Il cinema italiano, da anni atrofizzato e ripiegato su sé stesso (salvo qualche eccezione), tra commedie prodotte con lo stampino e paura di osare, ultimamente sembra muoversi in una direzione nuova, vibrante ed originale, tra l'utilizzo di codici narrativi ben radicati o l'adattamento al nostro vissuto di formule inedite per la nostra tradizione filmica. L'esempio cronologicamente più vicino riguarda il felice esordio al lungometraggio di Gabriele Mainetti con Lo chiamavano Jeeg Robot, storia di un supereroe di borgata, tale Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria), e della sua lotta al male concretizzata nelle aspirazioni criminali de Lo Zingaro (Luca Marinelli), boss di Tor Bella Monaca con il pallino per le interpreti della musica pop italiana degli anni '80. Un successo condiviso e premiato da pubblico e critica sintetizzato nelle sedici nomination recentemente incassate per i prossimi David di Donatello quando il supereroe con la maschera all'uncinetto dovrà contendersi le vittorie con l'altra pellicola emblema del cinema nostrano contemporaneo: Non essere cattivo del Maestro Claudio Caligari.
Matteo Rovere, dopo l'esordio al lungometraggio nel 2008 con Un gioco da ragazze e Gli sfiorati, adattamento del 2011 del romanzo di Sandro Veronesi, con la sua ultima, riuscita prova, Veloce come il vento, s'inserisce di diritto in questa parentesi felice grazie alla capacità di equilibrare cuore e azione in una pellicola che sa essere, al tempo stesso, coinvolgente, ironica, commovente ed adrenalinica, oltre che supportata dalle ottime interpretazioni dei suoi protagonisti.
Ambientato in quell'Emilia Romagna terra di piste automobilistiche, piloti e meccanici con le mani sempre sporche del grasso dei motori, Veloce come il vento, s'ispira alla vita del campione di rally Carlo Capone detto il "Ballerino" per la sua capacità di correre in pista con la morbidezza e l'agilità di una danza e alla sua storia personale travagliata che l'ha allontanato dai circuiti delle gare dopo una carriera fulminea. Al centro della storia, Giulia (Matilda De Angelis), pilota adolescente del Campionato GT seguita da Mario, padre/allenatore, durante le varie tappe della competizione. Quella stessa pista generosa, con la quale ha condiviso l'eccitazione e la paura delle gare, in un secondo, si riprende tutto, lasciandola sola con un fratello/bambino che non sorride mai ed un futuro incerto come le curve più rischiose. Una vita sospesa che ricomincia a correre grazie all'aiuto di Loris (Stefano Accorsi), sconosciuto fratello tossicomane ed ex gloria dei circuiti di rally, con il quale imparerà, scontro dopo scontro, allenamento dopo allenamento, la complessa "danza" della vita.
"Nostro Signore del Sangue che corre nel buio delle vene..."
La pellicola si apre con le parole della preghiera che papà Mario recita prima di ogni gara, stringendo le mani della figlia, tra la paura di un incidente e la voglia di vederla salire sul podio. Un legame racchiuso in piccoli riti, sguardi complici e una medesima passione tramandata come unico, fortissimo, credo. E uno dei punti di forza del film è proprio quello di raccontare una storia ancorata alla tradizione di una terra ben precisa, senza snaturarla nella finzione cinematografica, facendo attenzione a ricostruire una verosimiglianza tangibile. "Antonio Dentini, detto "Tonino", nel film interpretato da Paolo Graziosi, ci ha raccontato la storia di Carlo Capone. Il suo modo epico di ricordare quegli anni ci ha scaldato la realtà attraverso i suoi occhi" racconta Matteo Rovere durante la conferenza stampa, subito incalzato da Stefano Accorsi che precisa: "Il film s'ispira ad una storia vera. Abbiamo usato i personaggi come punti di riferimento ma gli sceneggiatori hanno anche messo in campo la fantasia. Matteo per il mio personaggio ha incontrato Carlo Capone ma non lo abbiamo imitato. Siamo felici di avergli fatto un omaggio ma di alcuni elementi è stata fatta una sintesi nella quale, però, non è mai mancata la documentazione relativa ad ogni singolo dettaglio".
