È una presenza quantomeno curiosa quella di Una scomoda circostanza - Caught Stealing, il nuovo lavoro di Darren Aronofsky, all'interno della filmografia del regista newyorkese. Cinquantasei anni, attivo al cinema dal 1998 (data della sua opera d'esordio, Pi) per un totale di nove lungometraggi, Aronofsky è un regista che, nel corso della sua carriera, ha saputo distinguersi per una forte impronta autoriale, focalizzando il proprio interesse su elementi e tematiche alquanto ricorrenti. Cineasta fortemente divisivo, pure in virtù di quelle tendenze all'eccesso che talvolta gli sono valse gli strali di una parte della critica, Aronofsky torna ora nelle sale con un progetto piuttosto inusuale per i suoi standard, e anche per questo meritevole di particolare interesse: il segno di una svolta nel suo percorso o una semplice parentesi da divertissement?

Una scomoda circostanza, intitolato in originale Caught Stealing, arriva a tre anni di distanza dal discusso The Whale, e non potrebbe apparire più lontano dal claustrofobico dramma interpretato nel 2022 da Brendan Fraser. La fonte narrativa, in questo caso, è il primo romanzo dello scrittore e fumettista Charlie Huston, pubblicato nel 2004 ed edito in Italia con il titolo A tuo rischio e pericolo: il primo capitolo di una trilogia letteraria dedicata alla figura di Hank Thompson, giovane promessa infranta del baseball (caught stealing è un termine tecnico nel dizionario dello sport più amato d'America) che si mantiene lavorando come barista e, suo malgrado, viene trascinato nel sottobosco criminale di New York. Un ruolo affidato, nel film di Aronofsky, al trentaquattrenne Austin Butler, star di Elvis e qui nei panni del tipico personaggio che si ritrova nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Dalle ossessioni del cinema di Aronofsky all'uomo qualunque dell'Hank di Austin Butler

Già questo è un primo esempio del distacco di Una scomoda circostanza rispetto al cinema di Darren Aronofsky: un cinema spesso e volentieri incentrato su protagonisti immersi fino al collo in dubbi divoranti, cupe ossessioni e spirali autodistruttive. È un leitmotiv ricorrente della sua produzione: i giovani tossicodipendenti di Requiem for a Dream, così come la psicotica Sara Goldfarb impersonata da Ellen Burstyn; il Randy Robinson di Mickey Rourke in The Wrestler, tormentato da rimpianti e rimorsi; la Nina Sayers di Natalie Portman, ballerina in crisi d'identità, tanto da scivolare nel delirio, ne Il cigno nero; la Jennifer Lawrence di Madre!, prigioniera del vortice allucinato che si abbatte sulla propria quiete domestica; e infine il Charlie di Brendan Fraser, che in The Whale si aggrappa agli ultimi barlumi di speranza di un'esistenza segnata dal dolore e dalla solitudine.

Sono tutte declinazioni - addirittura con qualche sconfinamento nell'horror surreale, nei casi de Il cigno nero e Madre! - di una specifica tipologia di melodramma, in cui i protagonisti sono costretti a fronteggiare i propri lati oscuri. Non esattamente lo stesso caso dell'Hank Thompson di Austin Butler, per quanto pure su di lui gravi il peso di un sofferto passato: l'incidente, rievocato in più di un flashback, che aveva stroncato sul nascere la sua carriera come professionista del baseball. Hank, però, sembra essersi adeguato alla sua vita attuale: dai turni notturni al bar alla frequentazione senza troppo impegno con la Yvonne di Zoë Kravitz. Insomma, non un personaggio di per sé 'eccezionale', ma un uomo comune, con una routine senza troppi sussulti, che all'improvviso - e quasi per caso - viene coinvolto in un intreccio criminale di cui non vorrebbe sapere nulla.
Dal wrong man al MacGuffin: il modello di Alfred Hitchcock

