L'uscita nelle sale di Super, opera seconda di James Gunn, ragazzone cresciuto a bottega dalla Troma, ci porta a fare i conti per la seconda volta nello stesso anno con un nuovo modo di intendere il supereroismo, più realista e più violento: il supereroismo fai-da-te. Ovviamente derivato dal mondo del fumetto, che è diventato oramai la manna per tutti gli sceneggiatori di Hollywood privi di soggetti originali, ha però trovato una stabilizzazione tale da poter essere portato sullo schermo anche con sceneggiature originali (vedi appunto il film di Gunn).
Il filone che per primo ha creato l'interesse delle major nei confronti della Nona arte è stato proprio quello supereroistico: negli anni Zero tra il trittico dello Spider-man di Sam Raimi il reboot di Batman Begins da parte di Christopher Nolan, gli X-Men di Singer e poi il raffinato Hellboy di Del Toro e tante altre opere, soprattutto del franchise Marvel, il sottogenere è in poco tempo arrivato a dover ripescare supereroi (apparentemente) fuori tempo come Captain America: il primo vendicatore o meno celebri come Lanterna verde e il più autoironico The Green Hornet. L'adulthood dei supereroi, determinata in chiave dark soprattutto dal gran lavoro di Nolan&Co., ha aiutato a sviluppare un'ulteriore corrente di revisione/riflessione nei confronti dei supereroi.
Partendo da questi presupposti andiamo ad affrontare alcuni dei nuovi prototipi cinematografici di questo superomismo adulto, rivisto e corretto, composto da una miscela eterogenea di violenza, narcisismo, problemi relazionali, lacune affettive e veri disturbi mentali. Batman è solo nella notte a rischiare la pelle e, se non fosse per Alfred, è solo anche di giorno quando indossa la maschera di imprenditore edonista Bruce Wayne. Peter Parker è solo coi suoi "superproblemi". Rorsharch nella sua inflessibilità morale, inaccessibile a qualsiasi possibilità dialettica, sente uno iato tra la sua nemmeno tanto velata sociopatia e lo spirito di abnegazione degli altri colleghi. Ma chi l'ha detto che debba essere sempre così?
Takashi Miike omaggiando, più che i manga, i telefilm trash della sua infanzia realizza un film su Zebraman, eroe di una serie tv poco fortunata. Il protagonista della pellicola è un frustrato maestro di scuola senza prospettive né ambizioni, il cui unico diletto è onorare il culto del suo supereoe preferito e perfezionare il costume che userà per scorazzare di nascosto la notte. Durante una di queste incursioni si ritrova a salvare una ragazza: la Terra è sotto attacco alieno e l'uomo da imitatore di Zebraman diventa Zabraman! Questo passaggio repentino, in cui fuoriesce banalmente "l'eroe insito in noi", segna una rivoluzione per il protagonista che diventa progressivamente più sicuro di sé, capisce di avere nuove possibilità di relazionarsi con gli altri e di poter proteggere la nuova famiglia a cui tiene. Seppur con un'opera volutamente disimpegnata e sgangherata, nel 2004 Miike si faceva precursore di un nuovo corso nella rappresentazione del supereoismo nella società contemporanea; questo dopo aver plasmato il manga di Ichi the killer secondo coordinate plastiche clamorosamente innovative, anche se molti furono accecati dal loro svisceramento. Nel 2009 viene presentato al festival Internazionale di Toronto un piccolo film con un buon cast e una bella idea di sceneggiatura, destinato, però, a rimanere semi-invisibile e a uscire negli Usa direttamente in dvd: si tratta di Defendor di Peter Stebbings.
