Recensione La guerra dei mondi (2005)

Come sempre, sono molteplici i temi e le chiavi di lettura insite nel film di Spielberg per quello che pare essere il film perfetto per le sue corde di narratore per immagini.

Tragici incontri ravvicinati

Dopo una lunga quanto strategica attesa, in tipico stile da blockbuster dalle grandi aspettative, la nuova invasione aliena spielbergeriana atterra contemporaneamente su tutti gli schermi della terra, con l'esclusione della Francia, dove il film uscirà il primo mercoledì di luglio. Ed è un'invasione sorprendentemente efficace, supportata dal migliore cast di supporto tecnico possibile ed in piena coerenza con i temi e lo stile del regista di Lo squalo, E.T. L'extraterrestre e Minority Report, straordinario intrattenitore dall'infinita padronanza del mezzo cinema ed intelligente manipolatore dei nostri sentimenti più profondi ed universali, la paura e l'amore su tutti.

Rivisitazione contemporanea dell'omonimo classico libro di fantascienza di H.G. Wells del 1898, evocato anche da Orson Welles nel suo celebre scherzo radiofonico e secondo adattamento ufficiale per il grande schermo, dopo la pellicola del 1953 di Byron Haskin, La guerra dei mondi racconta la tragica storia di una spaventosa invasione aliena vista dagli occhi di Ray Ferrier (Tom Cruise) un operaio portuale divorziato e incapace di essere un buon padre per i due suoi figli: il ribelle adolescente Robbi (Justin Chatwin) e la piccola Rachel (Dakota Fanning). Sarà proprio durante una delle sporadiche visite dei suoi figli, affidatigli per un week-end dalla sua ex moglie (Miranda Otto), che una gigantesca macchina da guerra emersa sotto le viscere della terra, dopo una violenta scarica elettrica, comincerà a distruggere tutto ciò che ha intorno. E' l'inizio di un sanguinoso attacco alieno contro il pianeta e della conseguente impossibile lotta per la sopravvivenza; un lotta che impegnerà Ray a salvare sé stesso e i suoi figli da un nemico insormontabile.

Come sempre, sono molteplici i temi e le chiavi di lettura insite nel film di Spielberg per quello che pare essere il film perfetto per le sue corde di narratore per immagini, alle prese con il genere che permette la messa a fuoco più pregnante delle metafore che caratterizzano e sintetizzano la sua forma di pensiero. La guerra dei mondi è infatti da un lato uno spettacolare e cupo film catastrofico dall'impareggiabile presa visiva e dal perfetto uso della tensione, del montaggio e del commento sonoro; un saggio artistico trasversale e generalizzante sui temi del mistero, della paura e sull'america post-11 settembre, dall'altro una riflessione che investe il piano strettamente individuale e che riguarda la difficoltà del quotidiano, la durezza della vita e delle scelte, l'amore, le responsabilità e l'identità. Riflessioni a volte semplici, in altri casi più profonde, non sempre adeguate o condivisibili forse, ma che coerentemente caratterizzano la drammaturgia del regista americano, il suo DNA autoriale, distanziando enormemente il suo cinema dal freddo esercizio di stile.

Tom Cruise, la cui capacità di scelta di film che lasciano il segno appare inferiore solo alle chiacchiere che accompagnano la sua vita sentimentale, ritrova Spielberg, dopo il discreto Minority Report per interpretare un ruolo difficile ed alto potenziale di retorica, cavandosela in modo non del tutto convincente, specie nella prima parte della pellicola, quando il suo tratteggiare le difficoltà di un padre un po' orso e disadeguato si dimostra decisamente forzato e poco credibile e curiosamente in linea con lo stile delle sue vecchie interpretazioni (Rain Man - L'uomo della pioggia in primis) da cui negli anni si è decisamente evoluto. Un limite interpretativo che non si fa sentire nei momenti di azione (la dimensione in cui si esprime meglio la star hollywoodiana) e che comunque non inficia la qualità complessiva di un film in cui si fanno notare anche la deliziosa Fanning ed un buon Tim Robbins, ma la cui star assoluta è senza dubbio Steven Spielberg, più degli alieni, più del marketing, più del digitale, più delle magniloquenti scenografie e dell'epico catastrofismo che caratterizza la confezione del film. Se cercate il prototipo perfetto di massima espressione tecnica e contenutistica del cinema ad altissimo budget, non lasciatevelo scappare; qui c'è tutto Spielberg con tutti i suoi limiti (pochi in quest'occasione) e le sue virtù.