Now at midnight all the agents and the superhuman crew/ Come out and round up everyone that knows more than they do
"Cominciò con Bob Dylan. Per me, un distico dal suo capolavoro del 1966 Desolation Road fu la scintilla che un giorno avrebbe acceso Watchmen"; con queste parole il disegnatore Dave Gibbons riconduceva l'ispirazione per il suo magnum opus al brano di chiusura dell'album Highway 61 Revisited. "Fu un barlume, un mero frammento di qualcosa; qualcosa di nefasto, paranoico e minaccioso. Ma qualcosa che ha mostrato che i fumetti, come la poesia o il rock and roll o lo stesso Bob Dylan, possono davvero diventare parte di un continuum culturale più grande". Watchmen avrebbe visto la luce per la prima volta nel settembre 1986, e da allora continua a dare prova dell'assunto espresso da Gibbons: come ogni forma d'arte contribuisca a scolpire e ridefinire il nostro immaginario collettivo, talvolta intrecciandosi inestricabilmente agli eventi di cui si leggerà nei libri di storia.
Il fenomeno Watchmen: chi guarda i guardiani?
Watchmen, pubblicato negli Stati Uniti dalla DC Comics fra il settembre 1986 e l'ottobre 1987, nel ribadire tale assunto ha avuto bisogno di scavalcare il pregiudizio che relegava la produzione fumettistica in toto nell'ambito della narrativa di consumo e di mero intrattenimento. Un'impresa già avviata, nei primi mesi del 1986, da un'altra miniserie a fumetti dall'importanza seminale, Il ritorno del Cavaliere Oscuro di Frank Miller, e portata a compimento proprio da Watchmen, il cui gigantesco impatto - commerciale, ma anche critico - ne avrebbe poi favorito il processo di canonizzazione, coronato nel 2005 dall'inserimento nella prestigiosa lista di Time dei cento migliori romanzi editi a partire dalla fondazione della rivista (nel 1923).
Detective story ambientata nell'autunno del 1985 a New York, in uno scenario di pura fantapolitica, Watchmen rimane in sostanza un esempio di grande letteratura, partorito dal connubio fra il talento illustrativo di Dave Gibbons e il soggetto sviluppato da Alan Moore, che mescola con disinvoltura la tradizione hard boiled e la fantascienza supereroistica. E se nel 2009 il regista Zack Snyder avrebbe tentato, con limitata fortuna, di trasporre sul grande schermo il capolavoro di Moore e Gibbons in un film omonimo, si è rivelata assai più coraggiosa e interessante l'operazione di riscrittura condotta nel 2019 da Damon Lindelof, che con l'acclamata serie TV Watchmen ha realizzato un ideale sequel della miniserie a fumetti, mantenendone lo spirito di base ma modificandone con intelligenza alcune coordinate.
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L'assassinio del Comico
Con oltre tre decenni d'anticipo sulla serie della HBO, in cui Lindelof introduce e porta in primo piano il tema del razzismo nell'America del Ku Klux Klan e dei suprematisti bianchi, la graphic novel in dodici parti di Alan Moore e Dave Gibbons ha rappresentato un progetto ancora più ambizioso: un superbo modello di costruzione romanzesca, in cui un intreccio dall'impianto corale si espande fino a delineare un vero e proprio affresco storico sulla seconda metà del Novecento. Un affresco che adotta i codici dell'ucronia, approfonditi nei 'documenti' allegati al termine di ciascun capitolo: dall'emergere, nel 1939, di una prima generazione di supereroi, alla nascita nel 1959 del Dottor Manhattan, formidabile arma al servizio degli Stati Uniti; dalla vittoria degli USA nella Guerra del Vietnam al regime incrollabile di Richard Nixon, giunto al suo quinto mandato.
Se dunque Watchmen si apre come un neo-noir, con l'immagine di una chiazza di sangue su un marciapiede e l'omicidio di Edward Blake, il vigilante noto come il Comico, il whodunit è tuttavia solo una delle componenti dell'opera. Il mistero sulla morte del Comico, oggetto delle indagini del suo ex collega Rorschach, alias Walter Kovacs (erede di una lunga tradizione di private eye alla Philip Marlowe), è il motore di un meccanismo ben più complesso e il trait d'union di una narrazione polifonica che, da un capitolo all'altro, adotta la prospettiva di una pluralità di personaggi memorabili, fra i quali Dan Dreiberg (Gufo Notturno), generoso e idealista, Laurie Juspeczyk (Spettro di Seta), compagna del Dottor Manhattan, e Ardian Veidt (Ozymandias), milionario geniale e filantropo.
