Stagione 2006/2007: la top ten della redazione

Dieci film molto lontani l'uno dall'altro, esempi di diversissimi ma ugualmente esaltanti approcci al modo di fare e vivere il cinema. Dieci film che ci fanno pensare che quella che ci lasciamo alle spalle sia stata davvero una stagione da ricordare.

Anche quest'anno presentiamo non senza una punta di orgoglio ai nostri lettori la top ten delle preferenze della nostra redazione per l'annata 2006/2007, ancora una volta specchio del gusto cinematografico variegato, della passione insaziabile e dell'atteggiamento scevro da pregiudizi del nostro staff. Queste caratteristiche fanno sì che questa classifica sia costituita da dieci film egregiamente rappresentativi della ricchezza e della qualità della stagione appena conclusasi.
Nelle prime due posizioni troviamo due pellicole che non hanno avuto grandissima circolazione né in Italia, né negli USA, da dove provengono, pur essendo firmate da due registi di culto, ben noti anche al grande pubblico per il ruolo notevole che hanno avuto nell'ambito dei generi horror/mystery - David Lynch - e poliziesco - Michael Mann.
Con Inland Empire e Miami Vice i due autori toccano il punto più alto della loro parabola creativa. Lynch trascende praticamente tutte le convenzioni cinematografiche, offrendo un'opera che fa piazza pulita di ogni intellettualismo e di ogni logica diegetica per lasciare la scena ai due elementi fondanti della settima arte, immagine e suono, la cui primigenia e deflagrante unione partorisce ineffabili emozioni, per un'esperienza sensoriale stordente e indimenticabile.
Michal Mann ottiene lo stesso effetto di assoluta purezza e intensità cinematografica con un film narrativamente senz'altro più convenzionale, ma ugualmente portentoso. Coerente all'interno della filmografia di Mann, Miami Vice è un film visivamente mirabile, e allo stesso tempo un poliziesco tesissimo, e allo stesso tempo una storia di persone trasudante umanità.

A condividere il podio con questi due magnifici cineasti d'oltreoceano c'è un magnifico cineasta di casa nostra. Emanuele Crialese si è guadagnato il terzo posto grazie agli incanti di Nuovomondo, che delle favole ha i colori, il linguaggio, lo spirito, eppure racconta una storia tragica e autentica, e la racconta senza risparmiarci nulla. Il piglio moderno e personale di Crialese, l'ambizione, l'intelligenza e la sensibilità che questo e i lavori precedenti rivelano sono un eccellente e incoraggiante viatico di una carriera ricolma di promesse per il regista romano, appena quarantenne e già un tesoro per il nostro cinema.
Torniamo negli USA con la quarta posizione, dove la nostra redazione piazza l'icona Clint Eastwood, che, a settantasette anni suonati, continua a crescere come regista. Al farraginoso, sebbene interessante, Flags of Our Fathers ha fatto seguito, dopo pochi mesi, il rigoroso e visivamente splendido Lettere da Iwo Jima, che, interamente girato in giapponese, racconta "l'altra faccia" del nemico nipponico con grande empatia e sincerità.
Non potrebbe essere più agli antipodi del film di Eastwood la pellicola che segue, The Prestige, un gioco di legerdemain registica firmato da Christopher Nolan, che riflette su ossessioni, illusioni e maschere in un film spettacolare ed esaltante.
Al sesto posto ancora un film targato USA, ma diretto da un messicano, Alfonso Cuarón. I figli degli uomini è un cupo e toccante ritratto di umanità futuribile, carico della dolcezza malinconica del ricordo e della straziante e irresistibile insensatezza della speranza. Asciutto e essenziale eppure pieno di cuore, tecnicamente strabiliante, I figli degli uomini consacra in Cuarón un altro regista relativamente giovane e saldamente in ascesa, da cui ci aspettiamo molte altre meraviglie in futuro.