Un film nei quali molti vedono il ritorno al cinema di genere italiano. Affermazione in parte frenata da Domenico Procacci in conferenza stampa - "Non sono tanto interessato a produrre film di genere in Italia. Provo invece attrazione se il film è coniugato con autorialità e originalità. Elementi presenti in questo film" -dove ha anche raccontato la sorpresa che il film ha suscitato in lui fin dalle primissime fasi produttive: "Io e Matteo avevamo già lavorato insieme ne Gli sfiorati, il suo secondo film che non aveva però riscontrato il favore del pubblico. Dopo questo precedente eravamo intenzionati a collaborare ancora perché ero convinto delle sue qualità come regista e scrittore. Mi ha detto che aveva in mente un film incentrato sull'ambiente delle corse, cosa rara nel nostro cinema. Fin dal trattamento la sceneggiatura era molto buona, potente sia per l'ambientazione che per la capacità di coniugare i valori di una famiglia stramba con un contesto originale".
Proprio il contesto delle gare automobilistiche è lo sfondo necessario per immergersi totalmente nella corsa verso l'agognato e necessario podio a cui aspira Giulia - "omaggio a tutte le donne pilota e a cosa significhi essere donna in un mondo maschile e maschilista al quale tengono testa" -, interpretata da Matilda De Angelis, qui alla sua prima prova sul grande schermo dopo essere recentemente apparsa in Tutto può succedere, remake italiano di Parenthood. "Siamo stati accolti e appoggiati da molti team e la cosa che più mi ha colpita è la loro consapevolezza di non essere valorizzati come i più famosi piloti di Formula 1 ma hanno tutti un amore incredibile per quello che fanno e te lo trasmettono. Prima di iniziare le riprese non ero un'appassionata di corse automobilistiche ma ora, anche grazie a loro, mi sono affezionata a quel mondo" racconta l'attrice alla quale si riallaccia il co-protagonista Accorsi per sottolineare come quello delle corse sia: "Un mondo del quale i media non si occupano molto e se lo fanno è sempre in modo tecnico. Noi abbiamo raccontato l'aspetto emotivo e familiare. Un lavoro che fai solo se sei animato da passione. L'amore per la velocità è amore per la vita. Una vita senza confini".
Cuore e motore
In Veloce come il vento convivono due anime speculari concretizzate nell'unione della sfera privata dei protagonisti e delle sequenze di azione tradotte nelle riprese dal vero delle gare dei circuiti del Campionato GT. Il conflitto carico di rabbia e dolcezza scontrosa che contraddistingue i due fratelli ritrovati, Loris e Giulia, è cadenzato spesso dallo stato alterato dell'uomo, tossicodipendente, che ricorda, in parte, Ivan Benassi, il celebre personaggio interpretato da Stefano Accorsi in Radiofreccia, debutto alla regia di Luciano Ligabue. "Quando Domenico mi parlò della sceneggiatura mi fece proprio un riferimento a Radiofreccia", racconta l'attore, "E Loris credo sia un Freccia sopravvissuto, quindi sì c'è un filo rosso che li lega ma ci sono anche delle profonde differenze. Qui abbiamo raccontato Loris De Martino, ex campione di rally che incontra le droga. Una storia diversa e molto specifica".
Equilibrato nel dosare "cuore e azione", il film, gode di svariate riprese filmate sulle piste dei circuiti automobilistici nei quali gareggia o si allena Giulia, sotto la guida "eccentrica" del fratello, che, attraverso un montaggio attento, riescono a catturare la fibrillazione delle sfide su quattro ruote. "Mi sono ispirato maggiormente alla cinematografia europea, con pellicole come Ronin che ambienta le sequenze, girate dal vero, nei vicoli francesi, e a quella degli anni '70 che ho modificato per adattare al presente" racconta il regista, al quale si riallaccia Accorsi che aggiunge: "Una cosa che tengo a sottolineare è la bravura dei tantissimi stuntman italiani come il nostro stunt coordinator Diego Guerra. Abbiamo un "know how" incredibile e non ne sfruttiamo tutte le potenzialità".