Titanic e gli altri: 5 grandi cult che non hanno avuto un sequel

Da Titanic - che possiamo rivedere su Infinity - a Fight Club: ecco cinque grandi cult che sono sfuggiti alla dittatura seriale del sequel.

Titanic in 3D: Kate Winslet e Leonardo DiCaprio in una tenera scena del film
Titanic in 3D: Kate Winslet e Leonardo DiCaprio in una tenera scena del film

Leggendo la classifica dei film con più incassi nella storia del cinema, emerge un fatto curioso. E molto indicativo. Nella prestigiosa top ten soltanto Titanic non è un sequel oppure un capitolo tratto da una saga. Sì, perché tra poco anche il re del mondo (anzi, dell'universo) cadrà in tentazione. Il capofila Avatar, capace di raccogliere ben 2,7 miliardi di dollari (e con Avengers: Endgame con sempre più fiato sul collo), sta per dare vita a una saga lunga (almeno) sei film e così la straziante storia d'amore tra Jack e Rose diventa davvero una mosca bianca nella lista dei Re Mida del box office. Una volta scoperto questa piccolo ma significativo primato, è ancora più facile capire come mai siamo letteralmente invasi da remake, reboot, sequel, prequel e universi narrativi.

Il pubblico ama la serialità, si affeziona a degli immaginari, si appassiona alla continuità di storie e personaggi. Che siano coerenti (pensiamo a Blade Runner 2049), persino migliori dei predecessori (Terminator 2, Spider-Man 2) o forzati (qualcuno ha detto Basic Instinct 2 e Dirty Dancing 2?) i sequel saranno sempre parte delle nostre vite cinefile. Mettiamoci l'anima in pace. Oggi, però, non vogliamo cavalcare l'onda, ma soffermarci sulle eccezioni. Ovvero sui grandi cult che, anche quando avrebbero potuto, hanno avuto il coraggio di fermarsi. Partiremo proprio da Titanic, disponibile sul catalogo di InfinityTV, per poi soffermarci su altri film molto amati, persino predisposti alla serializzazione, eppure rimasti fieramente unici. E mentre vi ricordiamo che i sequel di Matrix sono come i cucchiai (ovvero "non esistono"), ecco cinque eroici cult di cui non vedremo mai un seguito. Purtroppo e (soprattutto) per fortuna.

Un'immagine dell'avatar di Jake Sully su Pandora nel film Avatar
Un'immagine dell'avatar di Jake Sully su Pandora nel film Avatar

1. Titanic

Kate Winslet e Leonardo DiCaprio in una scena di Titanic di James Cameron
Kate Winslet e Leonardo DiCaprio in una scena di Titanic di James Cameron

Se esistesse un premio al "miglior regista di sequel", quel premio sarebbe spedito senza alcun dubbio nelle mani di un signore chiamato James Cameron. Sfidiamo chiunque a non entrare in crisi davanti ai suoi Terminator 2 - il giorno del giudizio e Aliens, capaci sia di essere coerenti con i cult che li precedono che di reiventarli, stravolgerli, superarli (a tratti) con una grande sapienza registica. Ed è per questo che, nonostante Avatar non sia il film più amato di sempre, abbiamo grande fiducia per la lunga, radicata e profonda saga che il buon James ha in cantiere per i suoi Na'vi. A dire il vero, un sequel apocrifo (e assolutamente non ufficiale) di Titanic esiste, ed è la solita quintessenza del trash targata Asylum. Lasciando affondare Titanic II nell'oblio, ammettiamo che la scelta di non dare un seguito al capolavoro di Cameron è stata l'unica possibile. Immaginare un sequel di Titanic è forzato, ridicolo, del tutto fuori contesto. Prima di tutto il titolo del film (Titanic 2), una volta affondata la nave, sarebbe stato appiccicato sulla locandina senza motivo, e poi la storia di Jack e Rose è perfetta così com'è. Nata, vissuta e tramontata a bordo di quel benedetto-maledetto transatlantico. Il fatto di aver conosciuto Rose anche da anziana, avendo appreso la natura e il peso del suo fardello portato addosso tutta la vita, avrebbe reso ridondante una storia dedicata alla vita di Rose dopo la morte del suo Jack.

Aliens e Terminator 2: perché James Cameron è il re dei sequel

2. I Goonies

Sul set de I Goonies: Jeff Cohen, Sean Astin, Corey Feldman e Jonathan Ke Quan
Sul set de I Goonies: Jeff Cohen, Sean Astin, Corey Feldman e Jonathan Ke Quan

L'avventura delle avventure. Tesori, pirati, il senso più autentico dell'amicizia. Cult assoluto degli anni Ottanta e fonte d'ispirazione esplicita per moderni fenomeni come Stranger Things, I Goonies è un film che si sarebbe prestato eccome a un seguito. L'idea di seguire la crescita del gruppo capitanato da Mikey e Chunk è a dir poco stuzzicante, coerente con classico percorso di formazione iniziato dal film e sorprende il fatto che non nessuno abbia voluto sfruttare l'amore e la devozione che avvolgono l'opera di Richard Donner. In realtà qualcuno ci ha pensato e ci ha sperato davvero. Stiamo parlando dell'attore Sean Astin, che non ha mai nascosto di credere che I Goonies 2 potesse davvero vedere la luce. Sino a qualche anno fa, Astin lasciava intendere che fosse solo questione di tempo, provando a facilitare le cose presentando a Donner una bozza di copione. Il regista, ormai 90enne, si è sempre detto contrario al progetto, mentre Astin continua a dimostrarsi fiducioso. "A prescindere da come verrebbe, la gente ci sarebbe grata anche solo per averlo fatto", afferma il nostro. Noi, preferiamo non rischiare e tenerci stretto il ricordo di quella meravigliosa avventura. Scusa, Sean.

