MHGA. Make Hollywood Great Again, per parafrasare il ben noto cavallo di battaglia autarchico di Donald Trump e dei suoi sostenitori. Già perché in attesa di scoprire come evolveranno, anche tematicamente, le produzioni dell'industria del cinema e della TV statunitensi sull'onda del secondo mandato di The Donald è impossibile non notare come, citando il titolo italiano del film che è valso il terzo premio Oscar a Jack Nicholson, "qualcosa è cambiato" nella relazione fra le grandi produzioni "stars & stripes" e la risposta che il box-office internazionale riserva loro.
Sia chiaro: basta dare un'occhiata alle performance di titoli trionfali come Inside Out 2, Cattivissimo me 4 o anche di flop come Joker 2 per constatare come la presa dei film Made in USA sia ancora fortissima fuori dagli Stati Uniti dove viene raccolto ben più del 50% degli incassi. Ma per svariate ragioni, fra le quali il Covid, sempre lui, ci sono lungometraggi dal budget e dal marketing molto importanti che hanno faticato molto una volta oltrepassati i confini degli Stati Uniti d'America.
C'è un prima e un dopo il 2020
In linea di massima, un film di successo tende ad avere un box-office con un flusso di denaro che si genera per il 30-40% dalle casse dei cinema statunitensi e per il 60-70% da quelle delle sale internazionali. La storia degli ultimi dieci, quindici anni ci ha mostrato, spesso e volentieri, un panorama dove a decretare la riuscita economica, magari parziale, di un grande tentpole prodotto da una major americana è stato proprio il percorso fatto fuori dai confini nazionali. Nel 2013 il cult robotico di Guillermo del Toro, Pacific Rim, vide arrivare ben 309 milioni di dollari, da un totale di 411, proprio dalle piazze internazionali.
Parliamo di una percentuale del 75% che vedeva primeggiare, con quasi 112 milioni, la Cina. Motivo per cui la Legendary mise poi in cantiere un seguito di minor successo, 290 milioni al box-office globale, che nella sola Cina ne tirò comunque su quasi 100. Nel 2016 ci fu il caso ancora più eclatante di Warcraft - L'inizio, il lungometraggio di Duncan Jones basato sull'omonimo videogame. I milioni incassati complessivamente furono 439. Di questi, l'89,2%, quindi 391 e spiccioli, arrivavano dalle sale internazionali con quelle cinesi che primeggiavano ancora una volta con la "folle" cifra di 225 milioni. Certo, per via dei regolamenti cinesi, Hollywood tratteneva "solo" il 25% degli incassi e per assicurarsi l'uscita in quel mercato doveva "chinare il capo" e co-produrre i film con colossi locali e non adottare approcci critici di alcun tipo verso la Cina e i suoi abitanti, ma tant'è: c'è stato un lungo lasso di tempo in cui a Los Angeles e dintorni hanno coccolato in ogni modo le piazze estere, in primis quella asiatica di cui abbiamo parlato finora.
New world order
Dal 2020 in poi, fra tensioni geopolitiche dovute a pandemia e guerre, il panorama è mutato drasticamente. Da una parte l'industria dello spettacolo americana ha capito che deve fare a meno di una Cina diventata molto meno ricettiva verso le sue produzioni e, dall'altra, dalla primavera del 2022 ha visto letteralmente sparire il cash-flow proveniente dai cinema russi dopo la ben nota e ingiustificata invasione dell'Ucraina.
E c'è di più: una macchina come quella di Hollywood, sempre prona quando si tratta di evitare polemiche che possono mettere i bastoni fra le quote alla sua salute finanziaria, ha cominciato, saltuariamente, a infischiarsene di eventuali elementi presenti in un dato film che potevano rislutare sgraditi al Partito Comunista Cinese. Top Gun: Maverick venne difatti bandito in Cina per via della presenza, sulla giacca di Maverick, della bandiera di Taiwan.
Una persona per cui questioni come queste sono il pane quotidiano, Shawn Robbins, direttore delle analisi delle performance cinematografiche presso Fandango, interpreta così l'attuale scenario parlando con Variety: "C'è un nuovo ordine mondiale ed è qualcosa che gli studi non hanno ancora pienamente assimilato. Mercati internazionali come Cina e Russia non sono più quelli di un tempo. Gli scioperi del 2023 a Hollywood e il COVID hanno spinto alcuni Paesi a fare più affidamento sulle produzioni locali per colmare il vuoto creatosi. Le major fanno più fatica a capire quale tipo di risultato internazionale possano realisticamente aspettarsi dai film". Aggiunge anche che "Un decennio fa, il botteghino era più orientato verso i mercati internazionali, ma potrebbe tornare a spostarsi nella direzione opposta".
