Watchmen 1x06, la recensione: Rabbia nera dal passato

La recensione di Watchmen 1x06: denso, stracolmo di dettagli e spunti di riflessione metanarrativi, This Extraordinary Being è un episodio da antologia, destinato a fare la storia della tv.

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Laurie Blake e Angela Abar in una scena del sesto episodio

Lo smile insanguinato è la nostra faccia adesso. Il sorriso sulla celebre spilla sporca del Comico è lo stesso stampato sul nostro viso. Scriviamo questa recensione di Watchmen 1x06 con un'espressione soddisfatta, felice, pienamente appagata. Perché abbiamo la forte sensazione di aver assistito a un episodio destinato a fare la storia della tv. Un episodio denso, stracolmo di dettagli e spunti di riflessione, girato e confezionato con una cura talmente certosina da scatenare il nostro inevitabile entusiasmo.

Ennesima conferma della qualità eccelsa della serie targata HBO, This Extraordinary Being è un lungo flashback in cui veniamo catapultati bruscamente nella vita di una persona. Un'allucinazione verissima in cui ci addentriamo nella genesi del primo vigilante mascherato della storia contemporanea. Una digressione nella mitologia di Watchmen vissuta attraverso gli occhi (e sulla pelle) di Sister Night, che dopo aver ingerito le pillole Nostalgia, violento stimolante che riporta a galla il passato nella mente di chi le assume, scopre finalmente la verità su suo nonno William Reeves. Damon Lindelof confeziona così un episodio strabordante di significati sia espliciti che allegorici, riuscendo a fare più cose insieme: approfondire la storia di un personaggio, collegarsi con maestria alla genesi dell'immaginario creato dal fumetto di Alan Moore (i Minutemen), svelare il mistero del primo episodio dello show e soprattutto imbastire un elegante discorso metanarrativo sul potere manipolatorio della tv e del cinema assolutamente da applausi. Il tutto racchiuso in 58 minuti di raffinata televisione. This Extraordinary Being si dà il titolo da solo. Si autodefinisce per quello che è: ovvero un capitolo straordinario della storia del piccolo schermo. E della vita di ogni amante di Watchmen.

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Sister Night dopo aver ingerito le pillole di Nostalgia

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Il boia, la maschera, il mito

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William Reeves allo specchio

Decostruire, scomporre, toccare il nervo scoperto del nostro maledetto bisogno di eroi. Watchmen ha sempre fatto questo. Lo ha fatto a metà degli anni Ottanta, in cui il suo fumetto scopriva l'animo inquieto dei suoi antieroi imperfetti e tutto il marcio nascosto dietro la maschere di paladini e giustizieri. Continua a farlo oggi, quando questa grandiosa serie tv (che per noi rimane una delicata operazione chirurgica di "trapianto di spirito" perfettamente riuscito) ribadisce con amara fermezza quanto la rabbia possa essere la migliore delle motivazioni. Succede quando ci delinea la parabola ascendente di Giustizia Mascherata, il bambino salvato dal massacro come Clark Kent, il primo giustiziere partorito dall'odio in cui ha sempre sguazzato. Ed è una rabbia a più livelli. Una rabbia che non conosce freni, né motivi per calmarsi. Dentro il volenteroso Will, sopravvissuto alla razzia di Tulsa, convivono la rabbia del nero vessato, del poliziotto deluso, del marito frustrato. E allora quel cappuccio da boia, che diventa d'istinto la maschera di Giustizia Mascherata, copre tante cose. Perché il cappio al collo del primo vigilante "fai da te" è stretto attorno all'anima ferita di un uomo castrato. Forse attorno all'animo stesso degli Stati Uniti d'America, che nel sangue sono stati fondati e nella violenza ci hanno sempre sguazzato. Lindelof aggiorna Moore tradendo Moore. Lo tradisce soltanto perché lo ha capito davvero.