La pellicola d'esordio di Stebbings ha per protagonista un ottimo Woody Harrelson, il quale se ne va in giro per la città a tentare di sventare crimini, con indosso solo una tuta, un casco da cantiere, gli occhi dipinti (tutto rigorosamente in nero) e armato di biglie e di mazza "trench club" della seconda guerra mondiale; senza superpoteri ma con un'orgogliosa "D" sul petto, fatta con del nastro isolante grigio. Il prototipo dell'eroe fai-da-te è un ragazzone protetto soltanto dal suo capo-cantiere e aiutato da una giovane e scaltra prostituta, che cercano di tenerlo fuori dai guai: cresciuto da solo e con qualche problema mentale, il film di Stebbings racconta di un puro di cuore che cerca vendetta contro un fantomatico arci-nemico (Capitan Industria), reo di aver contribuito alla morte (per droga) della madre che lo abbandonò quand'era bambino. Il riscatto esistenziale e morale di una città corrotta fin dalle fondamenta è sulle spalle di un solo uomo con manie di grandezza, mancanza di buon senso, incapacità di prevedere le conseguenze, immaturità sociale (questa la diagnosi diagnosi della psicologa che lo intervista prima del processo).
Una sorta di Forrest Gump che invece di correre si mette in testa di combattere il crimine. Defendor pur rasentando nel finale un certo buonismo, mette la pulce nell'orecchio: uno che vuole fare il supereroe, per quanta bontà d'animo abbia, non deve però avere tutte le rotelle apposto. Proprio con quest'idea si apre Kick-Ass: la voce narrante dice che è strano che dopo di decenni di fumetti, film e spettacoli televisivi nessuno, stanco della deprimente normalità della propria vita, non abbia deciso di diventare un supereroe. Nel frattempo scorrono le immagini di un ragazzo con uno strano travestimento che, dall'ultimo piano di un grattacielo, si lancia nel vuoto ma "stranamente" le ali del costume non lo fanno planare e finisce schiantato su di un taxi, davanti alla gente che prima applaudiva e poi distoglieva lo sguardo sconvolta; la voce narrante di Dave ci avverte che quello non è lui, ma solo un armeno con problemi mentali. La rivisitazione del teen-movie in chiave superhero di Matthew Vaughn inizia con questa premessa: tutti almeno una volta nella vita abbiamo desiderato di essere supereroi. La fa il protagonista, un nerd disperato e sfigatello che si compra una tuta verde e due mazze, per uscire in sortite contro la piccola criminalità; crede di poter essere agevolato dall'effetto sorpresa ma, fuori forma e senza esperienza, si guadagna subito una coltellata che lo stende. Ma Dave persevera. Finché non incontra due vigilanti più organizzati, più addestrati e più spietati di lui, che invece perde tempo a farsi pubblicità su Facebook e a tentare di conquistare la ragazza dei propri sogni, con uno stratagemma originale. E si arriva a Super, che chiude virtualmente il cerchio. Il protagonista del film è un quarantenne lasciato dalla moglie ex-tossicodipendente per il gangster della classica ridente cittadina americana. L'uomo, che a quarant'anni per lavoro cuoce hamburger in una tavola calda e che non ha una vera vita, entra in una profonda crisi depressiva; piccolo invasato religioso, che guarda una serie demenziale in cui l'eroe è una sorta di Gesù Cristo che salva i giovani da peccati mortali come sesso e droga, instradandoli sulla retta via, si sente toccato dall'Onnipotente che vuole spingerlo alla medesima missione (anzi, ha proprio questa visione, dote che lo accompagna da quand'era bambino). Frank D'Arbo diventa quindi un vigilante col fine ultimo di riprendersi la moglie fedifraga, ma nel suo cammino incontra una ragazzina che lavora in un negozio di fumetti con la quale inizia un'atipica amicizia: finirà per diventare la sua partner col nome di battaglia di Boltie (mentre lui, di rosso vestito, è Crimson Bolt). Al contrario della geekness fumettistica di Kick-Ass, che rappresentava un codice di riferimento per i protagonisti (tutti appassionati della nona arte), in Super la questione è sfruttata solo marginalmente: servono i modelli per supereroi senza