Nei giorni in cui Silvio Berlusconi torna alla ribalta con Loro 2, il film di Paolo Sorrentino dedicato a lui e alla sua corte, non riusciamo a toglierci dalla mente l'ultimo Cavaliere che abbiamo visto in un prodotto di finzione, il Berlusconi di Paolo Pierobon che appare in 1993, la serie andata in onda su Sky Atlantic e che racconta gli anni che cambiarono l'Italia, dal 1992 al 1994, incrociando realtà e (splendidi) personaggi di finzione. Quel Berlusconi è una figura tragica, alta, letteraria: non è mai una caricatura. Così come i personaggi di finzione non sono mai fini a se stessi, né limitati ai tempi che la serie racconta: arrivisti politici pronti a cambiare casacca (Leo Notte/Stefano Accorsi), soubrette pronte a candidarsi grazie al loro bel volto (Veronica Castello/Miriam Leone), idealisti destinati a uniformarsi agli altri politici (Pietro Bosco/Guido Caprino), sono gli italiani che da vent'anni, e ancora oggi, sono sul proscenio.
Il merito di queste figure così riuscite è anche e soprattutto della scrittura, e di un trio di sceneggiatori, Stefano Sardo, Ludovica Rampoldi e Alessandro Fabbri (autori degli script de La doppia ora e Il ragazzo invisibile) che stanno lasciando il segno nella scena produttiva italiana. Proprio in questi giorni abbiamo avuto l'occasione di intervistare Stefano Sardo agli Incontri internazionali di cinema di Sorrento. Abbiamo parlato di 1992, 1993, 1994 e di molte altre cose che, da appassionati di cinema e tv, ci stanno a cuore...
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Come è nato il sodalizio con Rampoldi e Fabbro?
Ho conosciuto Ludovica Rampoldi al corso Mediaset nel 2002, e abbiamo cominciato a scrivere insieme il saggio da fine anno. Da lì siamo rimasti con la voglia di fare altre cose insieme. Nel frattempo giocavo a calcio con la nazionale scrittori e il più giovane era Alessandro Fabbri. Rai Cinema aveva conosciuto un mio lavoro, per un film che poi non si è fatto, e mi aveva chiesto di scrivere un thriller: chiesi a Ludovica di scriverlo insieme, e Alessandro propose di darci una mano. Nel 2005 si formò questo trio, scrivemmo La fine del bosco, un film senza regista: il copione piacque tantissimo, ma quando trovarono il regista, che stravolse il copione, il progetto morì. Ma noi tre eravamo diventati una squadra.
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Regista cercasi
E da lì che è nata La doppia ora?
Avevamo ottenuto l'attenzione di Francesco Scardamaglia, un autore e sceneggiatore che aveva tenuto il corso Rai che aveva frequentato Fabbri. E ci aveva chiesto se avevamo un soggetto per un thriller legato a una donna. Aveva letto di un caso di una donna che a Como aveva visto un delitto, una "veggente". Il giorno dopo gli portammo un soggetto di due pagine: una donna che, svegliandosi dal coma, si ricordava di un delitto. Doveva essere una miniserie, ma non si realizzò neanche quella. Ci venne in mente un'altra idea, il soggetto de La doppia ora. L'idea viene dalla mia fidanzata dell'epoca, Valentina, che quando vedeva una "doppia ora" diceva "esprimi un desiderio", o mi dava un bacio, per lei erano dei segnali. Ci serviva una cosa che, nel tempo normale della protagonista, fosse una cosa piccola, nel tempo del coma potesse essere interpretata in un momento magico. Anche la canzone dei Cure, che lui le faceva sentire mentre era in coma, aveva questo effetto.
È vero che è stato un problema trovare un regista?