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Il lato oscuro dei supereroi
Tutti loro, per una fugace stagione della propria vita, hanno tentato di raccogliere l'eredità della prima generazione di vigilanti, i Minutemen, dando vita al gruppo dei Watchmen, ma senza mai sottrarsi del tutto all'ombra di quel glorioso passato, ormai cristallizzato nel mito. Mito e realtà, appunto: una dicotomia che costituisce l'essenza stessa dell'archetipo del supereroe, e che in Watchmen viene elaborata attraverso uno sguardo carico di amarezza e di disincanto. Perché il manipolo dei protagonisti del fumetto sono, in fondo, eroi mancati: schiacciati dal peso del proprio ruolo, incapaci di trarre una vera forza dall'unione degli uni con gli altri, dilaniati dagli spettri della coscienza oppure, come nel caso del Comico, definitivamente corrotti dal potere.
Non a caso la cornice delle loro imprese rievoca le ambientazioni tipiche del noir metropolitano: una New York livida e notturna, non troppo dissimile dalla cupa Los Angeles di Blade Runner, correlativo oggettivo di quella sensazione da apocalisse imminente che grava sul racconto. Perché Watchmen, e in questo risiede in parte la ragione del suo successo, è un'opera immersa nel proprio tempo e in grado di esprimere pienamente lo Zeitgeist dell'ultimo atto della Guerra Fredda: la minaccia atomica e le moderne paranoie di matrice orwelliana, gli abissi (sociali, morali, psicologici) celati dietro la patina del benessere e la hybris umana come germe di un processo di autodistruzione (il disastro di Cernobyl si verificherà, con tragico tempismo, proprio nel bel mezzo della pubblicazione della miniserie).
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La fantascienza per raccontare la storia
Incubi e suggestioni che, dagli anni Ottanta in poi, la letteratura e il cinema - ma pure la musica e la televisione - si sono adoperati più volte a proporre sottoforma di parole e di immagini; in pochissimi casi, però, con la densità e la sapienza narrativa di Alan Moore o con lo stile inconfondibile di Dave Gibbons, in cui convivono l'iperrealismo e un espressionismo quasi onirico, una visione ad ampio raggio e la focalizzazione sui dettaglio. Un 'occhio' squisitamente cinematografico, quello di Gibbons (dagli zoom al montaggio alternato), che funge da magistrale contrappunto visivo alla macchina drammaturgica messa in piedi da Moore: i continui cambi di focalizzazione, l'andamento labirintico della trama, le analessi volte a creare un sistema di rifrazione fra passato e presente.
Watchmen è un'opera di fantascienza, i suoi personaggi sono vigilanti e supereroi, eppure fra le tavole di Moore e Gibbons si può rintracciare un'impressionante cronaca dell'America del secolo scorso e dei suoi turbamenti. Una cronaca romanzata ma incredibilmente prossima alla realtà storica, a partire dall'antefatto: la fiducia nelle "magnifiche sorti e progressive" del secondo dopoguerra (l'apogeo dei Minutemen), la psicosi anticomunista e la corsa allo spazio (il Dottor Manhattan), la disillusione degli anni Settanta (il declino dei Watchmen e il decreto Keene). Watchmen, del resto, è un frutto del clima incandescente dell'ultimo decennio di Guerra Fredda, dall'invasione dell'Afghanistan al discorso di Ronald Reagan sull'"impero del male". L'onnipotente Dottor Manhattan non è forse una perfetta allegoria del cosiddetto "equilibrio del terrore"? E la mezzanotte del 2 novembre non riproduce, mediante una galleria di immagini spaventose, l'orrore di una catastrofe senza ritorno?
"A stronger, loving world": un grande romanzo americano
Basterebbe questo a rendere Watchmen l'equivalente del "grande romanzo americano" applicato agli anni Ottanta: il pulp, la cultura pop, la fantascienza virata in noir, perfino il postmoderno, con l'agghiacciante mise en abîme offerta dal "fumetto nel fumetto" I racconti del Vascello Nero. Ma nella miniserie di Moore e Gibbons la riflessione storica, per quanto espressamente riconducibile a un determinato contesto, assume anche, nel ritratto e nelle vicende dei singoli personaggi, una portata universale: nel modo in cui le ossessioni individuali e le cicatrici della memoria sfociano in angosce collettive; nell'intensità con cui amore e odio si abbracciano in un groviglio inestricabile; nel confronto con un senso morale che non ha nulla di lineare, e in cui il bianco e il nero sembrano stemperarsi in un'unica, immensa zona grigia.
Ecco, i protagonisti di Watchmen navigano tutti in quella zona grigia; portandoci con sé, di capitolo in capitolo, in una tenebrosa avventura che è in primo luogo un viaggio fra i sentieri della coscienza. E con tale coscienza i personaggi, senza esclusione, dovranno sostenere le loro sfide più terribili, consapevoli che ogni scelta comporta un prezzo per sé e per gli altri; fino alla dodicesima parte, teatro del dilemma più atroce, di un'impossibile resa dei conti e di un ultimo, beffardo colpo di scena, pronto a rimettere in gioco le sorti del mondo intero... "E sarà un mondo più forte, un mondo più forte d'amore, in cui morire".