La morale della nuova trilogia di Star Wars riassunta in una sola immagine. Ci piace immaginarla così. Come un'involontaria (forse) allegoria messa in scena attraverso due anime in conflitto, due personaggi costretti a confrontarsi con l'enorme mito che li ha preceduti. Stiamo parlando di una delle sequenze più evocative e originali di Star Wars: L'ascesa di Skywalker. Una sequenza talmente d'impatto da essere scelta come bigliettino da visita di Episodio IX sin dal primo teaser-trailer.
Rey è braccata da Kylo Ren. La ragazza inquieta sente sul collo il fiato del ragazzo arrabbiato. Rey corre in avanti mentre Ben Solo incalza imperterrito a bordo del suo Tie Fighter per poi scansarlo con un prodigioso salto indietro. Ecco, noi in questo preciso istante, in quell'attimo in cui Rey balza all'indietro mentre Kylo procede dritto, ci troviamo un'epifania rivelatrice, un indizio, forse la morale del nuovo corso starwarsiano. Perché i due personaggi della trilogia-sequel incarnano due modi opposti di approcciare il mito stesso di Star Wars. Se Rey ha sempre avuto bisogno di radici, di una guida, di riconciliarsi con il passato, Kylo Ren quel passato lo avrebbe volentieri distrutto, raso al suolo, liberandosi di ogni forma di nostalgia. Laddove Rey guarda indietro, Kylo Ren scruta oltre. Due modi di agire e pensare agli antipodi, vissuti attraverso le gesta di due personaggi assolutamente complementari, con il pesante fardello di una saga mitica da rispettare o da cui prendere le distanze. Due atteggiamenti simili a quelli adottati anche da J.J. Abrams e Rian Johnson, due registi a cui è spettato l'onore (e l'onere) di alimentare la leggenda starwarsiana con approcci decisamente inconciliabili.
Tra tradizione e tradimenti, l'equilibrio nella Forza di Star Wars sempre molto difficile da trovare è. E allora, giunti alla fine di questa nuova trilogia così divisiva per critica e pubblico, proviamo a capire perché Rey e Kylo Ren rappresentano due anime opposte ma non inconciliabili. Due diversi modi di intendere Star Wars e di guardare verso Star Wars. Come due spade che, per dare vita al giusto scintillio, devono per forza scontrarsi.
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J.J. fa rima con Rey: sulle tracce del mito
In questa nostra analisi della trilogia-sequel daremo vita a una vera e propria teoria. Sì, perché abbiamo la forte sensazione che J.J. Abrams e Rian Johnson abbiano trovato dentro Star Wars due personaggi a cui affidare la propria visione della saga. Quasi due marionette mosse da due burattinai profondamente in disaccordo. Arrivati alla fine del viaggio, siamo quasi certi che Abrams si specchi nel rispetto tradizionale di Rey, mentre Johnson abbracci a meraviglia l'anarchica inquietudine di Kylo Ren. È evidente che Star Wars: Il risveglio della Forza e Star Wars: L'ascesa di Skywalker siano gli episodi meno rischiosi del nuovo corso. Quelli più arginati dentro una zona di comfort in cui non rischiare mai e strafare molto poco. Ecco, episodio VII e IX sono stati come due allievi studiosi ed educati. Proprio come Rey che vive in funzione delle proprie radici da riscoprire, che rispetta la leggenda dei jedi, si mette sulle tracce di Luke e, alla fine, decide persino di portare a termine la missione incompiuta dell'ormai defunto Skywalker. Proprio come Abrams, deciso a proteggere e alimentare la mitologia di Star Wars attraverso dei film che cavalcano l'onda della tradizione, anche Rey agisce nel rispetto degli stessi valori. La nostra predestinata non riesce a svincolarsi dal proprio passato: è disposta a tutto pur di capire chi fossero i suoi genitori, ha bisogno di trovare un mentore in Han, Luke e Leia, e (alla fine) fa ritorno in quel luogo sacro di Tatooine per proteggere con estrema cura due cimeli storici come le spade laser di due assolute leggende.
