Dio schiocca le dita e l'eroe va all'inferno.
Sembra quasi un paradosso che una serie di fantascienza inserita nella cornice di un presente ucronico, e concepita immaginando il futuro di un nugolo di personaggi già noti, risulti profondamente legata al passato di una nazione. Un paradosso che Damon Lindelof prende di petto fin dalla scena d'apertura del primo episodio di Watchmen, È estate e stiamo finendo il ghiaccio: i fotogrammi di una vecchia pellicola in bianco e nero e le esplosioni di violenza nelle strade della Tulsa del 1921. C'è quasi un secolo di distanza fra la realtà storica (il massacro di Tulsa) e le avventure dei personaggi di Watchmen, eppure anche in questo risiede il senso dell'opera di Lindelof: la fantascienza come strumento per ricordare chi siamo e per capire cosa vogliamo diventare.
Un assunto già alla base del capolavoro realizzato nel 1986 dallo scrittore Alan Moore e dall'illustratore Dave Gibbons, di cui il Watchmen televisivo della HBO si propone come un peculiare sequel (o piuttosto un remix, secondo la definizione di Lindelof), ambientato trentaquattro anni dopo gli eventi narrati nella miniserie a fumetti. Un sequel che recupera la mitologia di Watchmen, entrata a far parte dell'immaginario collettivo di almeno un paio di generazioni di lettori, per poi rielaborarla con estrema libertà, ma al contempo con rispetto e coerenza verso la fonte letteraria: se in quest'ultima si riflettevano la "perdita dell'innocenza" dell'America e le inquietudini della Guerra Fredda e dello spettro nucleare, nei nove episodi della serie i fantasmi sono soprattutto quelli del razzismo, delle tensioni sociali e di un autoritarismo dai contorni disumani.
Vecchi e nuovi Guardiani: i personaggi di Watchmen
Insomma, un'operazione quanto mai delicata quella condotta da Damon Lindelof, già creatore nel 2004 del fenomeno Lost e dieci anni più tardi del più sofisticato The Leftovers, ma in grado di rivelarsi un trionfo su tutta la linea: Watchmen è stato infatti il più importante evento televisivo del 2019, un esempio a suo modo unico di come adattare una certa iconografia di ambito sci-fi in un racconto seriale destinato al piccolo schermo. Tanto che, all'entusiasmo del pubblico, si è accompagnato un riscontro altrettanto positivo in termini di recensioni e di riconoscimenti: il Directors Guild Award per la miglior regia di una serie drammatica, il Writers Guild Award come miglior nuova serie del 2019, due Critics' Choice Award per le attrici Regina King e Jean Smart e, dulcis in fundo, un totale di ventisei nomination agli Emmy Award 2020.
Di queste, ben sei candidature sono state riservate agli interpreti della serie: Regina King come miglior attrice, Jeremy Irons come miglior attore, Jean Smart come miglior attrice supporter e addirittura tre comprimari - Yahya Abdul-Mateen II, Jovan Adepo e Louis Gossett Jr - in lizza come miglior attore supporter. E sebbene nel cast corale di Watchmen non manchino altri ottimi elementi, da Tim Blake Nelson nei panni del detective Looking Glass (Specchio) a Hong Chau in quelli dell'ambigua Lady Trieu, di seguito prenderemo in esame proprio i sei attori in lizza per l'Emmy Award e il modo in cui hanno (ri)dato vita ai rispettivi ruoli, confrontandosi con il modello del Watchmen di Moore e Gibbons per 'aggiornarlo' e farlo proprio.
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Angela Abar, alias Sister Night (Regina King)
Fra i sei candidati agli Emmy, Regina King è l'unica ad aver ottenuto la nomination grazie a un personaggio del tutto originale: Angela Abar, detective del corpo di polizia di Tulsa che per il proprio lavoro assume l'identità di Sister Night (nell'edizione italiana Sorella Notte), vigilante mascherata e dal lungo costume nero, che ricorda vagamente l'abito di una suora. Angela, ex poliziotta costretta a ritirarsi dalla professione dopo aver rischiato la vita (ma determinata a rimanere la servizio della legge), costituisce il cuore pulsante di Watchmen: è la figura centrale della serie, il nostro sguardo su un'America dilaniata dal razzismo e su una comunità messa a repentaglio da un gruppo di suprematisti bianchi denominato Settimo Cavalleria (e ispirato al defunto Rorschach).
