Nella lunga e ricchissima storia del cinema e della tv, Shogun di James Clavell, brillante e sontuoso romanzo storico-avventuroso del 1975, è stato trasposto soltanto una volta, precisamente nel 1980. Un adattamento, quello di Jerry London con il mitico Toshiro Mifune e Richard Chamberlaine protagonisti, che è ancora oggi molto amato e considerato un classico del piccolo schermo, anche se ha poi raggiunto il cinema in un lungometraggio costruito su di un apposito ri-montaggio della serie.
In quasi cinquant'anni, nessuno ha tentato successivamente di proporre un pitch per una diversa trasposizione, almeno fino al 2018, quando FX ha annunciato un nuovo adattamento seriale dell'opera. Data la mole contenutistica dello scritto e la volontà di tradurlo su schermo nel miglior modo possibile, i lavori hanno proceduto secondo specifiche esigenze creative, purtroppo rallentati dalla pandemia di Coronavirus, facendo passare ben sei anni prima dell'arrivo dello show su Disney+. Fortunatamente, il tempo è valso l'attesa, perché Shogun è un prodotto eccellente che non tradisce lo spirito intraprendente e la scrittura sopraffina del romanzo originale, consegnando al pubblico una serie dove epica, romanticismo e avventura collidono in un racconto di ascesa e redenzione davvero imperdibile.
La storia dell'anjin e del daimyo
Se avete amato L'ultimo Samurai di Edward Zwick, Shogun rappresenta il suo fondamentale antenato, anche se differente per tono e struttura. Il principale termine di paragone viene dal modo in cui la narrazione racconta la discesa del protagonista in una cultura differente da quella occidentale, mostrando gli effetti trasformativi di tale immersione su mente e anima del personaggio, cambiandolo nel profondo, nello spirito e nella filosofia di vita stessa. La storia è ambientata nel 1600 e unisce verità storica e racconto di finzione attraverso gli occhi dell'astuto Jack Blackthorne (Cosmo Jarvis), un pilota inglese - o anjin, come viene appellato - giunto sulle coste nipponiche per saccheggiare le basi cattoliche dei portoghesi e tentare un nuovo approccio diplomatico-militare con il paese. L'Erasmus dove viaggia Blackthorne è di fatto la prima imbarcazione britannica a raggiungere il Giappone, ma la fame e la sete hanno ridotto lui e il suo equipaggio allo stremo, tanto da sopravvivere a malapena a un tremendo naufragio.
Jack viene catturato e condotto al cospetto dal daimyo - un lord feudale - Yoshii Toranaga (Hiroyuki Sanada), che è però tenuto a suo volta prigioniero insieme a tutta la sua famiglia e i suoi fedelissimi all'interno del castello di Osaka dai restanti quattro daimyo reggenti del consiglio: la nemesi principale, Ishido (Kengo Hashimoto), il ricchissimo Sugiyama, il corrotto cattolico Kiyama e il guerriero lebbroso Ohno. Insieme vogliono destituire e uccidere Toranaga, coadiuvando all'unisono le infiltrazioni portoghesi nella politica e nell'economia del Giappone, di cui il maggiore oppositore è proprio il Lord di Edo (antico nome di Tokyo, che all'epoca non era ancora capitale).
Intuendo rivalità e giochi di potere sullo scacchiere, Blackthorne finisce per allearsi con Toranaga e dichiarare guerra ai restanti daimyo, combattendo prima di tutto per se stesso ma imparando a conoscere e vivere i costumi del Giappone feudale, perdendosi in un amore impossibile per la traduttrice Mariko (Anna Sawai) e scegliendo - pure se inizialmente costretto - di sostenere Toranaga nella sua missione di dominio del paese "per mandato divino", un titolo rispettato per secoli ma ormai da anni messo da parte, nient'altro che il "generale" di tutto il Giappone, il suo Shogun.
