Alla Festa del Cinema di Roma, che gli ha dedicato una retrospettiva e un premio alla carriera, ci arriva sfoderando un'inedita verve comica meritandosi l'epiteto di mattatore della giornata inaugurale del festival. Durante l'incontro con i giornalisti, che precede di poco quello con il pubblico, Tom Hanks scherza ("Perché piove?"), scimmiotta la cadenza romana ("Ogni tanto qualche giornalista italiano arriva e mi chiede: 'Ma tu sei quello di Forreste Gump?"), ci va giù duro con il candidato repubblicano alle prossime presidenziali americane, Donald Trump ("autoreferenziale e pieno di idee assurde") e ripercorre le glorie di una carriera eclettica che lo ha portato a interpretare una galleria di personaggi rimasti nel cuore del pubblico.
A dicembre lo rivedremo in sala con Sully di Clint Eastwood, per ora si gode Roma e il bagno di folla che nei giorni scorsi a Firenze ha accompagnato l'anteprima di Inferno di Ron Howard, dove Hanks riprende i panni del professor Robert Langdon.
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Il rapporto con il passato
Come si sente ripensando alla sua vita e alla sua carriera?
Meglio non guardarsi mai indietro perché il rischio è che il passato abbia il sopravvento.
Non riguardo mai i film che ho fatto: Big, Il falò delle vanità, Forrest Gump sono sempre lì, li ho visti e non cambiano mai.
Credo che la chiave del successo sia la longevità artistica, quando continuano a offrirti un ruolo; è questo il significato del successo ed io sono fortunato perché ho un corpus lavoro imponente.
Ogni film è un'avventura, un'esperienza nuova da cui imparo molto sia dal punto di vista umano che artistico.
Il "crap fest" di Trump e la politica americana
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Cosa sta succedendo alla politica americana? Ce lo può spiegare?
Non so se sia possibile dirlo, ma per me è il festival della merda 2016, potrebbe chiamarsi crap fest. Ogni quattro anni negli Stati Uniti arriva il circo e capita che il Paese si ritrovi davanti a un bivio, spesso c'è ansia e timore, a volte giustificati altre no. Il mondo sta attraversando una fase molto significativa, il futuro è incerto e misterioso, ma non abbiamo mai avuto un candidato così autoreferenziale e pieno di idee assurde. C'è sempre stata una versione dell'attuale candidato repubblicano, ma non abbiamo mai investito in loro e non lo faremo adesso.
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Di recente ha dichiarato che l'ignoranza è la cosa peggiore al mondo. Aveva in mente le imminente elezioni americane?
L'ignoranza è un bene che può essere comprato e venduto, ci sono persone che restano al potere solo promuovendo una particolare tipologia di ignoranza. E non intendo solo quella politica, ma una cosa è certa: quando prevale l'ignoranza in genere succedono solo cose brutte. Una volta un saggio disse che la verità rende liberi ed è vero, l'ignoranza è il contrario. Quando mi chiedono perché abbiamo Trump, rispondo che è per lo stesso motivo per cui voi avete Berlusconi.
Da Spielberg a Eastwood
Come decide quali personaggi interpretare? Si è mai pentito di aver detto qualche no?
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Non mi sono mai detto "Che stupido!" per aver rifiutato qualche ruolo, perché scelgo i miei personaggi di istinto. Dire sì è sempre facilissimo, per diversi motivi: perché ti pagano bene o perché puoi baciare una bella ragazza, fare una parte da duro, girare a Dubai o venire a Roma e essere il più figo della città. È molto più difficile dire no invece: quando ad esempio non senti quella passione assoluta che ti fa alzare la mattina con il desiderio di andare a lavorare, allora devi dire no. Ma soppesare il no è molto più difficile che non arrivare alla quindicesima pagina di una sceneggiatura e dire che è magnifica.
Pochi ruoli da cattivo. Come mai?
