Forse l'ultimo film valido di Guy Ritchie, eccezion fatta per The Covenant, è stato The Gentlemen, capace di riunire la sua poetica, i suoi archetipi narrativi e i suoi tipici personaggi legati al sottobosco criminale londinese. Forse è per questo che ha deciso di gettarsi nella serialità come altri suoi colleghi proprio partendo da quella pellicola, anche se ad onor del vero lo aveva già fatto all'inizio degli anni 2000 con Lock & Stock - Pazzi scatenati, la sua opera prima che diventò un serial forse mai arrivato da noi. Questa volta però ha completamente supervisionato il progetto, dalla scrittura alla regia passando per la produzione. Arriviamo così alla recensione di The Gentlemen, otto episodi pregni del suo modus operandi disponibili su Netflix.
La trama di The Gentlemen... in serie
La serie Netflix vuole espandere l'universo costruito nel film del 2019 partendo dal personaggio di Theo James, ovvero Edward Halstead, soprannominato simpaticamente 'Edwina' dal fratello perdigiorno Freddy (o 'Fredward' per contro-soprannome), interpretato da Daniel Ings. Eddie ha servito all'estero nell'esercito ma viene richiamato in patria al capezzale del padre morente. Loro sono una famiglia di nobili da generazioni e la matriarca Lady Sabrina (una ritrovata Joely Richardson) sembra non sapere ciò che accade sotto il proprio naso ai suoi figli, educati ad essere dei veri gentlemen come da titolo. Ora non vi diremo come questo nucleo va a collegarsi ed incastrarsi con la trama del film ma vi basti sapere che l'idea di fondo arriva al momento giusto, al posto giusto. Proprio come gli eredi degli Halstead, che mentre affrontano una possibile guerra intestina per il denaro e le proprietà si trovano ad avere a che fare con la malavita britannica loro malgrado. La domanda è: come affronteranno una situazione a cui non sono abituati?
The Gentlemen, la recensione: Guy Ritchie e i suoi simpatici gangster
(In)contro di mondi
Se la vita è come un ring, come sembra voglia dirci la filmografia di Guy Ritchie, questa The Gentlemen non sembra fare eccezione. Lo show possiede tutte le caratteristiche dei film di Guy Ritchie, ma in serie, proprio come i prodotti delle fabbriche in cui lavorano alcuni dei personaggi del micro-macro-cosmo del regista. Si tratta dell'esplorazione della malavita britannica, fatta di accento cockney e fine dissertazione, per parlare del divario sociale a volte estremo che troppo spesso tocca la popolazione di un regno, attraverso personaggi sopra le righe perfettamente caratterizzati fin da subito. Quasi fossero degli antieroi che operano nell'ombra, ognuno col proprio nome da battaglia, le proprie armi ed il proprio talento peculiare; ad esempio, nella serie, conosciamo The Gospel, ovvero l'Evangelista, un timorato di Dio e allo stesso tempo un uomo profondamente dedito alla violenza. Ma la confezione per il regista è tutto, l'abito fa assolutamente il monaco, soprattutto se si tratta di vestiti su misura abbinati a gemelli di stampo nobiliare: una patina di eleganza che pervade tutto, anche le scene più brit pop - colonna sonora compresa - e viene infarcita di vari riferimenti ed easter egg alla pellicola del 2019.
Un cast scelto accuratamente, come gli abiti dei protagonisti
Nel cast fortemente british emergono, oltre ad un ottimo Theo James che sembra nato, grazie al proprio fascino e savoir-faire, per interpretare il protagonista di un progetto di Ritchie, anche Kaya Scodelario (Maze Runner) che è Susie Glass, la cui vita si intreccerà inaspettatamente con quella di Eddie, e ovviamente Giancarlo Esposito nei panni di un sibillino uomo facoltoso e tentacolare. Dal Ritchieverse arriva anche Vinnie Jones alias Geoff Seacombe - lanciato proprio dal film Lock & Stock insieme a Jason Statham, e rivisto anche in Snatch - Lo strappo, altro cult dell'autore britannico. Proprio lo stile oramai immediatamente riconoscibile di Ritchie presenta pregi e difetti fin da subito e la serie non fa eccezione: dilatazioni narrative non sempre necessarie, che allo stesso tempo testimoniano l'amore che il regista prova per i propri interpreti e personaggi, nonché per il corpo maschile e femminile in modo da metterli in mostra. La palestra della narrazione in questo caso sono i terreni e le ville dei ricchi aristocratici, che rappresentano una categoria sociale in via di estinzione ma che allo stesso tempo mantiene saldamente le proprie tradizioni secolari. La domanda é: sono destinate a perire, a reinventarsi o a trovare un nuovo modo per (soprav)vivere?
Conclusioni
Chiudiamo la nostra recensione sottolineando come sostanzialmente The Gentlemen sia la summa della poetica filmica di Guy Ritchie, ma sviluppata in serie: le sue tematiche, i suoi personaggi, l’apologia del sottobosco criminale british e dei delicati equilibri di potere tra i vari livelli della catena alimentare sociale. Theo James ha il giusto fascino per essere il protagonista belloccio e glaciale del regista, guidando un cast che pesca un po’ dalla sua filmografia, un po’ da alcune (ri)scoperte inglesi variegate ed interessanti. Purtroppo il serial finisce nella sua stessa morsa, facendo perdere alla storia un po’ di ritmo. Il risultato però visivamente ha quell’allure che solo Ritchie riesce a dare alle proprie opere: così raffinate, ingegnose, curate nel dettaglio. In una parola: di classe.
Perché ci piace
- Theo James diventa l’Henry Cavill del piccolo schermo di Ritchie.
- I personaggi sopra le righe e la colonna sonora brit pop.
- L’ambientazione nobile e aristocratica e i suoi riferimenti al film.
- La mano nella scrittura e nella regia di Guy Ritchie…
Cosa non va
- …che presenta tanto i suoi pregi quanto i suoi difetti, come i dilatamenti narrativi e il ritmo altalenante.