Regina King, una delle attrici più stimate del panorama televisivo, con Sister Night disegna un'eroina carica di determinazione e risolutezza, ma lascia trapelare anche l'animo più quotidiano di Angela e la sommessa angoscia della donna: il timore di perdere le persone a lei più vicine e lo sgomento quando, di fronte a un potenziale pericolo, dà libero sfogo alla propria furia, salvo poi accorgersi della brutalità delle sue azioni.
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Adrian Veidt, alias Ozymandias (Jeremy Irons)
In ciascun episodio della serie è presente una sorta di 'appendice' dedicata a uno dei volti storici di Watchmen: Adrian Veidt, ex Guardiano noto come Ozymandias (dallo pseudonimo del Faraone Ramses II e dal titolo della poesia Percy Bysshe Shelley), ideatore e responsabile del tragico "incidente di New York" del 2 novembre 1985. Nel Watchmen televisivo, Veidt ha confessato la verità sulla catastrofe di New York e si è ritirato a vivere in una sontuosa magione su Europa, una luna di Giove, accudito da un piccolo esercito di servizievoli cloni. Se il Veidt del fumetto era un gelido calcolatore dall'intelligenza feroce e implacabile, nel ritratto fornito dal grande attore inglese Jeremy Irons ci appare come un uomo decisamente eccentrico e spesso irascibile, un decadente aristocratico immerso in macabri passatempi.
In particolare, Irons esalta la natura 'teatrale' di Adrian Veidt, le sfumature istrioniche delle sue parole e dei suoi gesti. Del resto, la passione di Veidt per il teatro viene manifestata fin dall'episodio pilota, quando di fronte ai suoi occhi compiaciuti i domestici-cloni mettono in scena l'episodio della genesi del Dottor Manhattan, in un allestimento contraddistinto da uno spaventoso realismo.
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Calvin Abar, alias Dottor Manhattan (Yahya Abdul-Mateen II)
Ed è appunto il Dottor Manhattan la figura-simbolo di Watchmen: l'onnipotente creatura azzurra nata dalla 'smaterializzazione' dell'orologiaio Jon Osterman e assurta allo statuto di pseudo-divinità, drammaticamente indifferente alle sorti umane. All'inizio della serie, è opinione comune che il Dottor Manhattan sia ancora su Marte e che da oltre trent'anni non abbia più messo piede sul nostro pianeta; ma la sua ubicazione è oggetto di un colpo di scena nel settimo episodio, Un'ammirazione quasi religiosa, quando viene rivelato che il Dottor Manhattan ha vissuto per decenni sulla Terra celandosi dietro le sembianze di Calvin Abar, marito di Angela, interpretato da Yahya Abdul-Mateen II.
Fin dalla prima puntata, quando lo vediamo accanto alla moglie e ai loro tre figli adottivi, Calvin aderisce appieno al modello del marito premuroso e amorevole, pronto ad offrire ad Angela quel rassicurante conforto domestico che fa da contraltare alle difficoltà della professione della donna. Ma nel momento in cui Angela colpisce Cal alla testa, all'improvviso ha luogo la trasformazione: il Dottor Manhattan riassume il suo aspetto originario (nella serie, con il fisico e il volto dell'attore Darrell Snedeger), acquisendo anche un peso narrativo fondamentale all'interno della trama.
