Ci sono voluti più di dieci anni per arrivare a un adattamento soddisfacente del videogioco Naughty Dog, ma la serie di The Last of Us è finalmente tra noi. Non che se ne avvertisse il bisogno, essendo già il titolo originale un pilastro dell'action-adventure videoludico e della qualità narrativa del medium, ma data la volontà di trasporla molto più efficace si è rivelata la via del piccolo schermo. Strutturata in 9 episodi totali di durata variabile - dai un massimo di 81 a un minimo di 46 -, quella che dovrebbe essere a tutti gli effetti la prima stagione di una serie ongoing ha debuttato oggi in esclusiva su Sky Italia e NOW in lingua originale con sottotitoli.
Una produzione ambiziosa che si presenta come uno dei grandi eventi televisivi dell'anno, se non addirittura il più grande. I motivi sono da individuare nel fenomeno di massa che rappresenta il franchise The Last of Us e in una storia che, per quanto archetipica del genere, tra sopravvivenza, mondo post-apocalittico e pandemia, ha saputo riscrivere dall'interno i canoni qualitativi dello stesso, dando vita a un viaggio attraverso l'America profondo ed emozionante, teso e sconvolgente e fatto soprattutto di legami. Con la recensione del primo episodio di The Last of Us, inauguriamo oggi il primo dei nove recap settimanali dedicati alla serie, un progetto che alza di netto l'asticella della traslazione narrativa videoludica in serializzazione a tutto tondo.
N.B: ATTENZIONE, SPOILER A SEGUIRE
La fine
Come tanti esponenti survival ma diversamente da molti altri, The Last of Us comincia dalla fine. Non quella del racconto, comunque, ma dalla fine del mondo per come noi oggi lo conosciamo. A dispetto del videogioco, i cui eventi iniziano nel 2013, nella serie si è deciso di ambientare lo scoppio della pandemia di Cordyceps nel 2003, così da rendere l'anno attualmente in corso quello dell'avventura principale. Una scelta sensata che vuole in qualche modo accostare gli eventi della storia scritta da Neil Druckmann (qui anche co-autore e produttore esecutivo insieme al Craig Mazin dell'ottima Chernobyl a quelli purtroppo ancora non del tutto archiviati del Coronavirus. Ci riesce perfettamente e prima di entrare nel vivo della narrazione pone anche l'accento sull'effettivo pericolo che possono rappresentare i miceti, nient'altro che i funghi o almeno alcune precise specie. Lo fa mettendo in bocca a John Hannah nei panni del Dr. Neuman un semi-monologo serratissimo sui pericoli di un'eventuale infezione fungina umana da parte dei cosiddetti ascomiceti ma evoluti.
L'avvertimento è dato nel 1968, a rimarcare la straordinaria capacità d'ignorare dell'uomo e l'esatta scienza dei cambiamenti, come ad esempio quello climatico a cui stiamo assistendo proprio oggi. Veniamo catapultati poi nel 2003 e facciamo la conoscenza di Joel (Pedro Pascal), della figlia Sarah (Nico Parker) e del fratello Tommy (Gabriel Luna). Raccontata appena una normale giornata della loro vita - che coincide con il compleanno di Joel -, tutto va velocemente a rotoli a causa dell'inarrestabile e improvviso diffondersi dell'infezione da Cordyceps, con i protagonisti che tentano la fuga dai sobborghi di Austin, in Texas, con un primo epilogo straziante. Sarah viene infatti uccisa da un soldato dell'esercito, segnando nel profondo le successive scelte di Joel e imbarbarendone anche carattere e morale. Vent'anni dopo, in quella che diventa a tutti gli effetti un'ucronia ambientata nel nostro 2023, il mondo è diventato una landa semi-desolata e post-apocalittica.
In America la FEDRA (Federal Disaster Response Agency) coordina e gestisce svariate aree di quarantena in cui i sopravvissuti all'infezione possono continuare le loro vite. Joel si trova in quella di Boston, dove è conosciuto per essere un ottimo contrabbandiere. Stanchi dell'autorità dei militari, però, alcuni sopravvissuti formano le Luci, un gruppo di miliziani rivoluzionari con lo scopo di ribaltare il nuovo status quo e cercare una cura contro l'infezione. Sorprendentemente, è una dei leader delle Luci, Marlene (Merle Dandridge) a trovarla in Ellie (Bella Ramsey), un'adolescente ribelle e immune al fungo. Quando Joel e la compagna Tess (Anna Torv) decidono di partire alla ricerca di Tommy, scomparso ormai da mesi senza più nessuna comunicazione, i due trovano un accordo con Marlene per portare Ellie fuori da Boston ma senza sapere il reale motivo del "contrabbando". Lo scopriranno non appena lasciata la zona sicura, momento che chiude anche l'episodio d'apertura.
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Lost and Gain in Translation
Nel videogioco si viene quasi immediatamente catapultati nello scoppio improvviso dell'infezione da Cordyceps, creando nel videogiocatore un senso di smarrimento totale, di tensione crescente e terrore mentre tutto intorno va a fuoco, crolla, muore e finisce. È però vero che nel medium seriale si perde la parte interattiva e di quasi totale immedesimazione nei personaggi, le cui azioni non controlliamo più direttamente, diventando di fatto dei semplici spettatori. Mancando l'esperienza videoludica, cambia anche l'esperienza del racconto, essendo la serie di The Last of Us la riduzione in purezza del magnifico elemento narrativo del titolo originale. È un qualcosa che è subito avvisabile per chi ha giocato l'opera Naughty Dog, che avvertirà sicuramente un calo di smarrimento e tensione rispetto a quanto vissuto precedentemente e con mano, ma è incredibile come Mazin e Druckmann siano riusciti a sopperire a questa necessità di traslazione mediale allargando al contempo l'orizzonte contenutistico dell'opera e rispettandola fedelmente nell'anima.
