers - un'immagine della serie

A proposito di paradossi, qualcosa in cui Adam McKay è specializzato (vedi Don't Look Up), ne accadono parecchi nella storia di Winning Time. E l'autore americano ci gioca apertamente tanto che, ogni volta che qualcosa sembra particolarmente assurdo, pensa bene di mettere una scritta per dire "questo è accaduto davvero". Perché la storia (tratta dal libro Showtime: Magic, Kareem, Riley, and the Los Angeles Lakers Dynasty of the 1980s di Jeff Pearlman) è sì romanzata, ma non nei suoi aspetti più assurdi. Così, durante la gara 7 di quella finale del 1984, che chiude la stagione, sono volati davvero i pugni tra giocatori e pubblico. E così, Larry Bird, futura star dei Celtics, ha davvero giocato il suo primo provino in jeans e scarponi. Ed è andata proprio così la surreale presentazione di Pat Riley alla stampa. Winning Time è così: storica e rigorosa, ma anche scanzonata e ironica. E a tratti irreale: come quando i disegni (come il segno di rossetto sul gesso di Magic o le facce su una t-shirt) si animano e cominciano a parlare. O come quando, pur a distanza, su campi diversi, Magic e Bird sembrano passarsi il pallone come a gettarsi reciprocamente un guanto di sfida. Winning Time è sopra le righe, ma mai troppo, in modo da far risultare azione e personaggi sempre credibili.

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Larry Bird, il cattivo della storia

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Winning Time: l'ascesa della dinastia dei Lakers - un'immagine di scena

Sì, nella seconda stagione della serie sui Lakers c'è anche Larry Bird. Si dice che più riuscito è il cattivo più riuscito è il film. E il ruolo di villain, o meglio di antagonista, in questa storia, è toccato a lui, interpretato da un ottimo Patrick Small. Quello che è stato un grandissimo giocatore, amato da migliaia di tifosi e appassionati, qui, per questioni di trama ,è ritratto come il nemico. Winning Time ci racconta la sua backstory, rendendolo non solo un avversario, ma un personaggio a tutto tondo. È schivo, scontroso, trasandato (almeno agli inizi). Alcuni suoi sguardi di sfida con Magic Johnson sono tra le cose migliori del film.

Che cast: John C. Reilly, Adrien Brody, Jason Clarke e Jason Segel

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Winning Time: l'ascesa della dinastia dei Lakers - una foto di scena della serie

Ma è tutto il cast a brillare, con una serie di attori in parte, in grado di scomparire nei loro personaggi e allo stesso tempo di farne uscire dei ritratti espressionisti. Gli attori che interpretano i cestisti sono somiglianti nel fisico, espressivi e sanno giocare a basket. E poi ci sono i primi attori. Da John C. Reilly, splendido bucaniere e affarista d'altri tempi, che fa di Jerry Buss una sorta di Hugh Hefner prestato al basket, all'intenso Adrien Brody, che ci regala la metamorfosi di Pat Riley di cui vi abbiamo parlato. Ma ci sono anche Jason Clarke a interpretare il dirigente dei Lakers Jerry West, Jason Segel nei panni di Paul Westhead, coach della squadra e Michael Chiklis nei panni del coach dei Boston Celtics Red Auerbach. Ma permetteteci anche un plauso per Hadley Robinson, che presta il suo volto dolce a Jeanie Buss, la figlia del boss, donna in un mondo di uomini, che spesso riesce dove non riescono loro.

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Una stagione ancora più epica

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Winning Time: l'ascesa della dinastia dei Lakers - una scena della serie

La musica di Who, Billy Idol, Duran Duran, Toto rende ancora più epica una serie che è una sorta di Boogie Nights ambientata nel mondo del basket. Winning Time parte ancora così, ma pian piano diventa The Last Dance in versione finzione che incontra Don't Look Up. La stagione 2 si ferma al 1984. Ma crediamo che ci sarà sicuramente una stagione 3, e sarà ancora tempo di vincere. Sarà winning time. E sarà pienamente showtime.

Conclusioni

Come vi abbiamo raccontato nella recensione di Winning Time 2, la nuova stagione alza la temperatura rispetto alla prima, e quel racconto intimo, irriverente e nostalgico di un'età dell'oro del basket diventa anche più epico, più teso, più coinvolgente. Quell'era dei Lakers è stata definita quella dello Showtime, dello spettacolo. E Winning Time è ancora più spettacolare.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
4.5/5

Perché ci piace

  • Il tono irriverente, ironico e al limite del paradosso con cui è raccontata la storia.
  • Lo stile "sporco" che rievoca la tv degli anni Ottanta e permette di mescolare girato e repertorio.
  • La sfida con i Celtics e l'arrivo del "villain" Larry Bird alzano la temperatura.
  • Grandi attori, da Adrien Brody a John C. Reilly.

Cosa non va

  • A chi non ama il basket e lo stile di quell'epoca la serie potrebbe non interessare.
  • Si vorrebbero ancora più scene di basket giocato, per come sono emozionanti.