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Will Reeves, alias Giustizia Mascherata (Jovan Adepo e Louis Gossett Jr)
Uno dei più brillanti e significativi esempi di riscrittura da parte di Damon Lindelof della graphic novel di Alan Moore è costituito da Giustizia Mascherata, il leggendario vigilante le cui gesta avevano ispirato i Minutemen, la prima generazione di 'eroi'. Se Giustizia Mascherata appartiene all'antefatto della storia di Watchmen, nella serie invece tutto il sesto episodio, Questo essere straordinario, è incentrato sul personaggio in questione, al quale Lindelof attribuisce un'identità ben precisa: Will Reeves, un afroamericano che da bambino aveva visto la propria famiglia sterminata nel massacro di Tulsa e che da adulto, interpretato da Jovan Adepo, entrerà nel corpo di polizia di New York City, scontrandosi con il razzismo imperante e con un complotto ordito dal Ku Klux Klan.
La vicenda di Will Reeves, rivissuta in una lunga analessi da Angela Abar (che si scoprirà essere sua nipote), è fra quanto di più struggente la TV americana ci abbia mostrato negli ultimi tempi: un doloroso percorso in cui il desiderio di rivalsa della comunità afroamericana si intreccia con i dilemmi etici del giovane Will, a tratti spaventato dalla sua stessa furia. E Jovan Adepo è bravissimo nel trasmettere l'indignazione e la rabbia repressa di Giustizia Mascherata, che non a caso indossa due simboli dell'oppressione dei neri d'America, il cappuccio e il cappio, e deve dipingersi di bianco il bordo degli occhi per tenere celata al mondo la propria etnia.
La parabola di Reeves, messa in scena in un suggestivo bianco e nero, diventa dunque emblematica della cattiva coscienza di una nazione che, come ci hanno ricordato i drammatici fatti del 2020, è ancora impegnata a fare i conti con un'irrisolta questione razziale. E la stessa sofferenza scolpita negli occhi di Jovan Adepo la ritroviamo nello sguardo di un Will Reeves ormai centenario, impersonato dal veterano Louis Gossett Jr: Angela incontra quest'uomo misterioso accanto all'albero adoperato per l'impiccagione del capo della polizia di Tulsa, Judd Crawford (Don Johnson), al termine della prima puntata, e in seguito sarà esortata dall'anziano Will a compiere un autentico "viaggio nel tempo" alla scoperta delle proprie radici.
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Laurie Blake (Jean Smart)
E sempre a proposito di riscritture del fumetto, una delle protagoniste dell'opera di Alan Moore, Laurie Juspeczyk, alter ego di Spettro di Seta II e partner sentimentale del Dottor Manhattan, assume un'importanza fondamentale nella serie della HBO, ma in una 'versione' che non potrebbe essere più lontana da quella del Watchmen del 1986. Nel terzo episodio, È stata uccisa dai rifiuti spaziali (titolo ripreso dalla canzone Space Junk dei Devo), facciamo infatti conoscenza con Laurie Blake (il cognome è quello di suo padre Edward Blake, alias il Comico), ufficiale dell'FBI a capo di una task force incaricata di debellare i vigilanti: un personaggio di irresistibile carisma a cui dà vita una strepitosa Jean Smart, e che si imporrà al fianco di Sister Night - nonostante la reciproca diffidenza fra le due donne - come l'altra eroina della serie.
Tanto la Laurie del fumetto era impulsiva, passionale e soggetta all'amore per il Dottor Manhattan, quanto la Laurie del 2019 è al contrario calma, pragmatica, caratterizzata da un'ironia caustica e da un cinico disincanto verso il proprio passato e il mito dei Guardiani. La terza puntata è tutta costruita su di lei, e Jean Smart dipinge un ritratto indelebile di questa ex Guardiana dalla battuta tagliente, che ostenta distacco e freddezza, non si lascia incantare da chi le sta di fronte e intuisce sempre la migliore decisione da prendere. E ciò nonostante, ancora si abbandona all'illusione di poter rivolgere un messaggio all'ex compagno mai dimenticato: è in quei momenti, nel tentativo di raccontare un'amarissima barzelletta su Dio e gli eroi, che la sicurezza di Laurie sembra venir meno, mentre sul volto e nella voce della donna si riaffacciano i segni di una ferita che non si rimarginerà mai del tutto.
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