super poteri, per accantonarli con un'estetica della violenza sopra le righe che sfocia, in particolare nella battaglia finale, nello splatter più disturbante. In Super si tocca anche un altro nervo scoperto del giustizialismo insito nell'operato dell'eroe/vigilante: in che modo intervenire e con quali mezzi? Frank D'Arbo, alla fine, non ci pensa due volte e usa un'enorme chiave inglese con cui spacca indistintamente la testa a spacciatori, pedofili, borseggiatori e gente che salta la fila. La sua Boltie si rivela ancora più instabile di lui, con paurose tendenze sociopatiche, tanto da rischiare di vendicarsi per conto di una sua amica uccidendo un ragazzo soltanto per aver rigato un automobile. Seppur ridendoci su, Gunn mostra per quasi tre quarti di film il disgusto e l'inquietudine per una violenza compiuta con malate buone intenzioni. Da notare poi come la declinazione delle istanze similari dei tre film americani, usciti tra 2009 e 2010, si differenzino molto nei finali. In Defendor Arthur Poppington va drammaticamente fino in fondo alla sua missione e riesce sia a realizzare il suo sogno di vittoria sulle forze del male sia a restituire una vita migliore alla prostituta dal cuore d'oro Kat. In Kick-Ass si assiste a un'inversione di tendenza, con il nostro geek che la spunta con gente più cattiva e preparata di lui e, che, in cambio, ottiene pure una ragazza e una vita sociale: il superomismo come ingenuo mezzo di affermazione tra i teen-agers va a ridimensionare il concetto di supereroe, anche se il risultato finale è molto meno corrosivo rispetto alle premesse.
In Super la moglie Sarah si salva grazie all'esplosione furiosa di Crimson Bolt. Anche se in seguito lei lo lascerà definitivamente, Frank è fiero di se stesso e trova un equilibrio giustificando le sue azioni. In maniera molto ambigua, e anche incoerente, Gunn mostra quindi solo il lato positivo dell'interventismo di Frank che, grazie al costume di Crimson Bolt, si è costruito una "maschera" sociale che l'ha reso più sicuro e che gli ha permesso di fare del bene nel corso del tempo - contraddicendo praticamente il discorso fatto durante il film. E la tv resta a guardare? Neanche per idea. Archiviato con apprezzamenti altalenanti Heroes di ispirazione simil-marveliana e con una nuova coralità cosmopolita, il nuovo supereroismo fa capolino anche nelle serie tv. Non il vigilantismo self-made ma è il "supereroe per caso" che attrae: come accade alla famiglia di No Ordinary Family e, soprattutto, ai cinque misfits protagonisti dell'omonimo serial britannico. Ragazzi disadattati, condannati a delle ore di servizio in una comunità di recupero, vengono colpiti da un fulmine che dona loro i poteri più strampalati: dall'invisibilità alla telepatia, dal tornare indietro nel tempo al far eccitare col solo contatto epidermico, ma poiché non sono stati gli unici a essere fulminati non mancano immortali, santi taumaturghi e altri fenomeni da baraccone. La serie di Howard Overman ha però avuto la grande intuizione di coniugare l'accidentale super potere di Spiderman con le problematiche post-adolescenziali dei teen-drama à la Skins: sboccati e senza nerbo, vivono alla giornata e non si fanno scrupoli ad usare i loro poteri per scopi personali. Nathan, Simon, Kelly, Curtis e Alisha vogliono tutto fuorché indossare una calzamaglia per tentare di salvare il mondo. Rimanere tutti interi durante le normali avventure quotidiane è già sufficiente.
In fondo, si sa, ogni generazione ha i miti e gli eroi che si merita. E se i reaganiani anni '80, edonisti fuori e marci dentro, furono contraddistinti dai fumetti revisionisti di Frank Miller e Alan Moore, il decennio '00 post- 11 settembre non può portare che il vento della crisi e della fine dell'impero. Questi eroi sono uomini qualunque che si armano alla bell'e meglio o posseggono (super)poteri indesiderati: cinici, violenti, senza etica, questi eroi bastardi - ma, talvolta, affamati di gloria - hanno portato una ventata di realismo, azzerando l'afflato epico del genere. Forse segnando la fine di un'epoca.