Avevamo pitchato al telefono a Nicola Giuliano l'idea del film. A lui era piaciuto e ci disse "scrivete un soggetto". Era il momento in cui La ragazza del lago era andata bene, e c'era una certa inclinazione verso il genere. E quindi con la sceneggiatura pronta, con Indigo e Medusa, si trattava di fare questo film, ma i registi di prima fascia, anche quelli che apprezzavano il copione, avevano altri progetti. Allora, a quel punto Nicola Giuliano decise di accogliere il suggerimento che veniva da amici milanesi, soprattutto Massimo Coppola, che gli parlavano di Giuseppe Capotondi, che veniva dai videoclip e dalla pubblicità. Gli fece leggere il copione: lui scrisse una bellissima mail di commento al copione e il film andò anche a Venezia. Non andò bene al botteghino italiano, ma bene a quello americano. Poi, essendo a Venezia, in concorso, si scatenò quel fenomeno "era giusto che fosse in concorso o che ce ne fosse qualcun altro?". Vinse il premio per la migliore attrice, ma a Medusa se n'erano andati tutti, delusi per nessun premio a Baarìa.
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Da grandi poteri derivano...
Il progetto Il ragazzo invisibile parte da voi o da un'esigenza del produttore?
Dopo La doppia ora volevamo lavorare ancora insieme a Nicola Giuliano. Ci propose di scrivere un film per ragazzi, un supereroe per 12-13enni, perché era l'età dei suoi figli. L'idea di un ragazzo invisibile nacque perché pensavamo che costasse di meno... non era proprio così. Anche lì non c'era un regista: il primo regista designato doveva essere Giuseppe Capotondi, per dare continuità a quel team, ma al tempo era attratto dalle sirene hollywoodiane. Lo facemmo leggere a Salvatores, ma aveva Educazione Siberiana in partenza e un contratto per un altro film subito dopo. Finita Educazione siberiana, Salvatores rinunciò all'altro progetto per fare il nostro. Lui dice che l'Oscar gli ha dato il superpotere di fare ciò che vuole.
La chiave per fare un supereroe "nostro", europeo, diverso dalla Marvel, qual è stata?
Volevamo fare un film per ragazzi. E questo lo rende molto diverso da Lo chiamavano Jeeg Robot, che intercetta e metabolizza tutto un mondo, quel crime all'italiana, un po' da banda della Magliana, la periferia romana, la violenza cruda, anche grafica. Noi cercavamo di ritrovare quel tipo di atmosfera emotiva alla Goonies, alla Amblin, che avevamo vissuto quando eravamo bambini. Abbiamo cercato un romanzo di formazione universale, senza radicarlo in un immaginario cinematografico italiano specifico, ma pensandolo nel contesto della provincia italiana come luogo più assurdo, dove un supereroe non era possibile. Dalla trama poi capisci che era stato parcheggiato lì proprio per tenerlo lontano da chi lo voleva ghermire. La nostra prima stesura era in Romagna. Ragionando produttivamente sul film, Trieste era un'ottima idea: sia per la Film Commission locale, e le agevolazioni, sia perché era un posto di confine in cui era facile immaginare che un russo potesse lasciare lì un figlio.
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Un approccio romanzesco e seriale
La cosa più affascinante di 1992-1993 è la nascita di Forza Italia, qualcosa che è rimasta più dietro le quinte rispetto a fatti come Tangentopoli. Come ci avete lavorato?
C'è stato un grande lavoro di documentazione, abbiamo letto tutto quello che è stato scritto. E abbiamo fatto incontri con persone che hanno vissuto quell'epoca dall'interno. Questo ci ha aiutato molto a dettagliare, ricostruire, fare un calendario delle singole tappe. L'altra cosa fondamentale è che abbiamo scelto un approccio totalmente romanzesco e seriale alla storia italiana: questo ci ha fatto trovare una chiave d'accesso alla cronaca recente di quegli anni, inventare personaggi incasinati, conflittuali, più o meno geniali, e metterli dentro il contesto reale. Questa cosa, che ci ha creato una marea di problemi, legali, storici, anche critici: abbiamo fatto una cosa talmente oltraggiosa per la tradizione della fiction italiana che tutti hanno detto: ma cosa hanno fatto? Volevamo qualcosa che non fosse la cronaca ma una reinvenzione romanzesca.
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Che poi è anche simbolica e attuale. Veronica Castello potrebbe essere un personaggio dei nostri giorni...
