Tre manifesti a Ebbing, Missouri: perché è il film dell'anno

Fresco del meritato trionfo ai Golden Globe, il poderoso dramma americano di provincia diretto da Martin McDonagh è un'opera severa, poetica e viscerale. Una riflessione moderna sul perdono e sulla giustizia destinata a lasciare un solco profondo in questo anno di cinema.

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Stuprata, uccisa, bruciata. Tre parole come tre chiodi, fissi nella testa di una madre che ha perso sua figlia in un modo balordo, conficcate nella pelle di una donna ferita, arrabbiata, pronta a tutto pur di avere giustizia. Tre parole che diventano tre manifesti personali, indelebili e illeggibili. Per questo l'indomabile Mildred Hayes, con il volto scavato dal dolore di una Frances McDormand sontuosa, decide di affittare tre cartelloni pubblicitari per gridare in faccia alla polizia locale tutta la sua feroce voglia di verità. Inizia così Tre manifesti a Ebbing, Missouri, con un gesto eclatante nato da un dolore indicibile, pronto ad espandersi a macchia d'odio lungo le strade di un posto in apparenza tranquillo. Per farci entrare nelle pieghe (e nelle piaghe) della sua città immaginaria eppure verissima, Martin McDonagh ci fa seguire le scie della polvere e dell'odio, le macchie del sangue e del male, ci fa continuare dritto lungo il confine americano tra il thriller e il western, il dramma e la commedia, alla scoperta di un panorama umano miserabile. Madri, padri, figli, uomini di legge e donne senza fede alcuna che sbagliano, cambiano, si dannano l'anima, esplodono e si redimono. Sono queste le anime in pena messe in scena da un'opera severa e poetica, viscerale nell'ispezionare con sguardo lucido l'anima della giustizia americana. Senza mai schierarsi, in perenne bilico tra la condanna e l'empatia, Tre manifesti a Ebbing, Missouri ha il sapore agrodolce della vita vera e il tocco raro dei migliori autori.

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Tre manifesti a Ebbing, Missouri: Frances MacDormand in una scena del film
Tre manifesti a Ebbing, Missouri: Frances MacDormand in una scena del film

Per questo, alla vigilia della sua uscita e dopo i trionfi di Venezia (Miglior Sceneggiatura) e dei Golden Globe (Miglior Film Drammatico, Miglior Attrice Protagonista, Miglior Attore non Protagonista, Miglior Sceneggiatura), non crediamo affatto di esagerare nel ritenere il film scritto e diretto da McDonagh un racconto prezioso, capace di cogliere con semplicità le contraddizioni umane. Perché dentro un film del genere c'è il meglio e il peggio di cui siamo capaci, messo in scena attraverso uno sguardo potente e intimo, romantico e disilluso. Ecco, quindi, cosa ci ha spinto a dare un titolo così altisonante (ma sincero) a questo articolo. Ecco perché Tre manifesti a Ebbing, Missouri rimarrà affisso sulle strade che portano verso il grande cinema.

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Tre mostri sacri a Ebbing, Missouri

Tre manifesti a Ebbing, Missouri: Sam Rockwell sul set del film
Tre manifesti a Ebbing, Missouri: Sam Rockwell sul set del film

La madre spigolosa, lo sceriffo sboccato e il poliziotto iracondo. Se Tre manifesti a Ebbing, Missouri fosse un western puro, potremmo davvero affibbiargli questo titolo, tutto dedicato ai meravigliosi personaggi interpretati da Frances McDormand, Woody Harrelson e Sam Rockwell. Sono loro i tre vertici di un triangolo narrativo che lega tre persone in maniera davvero indissolubile. Tutto parte dalla scelta sfacciata di Mildred, madre pronta a sbeffeggiare e ad accusare la pigrizia dello sceriffo Willoughby e di tutta l'orgogliosa polizia locale, da un gesto che dà inizio ad un effetto domino fatto di ira, sensi di colpa ed espiazioni. Stretti in un unico intreccio, questi tre personaggi umanissimi nei loro paradossi si dimostrano capaci di errori madornali e di gesti meravigliosi. Questa alternanza continua tra egoismo e altruismo, disgrazia ed eroismo, è resa alla perfezione da tre attori in stato di grazia, abilissimi a camminare sul filo lungo e sottile preparato per loro da McDonagh. McDormand, Harrelson e Rockwell si muovono così, in perenne equilibrio tra esplosioni eclatanti e gesti intimi, piccoli, espressioni minuscole dentro cui si nascondono caratteri ben definiti. I tre manifesti sono anche loro: tre attori enormi, tre persone unite dalla necessità di valicare i recinti in cui sono rinchiusi (il rancore, la malattia, l'odio) provando a tendersi la mano. Con tutta la fatica che comporta.

