Un gangster al calor bianco
Appartenente alla seconda ondata (quella degli anni Quaranta) dei gangster-movies hollywoodiani, La furia umana (nomination all'Oscar per la Miglior Sceneggiatura Originale) è un film di una modernità sconvolgente e dal ritmo indiavolato. Girato in un bianco e nero estenuato e magnetico (grazie alla fotografia di Sidney Hickox, già apprezzato tre anni prima ne Il grande sonno di Howard Hawks), l'avvincente pellicola di Raoul Walsh disegna una memorabile figura di criminale (psicopatico nonché vittima di un non risolto complesso edipico) che si colloca sicuramente tra le migliori in assoluto della storia del cinema ("Non mi ucciderai così a sangue freddo" - "No, ti farò scaldare un po'"). Solo James Cagney poteva rendere reale la follia di Cody Jarrett (personaggio ispirato alla figura del vero gangster Arthur "Doc" Barker), tenendo sempre in tensione massima le proprie corde interpretative (la scena in cui cade a terra in preda a lancinanti dolori di testa e il momento in cui viene a sapere dell'assassinio della madre, sono vertici assoluti nella sua pur magistrale carriera).
La regia di Walsh è tutta concentrata sull'azione piuttosto che sull'atmosfera, in modo da condurre i tanti colpi di scena con una narrazione ininterrotta ed incalzante, fino al balzo "sulla vetta del mondo" dello spettacolare epilogo, di cui Brian De Palma in Scarface ne ricalcherà l'essenza in una baroccheggiante "esplosione" di armi da fuoco. L'eredità che La furia umana ha lasciato al cinema è comunque molto più grande di quella che sembrerebbe: dall'impiego di congegni elettronici (lo stesso De Palma e il Francis Ford Coppola de La conversazione), ai pedinamenti ed agli inseguimenti orizzontali e verticali (William Friedkin).
Altro aspetto interessante de La furia umana è la presenza costante. insieme a Cody Jarrett, del poliziotto Hank Fallon (Edmond O'Brien), vero elemento di rottura in una struttura filmica che altrimenti sarebbe stata unilaterale. Il continuo raffronto tra i due opposti, consente al regista di differenziare l'approccio dello spettatore alla storia, senza che si crei, però, un'accondiscendenza nei confronti del criminale da parte del rappresentante del potere precostituito I due ruoli sono ben definiti e non c'è permeabilità tra bene e male (come sarà, invece, per il film che decreterà trionfalmente la conclusione della stagione noir: L'infernale Quinlan di Orson Welles).
Ma il mattatore indiscusso della scena è comunque lui, James Cagney, che qui, con tutta probabilità, è alla sua interpretazione più magniloquente, eccessiva e al calor bianco (è il caso di dirlo, visto il titolo originale del film: White heat), di un gangster coerente con la sua solitaria ferocia, a tal punto da "farsi scoppiare il mondo sotto i piedi" pur di non arrendersi. Da citare ancora la colonna sonora, sempre efficace, di Max Steiner e la presenza della bellissima Virginia Mayo nella personificazione intrigante ed ambigua della "moll", la bambola del boss.