Tre casi degni di nota
In questo 2024 di cinema che si appresta a terminare, sono tre i film che, in maniera più lapalissiana, sono stati salutati calorosamente dal pubblico statunitense e in modo estremamente più freddo altrove: Twisters, Beetlejuice Beetlejuice e Wicked. Cominciamo da quest'ultimo. Ad oggi siamo a 531 milioni di dollari a livello globale, di cui 365 (68,7%) dai cinema americani e 166 (31,3%) da quelli esteri. Ci sono varie angolature attraverso le quali osservare il risultato. La prima, ovvia, è che i musical in lingua inglese tendono a performare meglio in quelle nazioni in cui si parla del dato idioma e quindi, chiaramente, gli USA, l'Australia e il Regno Unito.
Poi malgrado la popolarità a Broadway di un musical come Wicked che, in 21 anni, ha generato 5 miliardi di giro d'affari e nonostante il collegamento con Il mago di Oz, in Francia, Italia, Germania e via discorrendo è esponenzialmente meno conosciuto. La Universal ha speso fior fiore di milioni di dollari dappertutto per promuovere il lungometraggio anche come forma di "investimento" per l'uscita della seconda parte nel 2025. Su Variety, Jeff Bock, noto senior analyst di Exhibitor Relations, spiega che "A volte ci vuole solo un po' di tempo per far sì che questi film abbiano presa. Ma le recensioni sono state buone e tende a piacere alle persone dopo che lo vedono, quindi il passaparola dovrebbe crescere". Staremo a vedere.
Più semplice inquadrare il caso di Beetlejuice, Beetlejuice nonostante la presenza, alla regia, di un regista amatissimo e venerato come Tim Burton. Il 65,2% dei 451 milioni guadagnati dal lungometraggio sono arrivati dagli Stati Uniti perché parliamo del sequel di un film molto più popolare negli USA che altrove. Maggiormente anomalo il caso di Twisters, specie tenendo conto che il film del 1996 vide il suo box-office da 494 milioni quasi perfettamente diviso a metà fra mercato domestico e non.
Con il film di Lee Isaac Chung la forbice dei suoi 370 milioni in biglietti venduti dentro e fuori casa è stata del 72,2% e del 27,8%. Sempre su Variety si azzardano delle critiche neanche troppo velate a come la Warner lo ha pubblicizzato fuori dagli Stati Uniti dove, invece, è stato distribuito dalla Universal. Si parla di una mancata capitalizzazione dello star power di Glen Powell e della spinta assente per le esperienze PLF, 4DX in primis. Ci permettiamo di aggiungere che, forse, lo star power di Glen Powell, nonostante l'exploit di Tutti tranne te, non è ancora così forte da determinare il destino di un film.
D'altronde il primo Twister aveva fatto i soldi che aveva fatto fuori dagli USA grazie a un cast validissimo capitanato dal compianto Bill Paxton ed Helen Hunt che tuttavia, in quel decennio, non potevano certo vantare la stessa presa di altri colleghi o colleghe.
Probabilmente Twister è semplicemente arrivato fuori tempo massimo contrariamente al primo capitolo. Nel 1996, Twister aveva svariati ganci da sfruttare. Era stato venduto in modo più deciso come un film "prodotto da Steven Spielberg" basato su un'idea dello scrittore di Jurassic Park, Michael Chrichton, diretto dal "regista di Speed" Jan de Bont. C'erano poi gli effetti speciali letteralmente all'avanguardia per il periodo, tanto che la pitch stessa con cui Twister venne proposto alla Universal e alla Warner non era nulla di scritto. Era una sequenza interamente generata al computer dalla ILM con un pickup che si dirigeva verso un tornado che sollevava un trattore, mentre uno dei pneumatici si staccava sfondando il parabrezza del pickup. Verso la devastazione creata con gli effetti visivi, le persone di oggi sono decisamente più smaliziate e più difficilmente impressionabili di trent'anni fa. Con tutto ciò che ne conseguen in termini d'incassi.