Mentre oggi siamo abituati alle uscite simultanee su scala globale, vent'anni fa era ancora la prassi che un film arrivasse in paesi diversi in momenti diversi. Era il caso, per esempio, dello Spider-Man di Sam Raimi, che debuttò nelle sale americane il 3 maggio 2002 e uscì in Italia solo un mese dopo, il 7 giugno. Il sottoscritto, che era in vacanza in Finlandia, lo vide qualche settimana più tardi (lì uscì il 28), ed è proprio questo che vuole ricordare, in quanto (non più) giovane fan della prima ora, un grande appassionato di fumetti e cinema che quell'estate vide per la prima volta un film di supereroi in sala. Per questo ci perdonerete un approccio e tono diverso dal solito, più personale, giustificato dall'importanza del film per una generazione di spettatori.
Il primo eroe non si scorda mai
Nell'estate del 2002 avevo tredici anni, e da circa un anno e mezzo leggevo assiduamente le varie testate Marvel pubblicate in Italia (per la DC il discorso era diverso, poiché all'epoca l'unico mensile regolarmente disponibile - e solo in fumetteria - era quello dedicato alla Vertigo). Particolarmente presente nella mia vita di giovane lettore di fumetti era Spider-Man, tra la cadenza quindicinale della pubblicazione principale (che all'epoca raccoglieva due storie dedicate a Peter Parker e una a sua figlia May, protagonista di un mensile ambientato in un futuro alternativo dove lei prende il posto del padre dopo aver scoperto di averne ereditato i poteri) e le occasionali uscite speciali che ne ripercorrevano la storia editoriale, proprio in vista dell'uscita del lungometraggio di Sam Raimi. Un'iniziativa lodevole, dato che chi pensava di avvicinarsi al film conoscendo solo i fumetti dati alle stampe in quel periodo rischiava di rimanere un po' scioccato.
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È utile ricordare, infatti, come l'intero universo Marvel cartaceo fosse stato rivoluzionato da nuove gestioni creative tra il 2001 e il 2002: gli X-Men erano alle prese con la gemella cattiva di Charles Xavier e avevano nuovi costumi simili a quelli del film uscito nel 2000; Bruce Banner era in fuga, accusato di un omicidio che non aveva commesso; Captain America, dato per morto, era tornato in scena con un taglio molto più cupo in seguito agli eventi dell'11 settembre; Daredevil era stato smascherato a mezzo stampa ed era coinvolto nelle lotte intestine della malavita newyorkese. Quanto a Peter Parker, il cui mensile principale negli Stati Uniti (The Amazing Spider-Man) era stato affidato alla scrittura di J. Michael Straczynski, era da poco separato - un'imposizione editoriale di Joe Quesada, che non ha mai amato l'idea che Spider-Man fosse sposato perché a suo avviso questo lo invecchiava eccessivamente - e si ritrovava a insegnare, mentre sul fronte supereroistico affrontava la scoperta della natura "totemica" dei suoi poteri e dell'essere diventato il bersaglio di un misterioso villain che voleva assorbire la sua energia vitale.
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Ritorno alle origini
Al di là dell'universo cartaceo, conoscevo Parker anche tramite la serie animata degli anni Novanta, caposaldo della mia infanzia insieme a quelle di Batman e Superman. Sul versante cinematografico, invece, la mia familiarità con i supereroi era abbastanza lacunosa: l'alter ego di Clark Kent nel 2002 non l'avevo ancora visto in versione Christopher Reeve, mentre di Bruce Wayne conoscevo solo i film d'animazione e quello con George Clooney, tutti visti in TV. Persino X-Men, che era uscito nel periodo in cui cominciavo ad appassionarmi a quei personaggi, l'avevo beccato per caso su Tele+ (non ancora Sky) una domenica mattina. Spider-Man, il film che infrangeva record su record e si imponeva come il primo lungometraggio di supereroi dal fascino mainstream dai tempi del primo Batman burtoniano, acquisiva in tal senso un valore davvero speciale: il mio primo superhero movie al cinema. Con l'hype guidato principalmente dal fatto che si trattasse del simpatico vigilante di quartiere, perché non avevo visto manco l'ombra di un trailer (poiché andavo poco al cinema all'epoca e la nozione di scaricarlo da un apposito sito era per me una cosa aliena). Però sapevo esattamente dove andava a parare, dato che l'adattamento a fumetti era già uscito...
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E così mi ritrovai con mio fratello (che in teoria era troppo piccolo per vedere il film in base alle leggi finlandesi di allora, ma nessuno ci fece caso), ad assistere al debutto cinematografico dell'Arrampicamuri. Un debutto che, al netto di qualche pecca (la CGI già allora lasciava un po' a desiderare), riuscì a conquistarmi fin da subito, con la musica di Danny Elfman e i titoli di testa che promettevano vero intrattenimento fumettoso. Uscii dalla sala euforico, felice di aver visto sul grande schermo un Peter Parker che si prendeva le giuste libertà ma rispettava lo spirito del personaggio cartaceo, un approccio che è rimasto invariato, tra alti e bassi, per due decenni (vedi Spider-Man: No Way Home, dove l'alleanza fra i tre Parker funziona proprio perché, con le dovute differenze, ciascuno di loro è riconoscibilmente Peter). E per la prima volta, nella mia formazione da cinefilo, feci caso al nome del regista, appuntandomi di dover recuperare i suoi film precedenti. Ecco, senza quella visione in sala forse non sarei qui oggi a scrivere questo articolo e, più in generale, a dedicarmi al giornalismo cinematografico.
Grazie, Spider-Man, e Spider-Sam!