Sicuramente. Ma anche Pietro Bosco, l'ascesa dell'uomo qualunque che va in parlamento. Allora era la Lega, oggi c'è lo stesso fenomeno sociale. Per creare Leo Notte abbiamo, da un lato usato la nostra fascinazione per Don Draper, e per Mad Men, che è la nostra Bibbia seriale. Dall'altro quel mondo alla Bret Easton Ellis, un uomo elegantissimo, un po' sexy, ma capace di uccidere chiunque a sangue freddo. L'intuizione di mettere questa persona, con un trascorso di sinistra, nei quadri di Publitalia, con quella capacità di analisi del marketing, ma con un trascorso politico che si riaccende, nel momento in cui c'è un progetto da costruire da zero, ci ha dato la chiave anche per analizzare in modo cinico, lucido e anche un po' filosofico quello che stava accadendo dietro le quinte. Di scrivere scene come quella di Stefano Accorsi che legge Pasolini nel provino per Publitalia in occasione delle possibili candidature. O cose scabrose, come il fatto che abbia ancora le tracce del sangue della persona che ha appena ucciso. Ci sono cose che nel corso delle varie stesure sono state metabolizzate con qualche conflitto. Nessuno aveva mai fatto niente su Berlusconi, a parte Moretti: negli ultimi venti minuti de Il caimano hai la sensazione di una cosa forte.
Nella seconda stagione, 1993, entra in scena il personaggio di Berlusconi. È un personaggio che non è una macchietta, ma diventa una creatura quasi mitica...
Devi lasciar fuori l'ideologia, e sposare un punto di vista interno. Dal punto di vista interno, di chi lavorava per lui, l'impresa, in tre mesi, di fondare ufficialmente un partito e andare a capo del governo è una cosa esaltante. Per chi visse con dolore quell'esperienza politica da elettore è un altro discorso. Ma, se lo scrittore assume il punto di vista di uno che era al suo fianco, come Leo Notte, Berlusconi è un gigante, l'unico che poteva utilizzare quell'opportunità per capitalizzarla in quel modo. Essendo stati per vent'anni bombardati da un'immagine di Berlusconi data da tutto l'antiberlusconismo che ne ha fatto una caricatura, noi volevamo trovare una chiave originale. Come facciamo con Di Pietro, evitare lo "sgommato" ma ricostruire il mito di quel Di Pietro, che era l'uomo più popolare d'Italia. Per Berlusconi Paolo Pierobon ci ha permesso di trovare una chiave più malinconica, poco "carica". Berlusconi è così nell'immaginario di tutti che non hai bisogno di caricarlo.
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Convergenze parallele
In che direzione prenderà la storia in 1994?
1994 è il coronamento di quello che abbiamo seminato. In quell'anno Mani Pulite mette nel mirino Berlusconi. Quando c'è l'invito a comparire, che viene consegnato a Napoli, è costretto a dimettersi. L'avventura, di cui abbiamo raccontato la genesi, sembra tramontata per sempre. E poi c'è la Lega che diventa lo strumento politico attraverso cui Berlusconi viene fatto cadere: proprio il partito che aveva convogliato l'elettore smosso da Mani Pulite, raccolto i voti degli indignati, si trova in mezzo a questa battaglia tra Berlusconi e Di Pietro. E sceglie di far cadere Berlusconi. I nostri filoni principali improvvisamente convergono. Questo è l'orizzonte storico. Dal punto di vista della confezione e delle novità strutturali ci siamo prese molte libertà narrative. E credo che sarà molto divertente.
Che direzione prenderanno i personaggi di Leo Notte, Veronica Castello e Piero Bosco?
La cosa interessante è che adesso tutti e tre sono nell'agone politico. Essendo Berlusconi al governo, Veronica si trova a far parte della maggioranza, alleata con la Lega di Pietro Bosco. Mentre finora erano in qualche modo separati, ora li vedremo interagire molto di più. E questo ci ha dato un sacco di occasioni di racconto nuove. Siamo contenti perché, al di là della cornice storica, questa è una serie "character oriented". Quell'approccio è stata la cosa che ha reso questo prodotto talmente originale. Non c'è una serie così al mondo, che prende una storia vera e la trasforma in una storia di personaggi. L'unico modo per cogliere lo spirito dei tempi era inventare.