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Ironico, amaro, vero

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Dentro Tre manifesti a Ebbing, Missouri ci sono due scene-cardine in cui i protagonisti parlano vicino a delle altalene. Crediamo che non ci sia simbolo migliore di un'altalena per rappresentare l'opera terza di McDonagh. Ondivago e oscillante, a metà strada tra Fargo e True Detective, il film passa con abilità estrema dal drammatico al grottesco con la velocità improvvisa di un battito di ciglia o di un colpo di tosse. Merito di una scrittura sopraffina, capace di essere sferzante e dissacrante quando la storia si fa ironica, e poi enfatica, poetica, romantica persino, quando il regista affonda il colpo nella morale di questo film agrodolce. Senza mai diventare retorico e focalizzandosi sul potere di una violenza più verbale che fisica (non a caso tutto parte da parole messe in mostra), Tre manifesti a Ebbing, Missouri ha quasi le fattezze di una serie tv condensata in un lungometraggio, ed è ancora merito di uno script eccelso nel delineare l'evoluzione di personaggi che cambiano in modo graduale nell'arco di sole due ore. Nessuna montagna russa dalle parti di Ebbing, nessun luna park, ma solo un'altalena arrugginita e cigolante che fa in alto e in basso, avanti e indietro. Come la vita.

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Non è un paese perfetto

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Arrivare ed Ebbing significa addentrarsi in una città qualsiasi, quieta e sonnacchiosa ad un primo sguardo. Persone intente a bere birra nel patio di casa, empori semivuoti, strade deserte, gente tranquilla. Una normalità pronta ad essere spezzata dall'urlo di una madre stampato su tre cartelloni pubblicitari. Come suggerito dal titolo, per Martin McDonagh i luoghi sono importanti, il contesto è parte del racconto. In questo senso va lodata una regia scrupolosa a rappresentare una tipica cittadina americana di provincia, abile nell'entrare nelle case più borghesi e in quelle più povere. Alternando campi lunghi e primi piani, panoramiche di periferie desolate e ritratti di persone desolanti, il regista londinese sembrava quasi averci avvertito con i suoi due film precendeti: In Bruges - La coscienza dell'assassino e 7 psicopatici. Al centro del suo interesse ci sono i luoghi e la complessa sfera psicologica umana di cui sono composti. Il tutto senza mai dimenticare l'anima folk e country degli Stati Uniti d'America, di un Paese imperfetto, che sogna la grandezza mentre vive di paradossi.

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Il senso di un titolo

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Per una volta la traduzione italiana del titolo è assolutamente fedele, pedissequa, inattaccabile. Per fortuna. Tre manifesti a Ebbing, Missouri (in originale Three Billboards outside Ebbing, Missouri) non è un titolo facile, anzi, risulta ostico e poco avvezzo ad un facile passaparola tra gli spettatori. È un titolo scontroso come i suoi personaggi. Però c'è un però, ed è qualcosa difficile da spiegare come si deve senza cadere nello spoiler. Possiamo dirvi soltanto che si tratta del miglior titolo possibile, e assicurarvi che dopo aver visto il film gli darete un valore del tutto nuovo, pieno di un significato fondamentale. Perché, forse, i tre manifesti non sono soltanto tre cartelloni pubblicitari. Forse sono tre testamenti, tre grandi confessioni che parlano soprattutto di tre cose: Amore, Perdono e Giustizia. Seguendo queste indicazioni sarà facile arrivare nel cuore malconcio ma sincero di un grande, grandissimo film.