Torniamo dall'altra parte dell'Atlantico, questa volta nel cuore della vecchia Europa, con la settima posizione, in cui staziona Le vite degli altri. Per girare il film che sognava, l'esordiente Florian Henckel-Donnersmarck ha stretto i denti ed è stato premiato con un meritatissimo successo internazionale, oltre che con l'Oscar per il miglior film straniero: Le vite degli altri è un dramma terso e umanissimo che racconta una pagina triste della storia tedesca, ma anche l'emozionante epifania di un uomo. Un uomo interpretato da Ulrich Mühe, che, prematuramente scomparso lo scorso 22 luglio, lascia dietro di sé l'eredità preziosa di una delle performance più incisive della stagione nel suo ritratto del capitano della Stasi Gerd Wiesler. A lui come ad Henckel-Donnersmarck va il nostro plauso.

Scendiamo ancora di un gradino, e anche qui lo scarto è notevole, perché all'ottavo posto troviamo il divertissement più trascinante dell'anno, quel Grindhouse - A prova di morte che, concepito come un segmento di un film a episodi ispirato ai truculenti e grotteschi b-movie degli anni '70 (Grindhouse), conquista meritatamente piena dignità e un posto di riguardo nella filmografia del vulcanico Quentin Tarantino. La forza di A prova di morte è data dai consueti ingredienti del cinema tarantiniano - citazionismo, girl power, dialoghi interminabili e vivaci, ironia nera e ritmo forsennato - ma combinati con una meticolosità e un nitore che ne fanno un film dal peso specifico più alto rispetto a quello del colorato e ridondante Kill Bill.

Un altro grande regista che ritrova la piena consapevolezza dei suoi mezzi tornando, secondo molti, all'eccellenza del passato è il Martin Scorsese di The Departed - Il bene e il male, al nono posto della nostra classifica. The Departed è un folgorante crime movie che racconta la vita dalle due parti della barricata, grazie all'espediente (mutuato dal bellissimo Infernal Affairs, di cui il film di Scorsese è il remake) di seguire due "talpe", ovvero narrare le gesta di uno sbirro under cover alla corte di un temibile malavitoso di Boston e di un criminale infiltrato all'interno dell'unità di polizia che è sulle tracce del boss. Uno Scorsese ispirato (anche se forse non quello dei capolavori del passato) al servizio di una sceneggiatura formidabile per un film popolato da personaggi che bucano lo schermo e costellato da battute graffianti, e che fornisce il destro a Leonardo DiCaprio per regalarci forse la sua migliore performance di sempre nei panni del tormentato agente Billy Costigan.
Chiudiamo con il decimo posto, dove troviamo un altro film "al femminile", in cui le donne, al contrario delle eroine linguacciute e funamboliche di A prova di morte, sono normalissime signore borghesi. Judi Dench e Cate Blanchett interpretano in Diario di uno scandalo due insegnanti di un liceo britannico coinvolte in una vicenda molto penosa, ma "normale", come quelle che leggiamo ogni giorno sui giornali. Una storia di banale e squallida quotidianità che diventa un thriller mozzafiato grazie alla regia nervosa di Richard Eyre, e che entra sotto pelle grazie alla presenza scenica e alla credibilità commovente di due attrici tra le più grandi delle rispettive generazioni.

Questi i dieci film scelti dalla redazione di Movieplayer.it per la stagione 2006/2007; naturalmente sono rimasti fuori ottimi titoli, alcuni dei quali hanno trovato menzione tra le scelte degli utenti.
Noi abbiamo preferito di limitarci a selezionare dieci titoli: dieci film molto lontani l'uno dall'altro, esempi di diversissimi ma ugualmente esaltanti approcci al modo di fare e vivere il cinema. Dieci film che ci fanno pensare che quella che ci lasciamo alle spalle sia stata davvero una stagione da ricordare:

Inland Empire
Miami Vice
Nuovomondo
Lettere da Iwo Jima
The Prestige
I figli degli uomini
Le vite degli altri
Grindhouse - A prova di morte
The Departed - Il bene e il male
Diario di uno scandalo