Gesti emblematici, gesti che ci confermano una volta per tutte quanto Rey, per quanto portatrice di nuova linfa vitale nella saga, sia un personaggio incanalato dentro il solco della tradizione. Lo sa bene J.J. Abrams, che ha sempre avuto un debole per Rey e la sua propensione profondamente nostalgica. Attraverso Rey, colei che nel finale raccoglie in tutto e per tutto l'eredità dei jedi (e persino un cognome pesantissimo), J.J. Abrams ha forgiato la sua visione di Star Wars. Una visione amata da alcuni e detestata da altri: rispettare il vecchio, confermare il mito e far avanzare il nuovo in punta di piedi. Un passaggio di testimone dove il rischio non è stato invitato. Un passaggio di testimone che ha lo stesso peso di una rassicurante pacca sulla spalla e il suono di una voce familiare che ti sussurra nell'orecchio: "Tranquillo, sei tornato a casa".
Distruggere il passato: Johnson come Kylo Ren
Se resti nella scia di Star Wars, sei pigro e ruffiano. Se lo stravolgi, sei un folle blasfemo. Dopo questa nuova trilogia una cosa è certa: mettere d'accordo tutti i fan di Star Wars (categoria talmente trasversale da essere indefinibile) è assolutamente impossibile. Lo sa bene Rian Johnson: ripudiato da molti e stimato da alcuni per il coraggio dimostrato con il suo anarchico Star Wars: Gli ultimi Jedi. Un episodio insolito, sgraziato, a tratti folle, schizofrenico e imprevedibile. Vi ricorda qualcuno? Episodio VIII, vera e propria montagna russa piena di alti e bassi, è la maschera che calza a pennello sul volto di Ben Solo.
L'abito su misura che lo trasforma nell'insofferente e iracondo Kylo Ren. Johnson e Kylo si assomigliano: entrambi soffrono la mitizzazione troppo intoccabile e pressante di Star Wars, e intendono stravolgerla, ridefinirla, sfidarla persino. Fiero di voltare le spalle al vecchio, al passato, al mito pesante, mitico e venerato da tutti, Ben Solo vuole fuggire dall'ombra, rompere le catene della nostalgia e diventare indipendente. Se Rey è come Abrams, ovvero uno studente educato e desideroso di recuperare l'antico, Kylo è come Johnson: un allievo tanto talentuoso quanto irrequieto. Ben Solo è un personaggio profondamente deluso da tutto quello che lo ha preceduto. A logoralo dentro non c'è solo il confronto impari con un nonno che lo schiaccia anche solo attraverso l'eco del suo ricordo, ma una serie di figure guida che con lui hanno fallito miseramente. Ben è figlio di due genitori che si sono separati e discepolo di un maestro (Luke) che lo ha tradito.
Ecco perché la rabbia giovane di Kylo Ren deve passare per forza dalla distruzione di un retaggio familiare insopportabile. Forse è la stessa esigenza provata in cuor suo da Rian Johnson quando ha provato a scuotere le fondamenta di Star Wars stesso. Forse il mito andava ricostruito partendo dalle sue macerie. Non è andata così. A vincere il duello è stato J.J. Abrams, a cui è spettato il compito di chiudere tutto con il suo stile conservatore. E non è un caso che a morire sia stato Ben Solo e a sopravvivere sia stata Rey. Attraverso loro, però, abbiamo capito che un nuovo Star Wars è possibile solo attraverso un compromesso. Una sorta di via di mezzo tra il ricatto del passato e l'esigenza del futuro. La gratitudine nei confronti di quello che è stato e la vertigine nata dal desiderio di spingersi verso il nuovo. Se ci siamo arrivati, è anche grazie al bellissimo incrocio tra quelle spade rosse e blu.