Nel tentativo di restituire a Barry i poteri che gli sono stati tolti da Zoom, Harrison Wells decide di ricreare le circostanze dell'incidente originale, usando l'acceleratore di particelle. L'esperimento ha conseguenze negative per lo scienziato, poiché sua figlia Jesse finisce in coma, mentre Wally West ne è uscito sostanzialmente incolume. Quanto a Barry, egli è finito in una dimensione sconosciuta, e si ritrova a dialogare con la Forza di Velocità, che assume le sembianze di varie persone care al nostro eroe e gli dà un'ultima prova da superare prima di poter tornare come prima...
Un regista a dir poco fanboy
Anche chi lo conosce solo di sfuggita probabilmente sa che Kevin Smith è un nerd di prima categoria, cosa che il diretto interessato non ha mai nascosto, neanche nei suoi film: da Star Wars a Lo squalo passando per tutti i supereroi possibili immaginabili, con tanto di cameo di Stan Lee in Generazione X, la filmografia di Smith è spudoratamente ancorata in un certo immaginario popolare americano, che si è anche riversato nella sua vita privata tramite la figlia, chiamata Harley Quinn in omaggio alla compagna del Joker che vedremo a breve in Suicide Squad. L'autore di Clerks - commessi si è anche concesso molteplici collaborazioni con la Marvel e la DC, scrivendo Daredevil per la prima e Green Arrow per la seconda e poi apparendo in alcuni film, sia fisicamente (Daredevil di Mark Steven Johnson) che come voce (Superman/Doomsday).
Alcuni mesi fa, grazie anche alla sua amicizia ormai ventennale con Ben Affleck, ha condotto una trasmissione speciale sulla CW dove veniva presentato l'universo cinematografico della DC, e ora può vantare nel curriculum anche la regia di un episodio di The Flash. Un percorso praticamente immacolato, fatta eccezione per l'ira dei fan in seguito alla reazione iniziale di Smith dopo aver visto Batman v Superman: Dawn of Justice (l'ha poi rivalutato dopo una seconda visione, ma il danno era già stato fatto).
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In altre parole, abbiamo a che fare con un cineasta che, sulla carta, è perfetto per un prodotto come The Flash. Detto ciò, bisogna tenere conto di un dettaglio fondamentale: per sua stessa ammissione, Smith non è un granché con scene che richiedono azione fisica, e si esprime al meglio soprattutto con i dialoghi, il suo vero marchio di fabbrica (vedere per credere, la conversazione sul presunto razzismo di Star Wars all'inizio di In cerca di Amy). Dato che The Runaway Dinosaur - titolo brillantemente fuorviante - non è scritto dal regista, viene da pensare che in questa sede Smith sia stato assunto come semplice mestierante, a differenza di Joe Dante che, per Legends of Tomorrow, è stato scelto appositamente per un episodio pienamente nelle sue corde, omaggio ai B-movies degli anni Cinquanta. Lo stesso Smith ha dichiarato in più occasioni che un film di supereroi tradizionale non gli verrebbe bene, motivo per cui non ha mai seriamente preso in considerazione la possibilità di girare un cinecomic (anche se ci fu un flirt con The Green Hornet, prima che finisse in mano a Seth Rogen). Il che ispira la domanda, inevitabile: perché fargli fare un episodio di The Flash?
Mitologia a tutto spiano
La risposta si cela, probabilmente, nell'elemento più importante della puntata: la personificazione della Forza di Velocità, quell'entità misteriosa che dà i poteri a Barry e, nei fumetti, altri velocisti come Wally, la cui trasformazione a questo punto è solo una questione di tempo (precisiamo che nell'universo cartaceo Barry è anche l'artefice della Forza di Velocità, motivo per cui la sua nemesi Eobard Thawne non può ucciderlo senza ricorrere a manipolazioni spazio-temporali). Dopo alcuni episodi abbastanza deludenti, appesantiti da un'eccessiva patina dark che non è del tutto compatibile con il tono generalmente più ottimista delle avventure di Barry, Il dinosauro in fuga serve, in teoria, a reintrodurre la leggerezza di un tempo, restituendo al protagonista i suoi poteri e, di conseguenza, la gioia che ne deriva. Certo, lo fa riesumando l'elemento più cupo della caratterizzazione di Barry, ossia il trauma legato alla morte della madre, ma in un modo che, come nel finale della prima stagione, sottolinea gli aspetti positivi della vita di Flash.
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Perciò abbiamo a che fare con un episodio fondamentale, il cui scopo più importante è rassicurare i fan: il Flash che conoscete non è scomparso, è ancora tra noi. E per quella che sostanzialmente è una lettera d'amore rivolta a chi è cresciuto leggendo i fumetti o anche a chi si è semplicemente innamorato del personaggio grazie all'interpretazione di Grant Gustin, era più che giusto affidarsi ad un regista che, più di altri, capisce la gioia e la frustrazione che possono scaturire dalla passione per eroi come Batman e Spider-Man. E se in futuro ci aspettiamo, in caso di bis da parte di Smith, una puntata più personale (no, non basta il cameo dell'amico Jason Mewes), per ora possiamo dichiararci più che soddisfatti, perché la caratteristica più importante del regista è presente per tutti e quaranta i minuti dell'episodio: la passione sincera per la materia che gli è stata affidata. Ne avevamo bisogno, e lui non ha deluso.
Movieplayer.it
4.5/5