L'incipit ne è già un chiaro esempio: il monologo di Hannah mette in chiaro pericoli, cause, profilassi, evoluzione e conseguenze dell'infezione fungina abbassando la soglia di guardia e sorpresa dello spettatore, che però nel momento della rocambolesca e spettacolare sequenza di fuga - tradotta in modo superlativo - non perderà quel miscellanea di emozioni e sensazioni che danno peso e senso alla scena. Soprattutto, se non si è mai toccato joypad o letto di The Last of Us, la sorpresa resta intatta così come il valore dell'opening, mentre per i videogiocatori resterà sempre superiore l'originale per quanto l'adattamento possa dirsi riuscito. È probabilmente la riflessione fatta da Druckmann e Mazin: perché riproporre senza nuove soluzioni la stessa sequenza se questa resterà sempre migliore?
Più fruttuoso e interessante ponderarla diversamente, anticipare informazioni, dare un veloce ma esaustivo background e una serie d'informazioni senza walk'n'talk in corso d'opera, spiegoni in media res improvvisi o documentazioni varie (come accadeva nel videogioco). In modo uguale, così da legare concettualmente la missione alla tematica dei legami - persi, ritrovati, in formazione -, a Joel viene dato uno scopo più umano del traffico d'armi come MacGuffin per arrivare a conoscere Ellie e accettare la missione di scortarla fuori Boston. Una soluzione che rispetta l'anima e l'essenza del racconto pur modificandone un piccolo elemento che però, concretamente, migliora e fortifica l'esperienza narrativa.
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Comincia il viaggio
Quella di The Last of Us è una delle migliori e più centrate e avvincenti series premiere viste negli ultimi anni. Segna un'importante evoluzione qualitativa per le trasposizioni videoludiche e insegna anche a rispettare cuore e senso di una storia sia nei contenuti che nella forma. La regia di Mazin è pulita e ossessiva, desiderosa di inquadrare l'immagine perfetta senza però deragliare troppo dai binari visivi già scriptati dal gioco, almeno quelli essenziali. Riesce nel difficile compito e costruisce un episodio sontuoso sotto quasi ogni aspetto, concentrato nel confezionare un prodotto ossequioso di storia e worldbuilding ma insieme fresco e coinvolgente. La Boston divorata dalla natura, con i suoi squarci dorati nello skyline, è un ritratto stupefacente delle atmosfere del videogioco, riproposte identiche ma con una forza differente e forse più concreta. Non c'è un dettaglio tecnico fuori posto e anche fotografia e musiche di Gustavo Santaolalla (già compositore di quelle del videogame) contribuiscono a perfezionare la visione traspositiva, brillante e raffinata.
Anche Pedro Pascal e Bella Ramsey si scaldano nel modo giusto nei panni di Joel ed Ellie, ed è in particolare quest'ultima a convincere su tutta la linea. Non importa la somiglianza perché lei è Ellie negli occhi e nello spirito, spigolosa e sarcastica, cinica e guerriera. La Ramsey porta la grinta della sua Lyanna Mormont de Il trono di spade dentro Converse e codino di Ellie, facendola propria, valorizzandone determinati aspetti, rimarcandone altri. Anche Pascal mette carattere e personalità nella sua interpretazione, che sa essere al contempo struggente e muscolare, profondamente umana e dicotomica. Il meglio lo danno ovviamente quando sono insieme, cosa che in questo primo episodio avviene poco e alla fine. Ma dovete fidarvi sulla parola, per il momento: non avete ancora visto nulla.
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Conclusioni
In conclusione di questa prima recensione, The Last of Us si presenta come un adattamento ambizioso e di grande qualità. In un primo e assolutamente convincente episodio, Craig Mazin e Neil Druckmann danno background e contenuti d'apertura di un progetto survival che affonda le sue radici nel viaggio e nei legami, dando un iniziale ma sostanzioso assaggio del worldbuilding e del valore narrativo della storia con l'obiettivo di sorprendere i fan già affezionanti al videogioco e incantare i nuovi spettatori. Il rispetto dell'opera originale e insieme il suo oculato e intelligente ampliamento strutturale danno l'esatta misura delle intenzioni di autori e produzione, mentre Pedro Pascal e Bella Ramsey contribuiscono a dare carattere ed emozione al prodotto, ancora in divenire e già pronto a lasciarvi senza fiato.
Perché ci piace
- Il monologo iniziale di John Hannah, perfettamente introduttivo, ben scritto, attuale e ottimamente recitato.
- Il rispetto del materiale originale: la sequenza della fuga, il worldbuiding, l'anima stessa del racconto.
- Pedro Pascal e Bella Ramsey convincono già a pieno, scaldandosi appena nei ruoli.
- Regia e cura tecnica sono di altissimo livello.
- Le musiche si Gustavo Santaolalla entrano nel cuore.
Cosa non va
- Il passaggio al medium seriale, anche se fisiologico al progetto, fa perdere un pizzico di smarrimento e tensione data dall'interazione e l'immedesimazione diretta con i personaggi.