Recensione Francesco Nuti... e vengo da lontano (2010)

Il grande merito artistico dell'opera di Mario Canale sta nell'aver riportato alla memoria l'originalità di un artista che da subito ha conosciuto il successo; il documentario non propone nulla di originale dal punto di vista stilistico, ma la sua forza sta nella genuina testimonianza che vuole essere.

Tutto per un sorriso

Chiamiamolo pure omaggio del mondo del cinema ad un autore da sempre in fuga da ogni definizione netta, ma Francesco Nuti... e vengo da lontano, documentario di Mario Canale presentato al Festival Internazionale del Film di Roma, nella sezione eventi speciali, è soprattutto un affettuoso racconto delle mille facce di un artista vero, uomo fragilissimo nella sua genialità, un regista meticoloso, innamorato dei colori. Grazie ai backstage girati sui set dei suoi film più importanti, alle interviste con gli amici più cari e al fratello Giovanni, viene dipinto il ritratto di un saltimbanco del cinema; un essere umano a due facce, amato dalle donne e venerato dal pubblico (almeno fino ad un certo punto della carriera) e allo stesso tempo profondamente malato. La contradditorietà, infatti, sembra essere il tema ricorrente della sua vita artistica e personale. Gallina dalle uova d'oro negli anni '80, grazie alle consolidate collaborazioni con il produttore Gianfranco Piccioli e con il regista Maurizio Ponzi (Madonna che silenzio c'è stasera, Io, Chiara e lo scuro, Son contento) e autore dal tratto riconoscibilissimo, Nuti si inceppa nel 1994 durante l'ideazione di OcchioPinocchio, commedia funestata da mille problemi, caduta sotto il peso della sua stessa ambizione, ovvero riscrivere il capolavoro di Collodi in chiave moderna.

Da quel momento, tutte le sue certezze crollano senza appello. Depressione e dipendenza dall'alcool lo accompagnano in una vita di alti e bassi, fino al giorno dell'incidente casalingo (il 2 settembre 2006) che segna uno spartiacque decisivo nella sua esistenza. Da quel momento, sulla vita dell'attore-regista toscano sembra essere caduta una spessa coltre di silenzio. E' stata la fredda reazione di un mondo tradizionalmente assuefatto alle vittorie, di fronte al crollo di uno dei suoi rappresentanti più noti. Ci ha pensato quindi uno dei suoi più devoti collaboratori, Giovanni Veronesi, a riscattare questa situazione. Nel documentario di Canale, infatti, il regista di Manuale d'amore (frenetico nel suo camminare continuo, come a sfuggire alla pesantezza di quei racconti) sceglie per sè il ruolo di Cicerone, per permettere agli spettatori di conoscere (e riscoprire) una figura così particolare. "Non sono un comico, né un attore drammatico. Non so nemmeno io chi sono", dice di sé Francesco Nuti in una delle interviste di repertorio raccolte da Canale.
A dare il loro piccolo contributo in questo toccante lavoro sono stati quelli che con Nuti hanno condiviso gli splendori del set: la compagna Annamaria Malipiero, Giuliana De Sio, la più tagliente e meno consolatoria nelle sue dichiarazioni, Carlo Verdone, Leonardo Pieraccioni, Ferzan Ozpetek e Giorgio Panariello.
Il grande merito artistico dell'opera di Mario Canale sta nell'aver riportato alla memoria l'originalità di un artista che da subito ha conosciuto il successo, da quando cioè mise piede sulle tavole di un palcoscenico di Prato. In quegli anni '70 ricchi di fermenti artistici, il toscano scoprì il fuoco sacro dell'arte, mettendo a repentaglio una carriera da perito chimico in una fabbrica di tessuti (con grande dolore della madre, figlia di ferroviere, e quindi affezionata al posto fisso).
L'incontro con Alessandro Benvenuti e Athina Cenci segnò la nascita dei Giancattivi, un trio di comici surreali che seppe ritagliarsi un posto specifico nel mondo teatrale e televisivo dell'epoca. Grazie alla trasmissione cult Non stop di Enzo Trapani artisti del calibro di Carlo Verdone, Massimo Troisi e degli stessi Giancattivi riuscirono ad imporsi all'attenzione popolare, diventando, ognuno in modo diverso, il simbolo della nuova comicità. Nuti si differenziava da tutti loro per una spiccata vena malinconica, indubbiamente la sua ricchezza, ma forse anche la causa di parte dei suoi problemi. "Ho conosciuto l'asprezza del mondo dello spettacolo, tutto si è bruciato ed è restata la malinconia", dice durante un'intervista Giovanni Nuti, leggendo una lettera indirizzatagli dal fratello.
Il documentario non propone nulla di originale dal punto di vista stilistico, ma la sua forza sta nella genuina testimonianza che vuole essere. Una forza racchiusa nel sorriso che lo stesso Francesco Nuti ha concesso a Mario Canale, una volta appresa la notizia della lavorazione del documentario.

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3.0/5