Volevo essere uno dei Goonies! Il ricordo di un fan trent'anni dopo

3. E.T. l'extraterrestre

E.T. L'extraterrestre: Henry Thomas in una scena
E.T. L'extraterrestre: Henry Thomas in una scena

Tre anni prima degli amati Goonies, vennero i piccoli Elliot e Gertie. E.T. L'Extraterrestre è un altro caposaldo della fantascienza anni Ottanta che avrebbe potuto espandere la propria mitologia, magari dedicandosi con più cura e attenzione alla razza aliena conosciuta nel primo film, e ovviamente mostrandoci la maturazione dei piccoli protagonisti. Ovviamente Spielberg ci aveva pensato. Il sequel di E.T. esiste soltanto in forma embrionale, ovvero sotto forma di trattamento lungo appena nove pagine. Il sequel si sarebbe chiamato E.T. II: Nocturnal Fears e avrebbe raccontato una storia ambientata subito dopo i fatti narrati nel primo film. Elliot, alle prese con un grande senso di vuoto per l'addio all'amico alieno, avrebbe vissuto un altro incontro ravvicinato del terzo tipo, con una sostanziale differenza: questa volta gli extra-terrestri sarebbero stati minacciosi e tutt'altro che amichevoli. Anche in questo caso ci sentiamo in parte rassicurati dal non aver visto un sequel di E.T. Un sentimento confermato anche da questa vecchia dichiarazione dello stesso Steven Spielberg: "I sequel possono essere pericolosi, dannosi. Compromettono la tua integrità di artista. Penso che un sequel di E.T. non avrebbe fatto altro che derubare il film della sua purezza virginale, e le persone tendono a ricordarsi solo l'ultimo capitolo, lasciando ossidare quelli relativi a quanto visto in precedenza". Amen.

4. Fight Club

Brad Pitt e Edward Norton in una scena di Fight Club di David Fincher
Brad Pitt e Edward Norton in una scena di Fight Club di David Fincher

Amaro, disturbato, disturbante. Non esiste una fotografia dell'Occidente più livida e impietosa di quella scattata da Fight Club nel 1999. Un racconto distruttivo e allo stesso tempo lucidissimo sull'uomo contemporaneo alle prese con la sua impotenza, la sua alienazione, le sue piccole grandi frustrazioni. Il cult di David Fincher ha un finale assolutamente perfetto, tragico e rivelatore. Nessuno ha mai sentito l'esigenza o la mancanza di un Fight Club 2. Tutti tranne lo scrittore Chuck Palahniuk, autore sia del romanzo da cui è tratto il primo film che sceneggiatore del fumetto Fight Club 2, dedicato alla scialba vita matrimoniale di Marla e Sebastian (sì, si chiama così). Il tono è sempre disincantato e graffiante. La vittima preferita è sempre lei: l'incolore abitudine borghese. Se dal fumetto (uscito nel 2016) non è mai stato tratto un film, il motivo è semplice: Fight Club 2 è stato ideato, scritto e pensato per essere un fumetto. Niente di più. Niente di diverso. Una storia di tavole, vignette e baloon. Abilissimo nell'utilizzare l'arte sequenziale, Palahniuk si è divertito a destrutturare la grammatica fumettistica e a sabotare sul nascere qualsiasi tentativo di trasposizione sul grande schermo. Forse Fight Club 2 è stato l'addio di Palahniuk al suo mondo distorto (così simile al nostro), ma sì sa: "Le cose che possiedi finiscono col possederti". Non si sa mai.

Fight Club 2: le cose che leggi, finiscono col leggerti

5. Arancia Meccanica

Malcolm McDowell in una immagine iconica di Arancia Meccanica
Malcolm McDowell in una immagine iconica di Arancia Meccanica

Quando Arthur C. Clarke scrisse il romanzo 2010: Odissea due, seguito di 2001: Odissea nello spazio, ebbe una sola premura: prendere il telefono, digitare il numero di Stanley Kubrick e rassicurarlo: "Tranquillo, Stanley. Nessuno ne farà mai un film". Come non detto. Subito dopo l'uscita del libro, la MGM propose a Kubrick di lavorare al sequel, ma un regista come lui, che cambiava genere di film in film, che amava mettersi alla prova con sfide sempre più ardite e stimolanti, avrebbe mai accettato un ritorno su quell'astronave? Certo che no. Il film, poi, si fece lo stesso, e fu così che 2010: L'anno del contatto prese vita senza lasciare impronte degne di nota nella storia del cinema. Insomma, è facile capire quanto Kubrick fosse allergico ai sequel, e chissà come reagirebbe dinanzi all'annuncio dell'imminente Doctor Sleep, sequel di quel capolavoro chiamato Shining.

Osservando la sua filmografia, crediamo che soltanto Arancia meccanica avesse avuto le carte in regola per avere un seguito. La scarcerazione del "redento" Alex è un punto di partenza perfetto per mostrare gli effetti devastanti della Cura Ludovico e l'uso improprio che la propaganda avrebbe fatto di quella vicenda. Anche in questo caso un sequel "monco" di Arancia Meccanica esiste. Si tratta di un saggio incompiuto di Anthony Burgess (autore del romanzo da cui è tratto il film), un manoscritto di 200 pagine, intitolato A Clockwork Condition. Ritrovato dopo la morte dell'autore, il saggio è un'analisi alquanto apocalittica sugli effetti devastanti dei media sulla vita delle persone, ovvero del materiale poco incline alla trasposizione sul grande schermo. Siamo certi che al grande Stanley sarebbe piaciuto così. Con un bel punto alla fine della triste storia di Alex.