Ho una certa maniera di porgermi che potrebbe funzionare anche nella parte del cattivo, ma nel cinema non ci sono molte sfumature e non ho intenzione di interpretare il cattivo classico, l'archetipo del villain che digrigna i denti. Mi piacerebbe essere un cattivo ma per motivi che abbiano un senso e non solo per essere l'antagonista del protagonista.
Potremmo definirla l'ultimo erede della tradizione attoriale americana dei ruoli fortemente morali?
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Non considero mai la moralità in ciò che faccio. Con Steven Spielberg ho lavorato per ben quattro volte: John Miller era un personaggio semplicemente terrorizzato, in Prova a prendermi ero un po' come l'ispettore Javiert con Jean Valjean, a cui piaceva mettere i cattivi in galera. Alcuni agenti dell'Fbi mi dissero poi che il mio personaggio gli era piaciuto molto e sì, in questo caso c'è una moralità. In The Terminal l'idea era di rendere omaggio a mio suocero fuggito dalla Bulgaria sotto il dominio comunista e convinto che l'America fosse il piu grande paese del mondo perché poteva leggere i libri che voleva. Ne Il ponte delle spie abbiamo esaminato il comunismo in Unione sovietica; mi ha molto appassionato, perché come qualsiasi giovane californiano sono cresciuto pensando che fossero i nemici, i cattivi che volevano batterci e sotterrarci. In questo film c'è moralità, ma anche tante imperfezioni. In generale, però, non decido quale film fare in base alla morale perché mi interessa molto di più esplorare la condizione umana; la vita è una sequenza interminabile di eventi, o si sopravvive o si affoga.
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C'è il rischio che alcuni personaggi le rimangano appiccicati addosso e che qualcuno adesso la chiami Langdon?
E' un problema che esiste da sempre: essere identificati con un personaggio a tal punto da non poter essere altro. Ma è proprio per questo motivo che non mi piace ripetermi e per cui non sono qui a promuovere un Forrest Gump 8 e a convincervi che sarebbe il miglior film di sempre. Ciò che conta è il contratto che abbiamo con il pubblico, per cui ad ogni film si riparte da zero. Pensate a Sophia Loren: è stata Sophia Loren in ogni suoi film, ma è anche una grande artista da cui è impossibile distogliere lo sguardo.
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Come è stato lavorare con Clint Eastwood in Sully?
Lo ammiro, è una leggenda, un grande regista e un attore straordinario; ha realizzato film sofisticati come Invictus, Mystic River, quasi atemporali, come se appartenessero a un'altra era cinematografica. L'unico scambio che ho avuto con lui fu su quando avremmo girato, perché con Clint non si fanno prove e non si parla del personaggio. E' uno di quei registi che pensa di sprecare troppo tempo sul set e allora ti dice: "Vai e fammi vedere quello che sai fare". Con lui devi essere sempre pronto, parla pochissimo, non dice "Ciak!", "Azione", "Si gira", fa semplicemente un gesto e tu lo segui. Il che da un lato è molto liberatorio.
Il progetto che avrebbe sempre voluto realizzare da produttore?
C'era un americano molto famoso nell'Unione Sovietica, Dean Reed, e avrei voluto fare un film lì ma non fu possibile. Ci sono progetti che ti sfuggono dalle mani e spesso ci vuole tempo perché si realizzino.
La differenza tra i due mestieri è che un attore non deve mai spiegare nulla, ma solo capire cosa deve fare: non deve pregare nessuno o fare telefonate, ti portano i panini gratis, puoi arrivare in ritardo e dire che sei stanco, invece da produttore devi telefonare e pregare qualcuno di fare una cosa che non vuole fare.
Come produttore mi posso alleare solo con persone molto brave e con idee straordinarie.
L'artista italiano con cui vorrebbe collaborare?
Roberto Benigni, saremmo una coppia perfetta; peccato non essere riuscito ad andarci a cena a Firenze.
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