È il momento in cui, sul piano narrativo, Una scomoda circostanza si immette sui binari di un classico film alla Alfred Hitchcock: Hank incarna appieno il tòpos del cosiddetto wrong man hitchcockiano, l'individuo qualunque che per uno strano scherzo del destino incappa in una situazione ben più grande di lui e, da allora, dovrà tentare di sfuggire a un pericolo incombente. Come James Stewart ne L'uomo che sapeva troppo, Henry Fonda ne Il ladro, ma soprattutto il Cary Grant di Intrigo internazionale, Hank deve vestire i panni dell'"eroe suo malgrado". E come accade in molti classici hitchcockiani, la donna amata - Yvonne - è una presenza femminile salvifica che, almeno per una parte del film, assume la funzione di deuteragonista impegnata ad offrire all'eroe sostegno morale e materiale, come Grace Kelly ne La finestra sul cortile o Eva Marie Saint in Intrigo internazionale.

Quest'ultimo titolo è in effetti il più vicino a Una scomoda circostanza, con il suo incalzante susseguirsi di avventure e colpi di scena e la minaccia costituita da una tentacolare organizzazione criminale. Il modello di Hitchcock è rintracciabile inoltre nel ricorso al MacGuffin: se nei precedenti film di Aronofsky il racconto viene innescato da un dramma interno al protagonista stesso, e legato in qualche modo alla sua esperienza e alla sua essenza, il malcapitato personaggio di Austin Butler finisce nei guai a causa di una misteriosa chiave di cui all'inizio ignora il valore e a cui tutti, dai criminali alla detective di polizia Roman (Regina King), sembrano dare la caccia. Se dunque l'intreccio si configura come intimamente hitchcockiano, sul piano stilistico però Aronofsky guarda altrove, e comunque ben lontano dall'età classica a cui appartengono quasi tutti i capolavori del "maestro del brivido".
La "pulp fiction" di Aronofsky, fra brutalità e humor nero

A livello estetico, infatti, Una scomoda circostanza si richiama al periodo di ambientazione della vicenda: quel 1998 a cui alludono pure le scelte dei brani per la colonna sonora, fra cui I Think I'm Paranoid dei Garbage, Ray of Light di Madonna, I'm Afraid of Americans di David Bowie e Wandering Star dei Portishead (mentre le canzoni originali sono state incise dagli Idles). Dagli scoppi di violenza, rappresentati con una brutalità a tratti iperrealista, al ritmo forsennato degli eventi, inseriti in un caos abilmente orchestrato, l'approccio adottato da Aronofsky ricalca quello di un certo cinema pulp tipico degli anni Novanta e dei primi anni Duemila, da Quentin Tarantino a Guy Ritchie, ma anche con echi dello humor nero e delle pennellate grottesche dei film dei fratelli Coen, a cui è difficile non pensare di fronte alla coppia di ebrei ortodossi e temibili killer a cui prestano il volto Liev Schreiber e Vincent D'Onofrio.

In questa galleria di comprimari buffi e/o spaventosi, spesso nell'arco di una medesima scena, Austin Butler fornisce un apporto formidabile, coniugando abbondanti dosi di carisma e di charme alla vulnerabilità di un protagonista che non rimane appiattito sul cliché dell'eroe; al contrario, il suo Hank è una figura tanto più credibile, nella progressiva assurdità della situazione, quanto più si mostra confuso e spaventato, senza però rinunciare a reagire e ad assumere maggiore consapevolezza di sé. Perché Una scomoda circostanza, in fondo, è anche una storia di redenzione mascherata da action movie; a riprova che Hank, tutto sommato, qualcosa in comune con gli altri personaggi di Aronofsky ce l'ha eccome. E seppure questo film dovesse restare un tassello unico e anomalo nella carriera del regista, si tratterebbe in ogni caso di una 'digressione' piacevolissima: un gustoso cocktail in cui trovano posto suspense, adrenalina e qualche nota di inaspettata tenerezza.