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Giustizia Mascherata al fianco di Capitan Metropolis

Una contraddizione che ha perfettamente senso quando ti trovi davanti a una serie tv come Watchmen, capace di maneggiare i temi amati (o forse dovremmo dire odiati) da Moore con una consapevolezza e una disinvoltura disarmanti. Attraverso l'origin story di Giustizia Mascherata, Watchmen alimenta la sua iconografia oscura con l'ennesima maschera dolorosa, simbolo di una sofferenza sublimata per contrappasso, con il condannato che si trasforma in boia. Di gran classe, poi, il parallelismo tra nonno Will e nipote Angela; il trucco sugli occhi durante la loro vestizione vede il bianco diventare finalmente nero. Come se l'orgoglio black, dopo anni di vergogna, possa essere finalmente sottolineato da una maschera quasi effimera (quella di Sister Night). Un briciolo di progresso in un mondo afflitto dal solito odio e dalla solita rabbia. Le maschere evolvono, il mondo che ha bisogno di giustizieri non ancora.

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Ogni racconto è una bugia

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La sequenza d'apertura del sesto episodio

Ambizione e condanna. Croce e probabile delizia. Watchmen ha sempre saputo di avere una scintillante spada di Damocle sulla propria testa: il confronto col passato. Per molti la serie è macchiata da una specie di peccato originale. Perché la graphic novel di Moore e Gibbons è talmente sacra, enorme ed epocale da essere intoccabile. Sappiamo che Lindelof ci ha pensato non due, ma dieci volte prima di accettare la proposta di HBO. Perché ri-scrivere Wathcmen può sembrare un folle salto nel buio. Eppure, dopo sei episodi, possiamo dire con fermezza che poche cose sembrano scritte con ragione e sentimento come questa serie tv. In Watchmen ogni rischio è stato calcolato, ogni tradimento è stato fatto col massimo rispetto, ogni confronto con il passato studiato col goniometro. Tutte cose di cui This Extraordinary Being rappresenta una perfetta summa. Un episodio che si prende dei rischi, che tradisce e si confronta col passato a più livelli. Per noi il viaggio di Angela è il viaggio di Lindelof. Un tuffo indietro alla ricerca dei miti fondativi di una storia leggendaria, riuscendo nell'impresa di raccontare un uomo, una nazione e un simbolo contemporaneo (il supereroe) con una maturità fuori dal comune. Tra revisionismo storico e decostruzione, This Extraordinary Being mette in scena un gioco metanarrativo di alta scuola.

Prima ammette che i miti, in quanto artefatti culturali maneggiati dalle masse, sono destinati a essere cambiati, travisati, traditi. E questo (che combinazione!) avviene proprio dentro una serie tv chiamata American Hero Story. Poi allarga gli orizzonti verso il potere manipolatorio del cinema, dove il grande occhio del proiettore coincide con quello del gigantesco e terribile Ciclope. Una creatura gigante che può annichilire quegli insetti di spettatori con una forza rintracciabile solo e soltanto su un grande schermo. Tutto questo in un solo episodio che, grazie a una messa in scena stupefacente per movimenti di macchina, fotografia e sonoro, si permette il lusso di scomodare un fumetto attraverso una serie tv che parla di cinema. Ecco, adesso capite perché abbiamo stampato in faccia un sorriso grande quanto lo smile insanguinato del Comico. Siamo certi che anche il vostro sarà così.

Conclusioni

Nessun timore di esagerare. Se non ci si sbilancia davanti a cose del genere, allora non lo faremo mai. In questa recensione di Watchmen 1x06 siamo stati fieri di condividere con voi il nostro totale appagamento davanti a una straordinaria pagina di televisione. O meglio, di audiovisivo. Perché questo sesto episodio riesce nell'impresa di raccontare una origin story fondamentale per la mitologia della serie, di rispettare il fumetto tradendolo e di imbastire un discorso metanarrativo rivolto al cinema e alla televisione. Il tutto in un'ora. Se potessimo, chiederemmo a Dottor Manhattan di portarci un'altra stella dallo spazio per il nostro voto.

Movieplayer.it
5.0/5
Voto medio
5.0/5

Perché ci piace

  • L'eleganza della messa in scena è da antologia.
  • Le origini di Giustizia Mascherata sono raccontate con un flashback memorabile.
  • Il rispettoso equilibrio con cui Lindelof riesce ad usare il fumetto come fonte di ispirazione per poi prenderne bruscamente le distanze.
  • Le citazioni faranno la gioia degli amanti del fumetto.

Cosa non va

  • Difficilmente si potranno toccare ancora queste vette.