Recensione La mala educación (2004)

Un noir vorticoso che pur mantenendo le caratteristiche principali del cinema di Almodòvar lascia alle spalle le note di colore dei film precedenti, per trasformarsi in una trappola fatale.

Un caleidoscopio in noir

Il regista Enrique Goded cerca ispirazione per il suo prossimo film tra gli articoli dei quotidiani, quando alla porta bussa un ragazzo che si presenta come il suo vecchio compagno di collegio Ignacio Rodriguez. Nonostante stenti a riconoscerlo, Enrique fa entrare Ignacio nel suo studio ed accetta di leggere un manoscritto che questi gli sottopone come possibile soggetto per un film: una storia ispirata alla realtà - la loro vita in collegio negli anni '50 - ed integrata da elaborazioni di fantasia, come una visita di Ignacio adulto - che è diventato un travestito che si esibisce col nome d'arte di Zahara - a Padre Manolo, suo aguzzino ai tempi del collegio, per ricattarlo. Ignacio, che in realtà sta tentando di affermarsi come attore - ed insiste per essere chiamato con il nome d'arte di Angel Andrade - propone ad Enrique di affidargli il ruolo di Zahara, ma il regista oppone un netto rifiuto. Nei giorni successivi, Enrique scopre che in realtà Angel non è chi dice di essere, ma quando il ragazzo torna a fargli visita, decide di assecondarlo, di diventare vittima consapevole del suo misterioso gioco, per arrivare alla soluzione dell'enigma: ne diventa l'amante e ne fa il protagonista del suo film, ne sonda la personalità impenetrabile, tira fuori ricordi del passato - come una canzoncina innocente degli anni '50 - e li innesca come piccole trappole.

Prima che diventasse un'ossessione, Almodovar si è costretto a girare La mala educacion, dopo anni di ritocchi alla sceneggiatura, e il risultato è un noir vorticoso che pur mantenendo le caratteristiche principali del cinema del regista spagnolo - ovvero la specularità delle storie narrate e dei personaggi che ne fanno parte, una certa irresistibile irriverenza e soprattutto irruente, barocca passionalità nel delineare la psicologia dei personaggi - si lascia alle spalle le note di colore che avevano caratterizzato le opere precedenti, per trasformarsi in una trappola fatale. Se gli eventi tragici di Parla con lei e Tutto su mia madre erano alleggeriti da tocchi di graffiante ironia e da respiri di speranza ed ottimismo, stavolta ci troviamo di fronte ad una storia che più nera non si può, in cui il male ed i sentimenti negativi, trovano spazio in tutti i personaggi. Un solo raggio di sole illumina le prime scene del film, il personaggio di "Paquita" - interpretato da uno straordinario Javier Camara in un ruolo piccolo e macchiettistico, ma leggero e solare - e poi si viene ingoiati nel bitume che impregna la storia, un nero caleidoscopio di vendette, inganni, passioni e ricordi, al centro del quale si muovono i protagonisti della storia. Se in Parla con lei il gioco di specchi filmico si prestava a raccontare le storie parallele di due donne avvolte in un sonno mortale, ne La mala educacion i riflessi diventano spesso ingannevoli e taglienti, e nulla è davvero ciò che sembra: i tre personaggi principali del film, Ignacio, Enrique e Padre Manolo, si frammentano, si moltiplicano, si riflettono uno nell'altro a formare un disegno oscuro ma preciso, ben delineato che si svolge in tre contesti temporali diversi ed in bilico tra finzione cinematografica e la realtà deformata da punti di vista narrativi diversi.

Nonostante l'impostazione del film sia quella di un noir in piena regola, Almodovar ne frammenta la struttura narrativa e ne rielabora gli archetipi, e quindi al posto di una qualsiasi Veronica Lake, troviamo un "homme fatale", il bruno Gael Garcia Bernal, un uomo dai tre volti e dall'identità misteriosa che attira nella sua rete Fele Martinez e che nulla ha da invidiare alle dark ladies dei noir degli anni '40; il regista inoltre rende le atmosfere del noir meno fredde e più fiammeggianti e sensuali e pur mostrando tutto lo squallore e la bassezza in cui possono sprofondare i personaggi, non rinuncia a tocchi di poesia così elevati da lasciare senza fiato.
Splendide le ambientazioni, i colori freddi ed austeri del collegio; il verde brillante della vegetazione in estate che diventa teatro di un abuso; i muri di un vecchio cinema sul quale nel corso degli anni si sono sovrapposti manifesti pubblicitari, un collage di strisce di carta che è un affresco di due periodi opposti: la spagna franchista degli anni '50 e la spagna frenetica della movida, i vecchi manifesti dei film dell'icona gay spagnola Sara Montiel, sepolti sotto gli annunci di un'epoca nuova. Toccante e delicata la messa in scena della prima, segreta storia d'amore di due ragazzini, la loro scoperta della sessualità e i primi sospiri erotici, poi la separazione. Splendida la caratterizzazione dei personaggi, così ricca di sfumature e così poco prevedibile, da rendere il mistero di Angel Andrade ancora più fitto. Un film emotivamente spiazzante, dolce e sensuale, ma anche cinico e molto amaro, difficile da scrollarsi dall'anima, che conferma ancora una volta il genio di Almodovar.

Movieplayer.it

5.0/5