The Ring di Gore Verbinski (regista incredibilmente sottovalutato, ma questa è un'altra storia) può essere annoverato, tutt'ora, tra i film horror che più hanno reso protagonista lo spettatore. Che vuol dire? Semplice: ricorderete tutti lo sfarfallio del televisore analogico, il trillo del telefono e la VHS da cui inizia (e finisce) la maledizione di Samara. Una doppia visione, quella cinematografica e quella del pubblico, che condivide le identiche paure dei protagonisti: sullo stesso piano c'è la visione di un filmato considerato demoniaco, così come c'è il nostro diretto coinvolgimento, filtrato attraverso un doppio schermo. Di più, The Ring, che usciva in Italia il 21 febbraio 2003, registrando globalmente 250 milioni di dollari, sfruttava i suoi elementi portanti facendo sì che fossimo direttamente noi gli artefici dell'implicazione meta-cinematografica derivante dalla fatidica videocassetta.
Insomma, era l'alba degli anni Duemila, e la tecnologia stava sommessamente scavalcando i confini diventando sempre più digitale. Internet era una bozza, tuttavia imperversavano le varie applicazione peer-to-peer (KaZaA, WinMix, eMule...); gli smartphone non erano ancora considerati e, in ogni casa, girava un vecchio videoregistratore collegato via scart ad un televisore a tubo catodico. Un'altra epoca di cui oggi sentiamo marcatamente la mancanza, con la spaventosa silhouette di Samara che riaccende ormai un sapore nostalgico. Digressione malinconica a parte, la distribuzione di The Ring fu virale, tanto al cinema quanto in versione home video, con un riverbero che si allungò ben oltre il 2003: i DVD, poi i Divx, i file "scaricati" e, nonostante tutto, la centralità della VHS.
"Morirai fra sette giorni..."
Chi c'era, lo ricorderà: la visione casalinga di The Ring era un'esperienza inquietante, molto più che al cinema. Si organizzava la serata con gli amici, le luci rigorosamente spente e il brivido che saliva quando il videoregistratore ingoiava la videocassetta appena noleggiata. In quel momento, si accendeva il racconto filtrato dalla luce acida della fotografia magistrale di Bojan Bazelli, mentre suonava la colonna sonora di Hans Zimmer: quattro teen-ager muoiono una settimana dopo aver guardato una videocassetta amatoriale contenente strane e terrificanti immagini con una oscura ragazzina, Samara Morgan.
A districare (o ad intricare) la vicenda, la giornalista Rachel Keller, interpretata da Naomi Watts, indagando sulle morti e sulla VHS, scoprendo - suo malgrado - la verità sui poteri paranormali della pallida e tenebrosa Samara. Dunque, mentre vedevamo il film, in un placido sabato pomeriggio di vent'anni fa, ecco salire l'ansia. E se fosse tutto vero? E se la visione di The Ring fosse realmente propedeutica ad una maledizione che ci avrebbe inesorabilmente inseguiti e poi mortalmente colpiti? Succedeva che, il giorno dopo aver visto la pellicola, il nostro amico più suscettibile riceveva il fatidico scherzo telefonico che preannunciava "Morirai fra sette giorni". Giù a ridere, ma per mezzo secondo la suggestione si faceva raggelante paura.
20 Film horror diventati cult da vedere
Un film virale e l'ombra creepy del Giappone
Il film di Verbinski, scritto da Ehren Kruger, che due decadi dopo co-firmerà la sceneggiatura di Top Gun: Maverick, ha poi lanciato la moda degli horror giapponesi: l'Occidente, legato ad un certo tipo di horror, spalancò le porte ad una sequela di titoli orientali altamente creepy, spesso scambiati dagli utenti proprio attraverso il mercato melmoso e fuori legge del peer-to-peer: Suicide Club di Sion Sono, che influenzerà poi Hostel di Eli Roth; e poi Ju-on del 2000, diretto da Takashi Shimizu, che poi dirigerà The Grudge, rifacimento statunitense tratto dal terzo capitolo della saga, Ju-on: Rancore; o The Call - Non rispondere di Takashi Miike da cui il remake statunitense Chiamata senza risposta. La ventata horror e weird arrivata dal Sol Levante acchiappò Hollywood, tanto che pure il genio di Wes Craven non restò immune, firmando lo script di Pulse, remake di Kairo, cult nipponico diretto da Kiyoshi Kurosawa.
The Ring: i 10 momenti più spaventosi della saga horror
In fondo, The Ring, adattamento del romanzo Ring di Kōji Suzuki, e appunto remake di Ringu, horror giapponese del 1998 diretto da Hideo Nakata (che poi avrebbe diretto i due sequel prodotti in US, uscito nel 2005 e nel 2017), anticipa di almeno quindici anni il concetto di viralità: la leggenda metropolitana di Samara, tragicamente reale, si espande proprio per mezzo della condivisione della VHS, andando a creare un anello (da qui il titolo del romanzo di Sozuki, Ring, che richiama poi l'anello di luce che si vede dal famoso pozzo di Samara) da cui è impossibile uscire, se non tramite la stessa condivisione del maleficio stesso.
Non solo, negli USA, prima dell'uscita, fu organizzata un'incredibile campagna marketing: se il celebre filmato maledetto passava in tv, di notte, senza far riferimento al film, l'altra idea geniale arrivò dalla DreamWorks: il found footage di Samara venne registrato su alcune copie fisiche di VHS, lasciate casualmente sulle automobili parcheggiate fuori le sale cinematografiche. Essenzialmente, The Ring è uno dei primi esempi di marketing virale, centrando poi il punto con lo stesso concetto, espandendolo verso il pubblico. Impossibile resistere, e allora il rischio di vedere The Ring valeva l'inconscio timore che squillasse il telefono: "Tra sette giorni...".