Due anni fa, l'amichevole Uomo Ragno di quartiere veniva usato per chiudere la Fase Tre del Marvel Cinematic Universe, con Peter Parker a fare da ponte tra il mondo di prima e quello di adesso, un mondo dove gli Avengers così come li conoscevamo non esistono più, a partire dalla morte di Tony Stark sul campo di battaglia. Spider-Man: No Way Home non assolve la stessa funzione per la Fase Quattro, destinata a continuare almeno fino al 2023 (al momento non è noto esattamente quando uscirà il già annunciato film dei Fantastici Quattro, prossima fatica Marvel del regista Jon Watts), ma è comunque un lungometraggio epocale per svariati motivi, incluso il suo ruolo nell'evoluzione di due franchise separati e in quella del personaggio di Parker, elementi di cui vogliamo parlare in questa nostra analisi del finale, come da consuetudine per i film della Casa delle Idee. N.B. L'articolo contiene spoiler!
Non ti scordar di me
Il Marvel Cinematic Universe è sempre stato molto liberale con il concetto dell'identità segreta, a partire dal primo Iron Man che si concludeva con lo smascheramento verbale in diretta televisiva da parte dello stesso eroe. Con l'eccezione degli Eterni, che non sono mai usciti allo scoperto per cause di forza maggiore, l'unico personaggio del franchise ad essersi più o meno impegnato a non far mai trapelare la sua doppia vita è proprio Peter Parker, fino all'uscita di Spider-Man: Far From Home, dove la vendetta postuma di Mysterio consiste nel rendere Parker il nemico pubblico no. 1, complice un certo J. Jonah Jameson. Una situazione infernale per Peter, emotivamente impreparato alla gogna mediatica poiché ancora un ragazzino, ma anche per parenti e amici. Logico, quindi, che lui pensi subito a un modo per reintrodurre lo status quo, chiedendo aiuto a Doctor Strange.
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Una decisione che porta a una frattura nel Multiverso, con conseguenze quasi devastanti per il nostro mondo e molto gravi per lo stesso Peter, che assiste alla morte di Zia May e impara una volta per tutte, nel modo più tragico possibile, il significato complessivo di quella frase che già conosceva ma non aveva mai pienamente assimilato: da grandi poteri derivano grandi responsabilità. E alla fine, dopo essersi fatto aiutare da altri due Parker per sconfiggere e curare i cattivi venuti da altri universi, si assume la responsabilità più grande di tutte, proponendo a Strange l'unica soluzione per sistemare il danno fatto al tessuto della realtà stessa: un incantesimo che farà dimenticare a tutti l'esistenza di Peter, senza eccezioni. Spetterà a lui, nel caso, ricreare i legami d'altri tempi con persone specifiche, ed è con il groppo in gola che il mago lo saluta dicendo "Ci vediamo in giro, ragazzo". Peter Parker è morto, lunga vita a Peter Parker!
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Seconde opportunità
Nel corso del film viene più volte ribadito il concetto della seconda chance, principalmente per i tre Peter Parker: per quello più anziano (Tobey Maguire) si tratta di tornare in pista e cercare di salvare due dei suoi mentori divenuti villain; per il suo primo successore cinematografico (Andrew Garfield) c'è il momento redentivo in cui salva la vita di MJ, riuscendo finalmente a perdonare sé stesso per la morte di Gwen Stacy in The Amazing Spider-Man 2: Il Potere di Electro; e per quello attuale (Tom Holland), alla fine, c'è la possibilità di ricominciare da capo, grazie alla tabula rasa concessa dall'incantesimo di Strange. Solo soletto in un piccolo appartamento, costretto a farsi il costume da solo poiché non ha più accesso alle tecnologie di Tony Stark, è pronto a tornare a essere Spider-Man, senza mettere a repentaglio la propria sicurezza e quella degli altri (motivo per cui, almeno per ora, decide anche di non interferire con le nuove vite di MJ e Ned, tornati alla normalità dopo essere stati perseguitati dai media e dalle forze dell'ordine prima che Peter e Strange resettassero la realtà).
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Ma è anche una seconda opportunità per i Marvel Studios e la Sony Pictures, il cui precedente accordo era finito in modo tale da rischiare di compromettere il futuro di Spider-Man all'interno del Marvel Cinematic Universe, cosa che non si verificherà questa volta (ma viene il sospetto che la fine di questo film, con Peter eliminato dalla memoria collettiva, fosse una possibile soluzione di emergenza per rimuoverlo dal MCU in caso ci fossero complicazioni). Per la Sony è un modo per rimediare ad alcune pecche delle incarnazioni precedenti del personaggio (vedi alla voce Garfield, la cui saga personale finì prima del previsto a causa degli incassi deludenti e le reazioni negative del pubblico), e per far interagire gli universi senza che le contaminazioni siano eccessive: il Venom di Tom Hardy torna a casa senza lottare contro Holland, lasciandosi però dietro un frammento di simbionte che potrà creare una nuova variante in salsa MCU. E per la Casa delle Idee è il momento buono per passare alla fase successiva della vita cinematografica di Peter, dopo averne raccontato le origini con un arco narrativo durato sei film.
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Goodbye, Mr. Stark
I due film precedenti erano accompagnati dalla critica - in realtà abbastanza sterile, e oggetto di un simpatico inside joke in questa sede tramite la copertina di una rivista - che Peter fosse la spalla di Iron Man, nonostante le prove a sostegno del contrario: nel primo episodio Spider-Man sconfigge l'Avvoltoio da solo, indossando un costume artigianale, e poi rifiuta l'offerta formale di entrare a far parte degli Avengers perché preferisce essere l'amichevole Uomo Ragno di quartiere, mentre nel secondo parte dai progetti di Tony Stark per crearsi un indumento su misura, in base alla propria filosofia (viene eliminata la funzione instant kill, per esempio). Qui c'è la rottura definitiva, simboleggiata dalla scena al cimitero, dove Peter, ora perfettamente anonimo, si congeda da Happy Hogan, il cui interprete Jon Favreau è stato l'iniziatore del Marvel Cinematic Universe. Come a dire, "Grazie, ma da adesso in poi farò completamente da solo". E pur avendo mandato a casa gli altri due Parker, la loro influenza rimane, con un'inquadratura finale che sembra quasi voler citare, in maniera non verbale, la battuta di commiato del primo episodio della trilogia di Sam Raimi, uscito quasi vent'anni fa: "Qualunque cosa la vita abbia in serbo per me, non dimenticherò mai queste parole: da grandi poteri derivano grandi responsabilità. Questo è il mio dono, la mia maledizione. Chi sono? Sono Spider-Man."