Un racconto costellato di vita e di morte
Shōgun è un'epica e romantica epopea negli intrighi e nelle tradizioni di un Giappone dove vita e morte camminano in parallelo. È uno degli aspetti che colpiscono e tramortiscono di più Blackthorne: in quel lontano paese, con quelle antiche usanze, la morte aveva più valore della vita. L'onore era tutto, così come il rispetto, e tradire se stessi e le proprie convinzioni, così come tradire il prossimo, era l'onta più grande di tutte. Da cristiano-protestante ma soprattutto da uomo con pochi principi, Blackthorne viene catapultato in un mondo dove soppesare ogni minima parola, ogni singolo gesto, provando a costruire dentro di sé quello che Mariko chiama "recinto in otto parti", un luogo dell'anima e della mente dove riposare il cuore e lo spirito pur restando presenti nella realtà, mettendosi da parte per fare la propria parte, volenti od obbligati. La serie restituisce ogni piccolo ma fondamentale dettaglio della preziosa scrittura di James Clavell, già perfezionata a monte, nobilitando di fatto la caratura narrativa di Shogun e il suo modo così classico e raffinato di sviscerare bellezze e crudeltà di un passato e di un mondo ormai lontano eppure terribilmente presente.
Alla scoperta degli episodi
La composizione degli episodi è ragionata in modo acuto e ordinato, con i primi tre che fungono interamente da presentazione, i quattro centrali da assestamento e approfondimento più intimo dell'avventura di Blackthorne, e gli ultimi tre che ci portano nel vivo dell'epica guerriera dello scontro tra i daimyo. La regia è affidata a sei differenti filmmaker, ma a brillare su tutti sono Frederick E.O. Toye (Watchmen, The Boys, Lost) e in particolar modo Jonathan van Tulleken, non a caso scelto per dirigere tutti gli episodi di Blade Runner 2099. In generale, le differenti regie lasciano emergere in misura uguale il talento degli interpreti, tra cui risaltano un magnetico e carismatico Hiroyuki Sanada (forse nel ruolo della vita) e il talento sempre più in ascesa di Anna Sawai, che dimostra grande cifra drammatica e introspettiva, dando vita a una Mariko estremamente misurata, brillante e ferita. In tal senso, il seppur bravo protagonista Cosmo Jarvis risulta più grezzo di ogni suo co-protagonista caratterista, il che è un problema - se vogliamo - nei limiti del punto di vista narrativo, che non abbandona mai la sua prospettiva.
Va detto che Shogun rielabora appena qualche elemento del racconto per meglio adeguarsi al contemporaneo, ma sfrutta con disinvoltura quella stessa miscellanea di regalità e decadenza del linguaggio (un daimyo: "Abbiamo cacato troppe volte nello stesso vaso per pisciare sui nostri piedi") e dell'immagine (c'è molta violenza esplicita, specie negli ultimi episodi) già visto - ad esempio - in prodotti come Games of Thrones, rendendo il prodotto più che appetibile a tutti i palati. Ma a sorprendere davvero è la poesia che si nasconde persino inconsciamente in ogni increspatura dell'acqua, in ogni granello di sabbia, in ogni piega di un abito di seta e nella splendente levigatura di ogni katana. E anche nelle confessioni dei protagonisti, come quella sulla volontà di Blackthorne che lo spinge sempre verso l'ignoto: "Cos'è che mi spinge a navigare? La vastità dell'oceano. L'orizzonte, più che l'oceano. La libertà, più che l'orizzonte". Un'opera, Shogun, che è insieme lirica e spietata, aulica e popolare, e che sa esattamente come stupire, commuovere o irretire lo spettatore, proprio per questo magnifica e imperdibile, tanto come adattamento quanto come dramma.
Conclusioni
Shogun supera ogni aspettativa e si rivela una delle serie più incisive e sorprendenti dell'anno da poco iniziato. Poetica e crudele, tra verità e finzione, intrighi di corte e di potere, amori impossibili e forti rivalità, la serie FX tratta dall'omonimo e già magnifico romanzo di James Clavell restituisce per sguardo, scrittura, ricchezza e visione ogni singolo dettaglio del racconto originale, impreziosendolo con una cura traspositiva maniacale per forma e contenuto, tra interpretazioni, narrazione, tematiche e regia. Un colossal televisivo che fa impallidire tanti cugini cinematografici.
Perché ci piace
- Hiroyuki Sanada nel ruolo della vita.
- Il rispetto della cultura giapponese del 1600, il modo in cui viene descritta e raccontata.
- La Mariko di Anna Sawai: un'interpretazione elegante e misurata, bellissima.
- La regia, la visione, le battaglie, gli intrighi.
Cosa non va
- Un netto calo di ritmo nella parte centrale, ma è fisiologica alle scelte narrative.
- Forse Cosmo Jarvis sfigura un po' rispetto ai tanti ed eccellenti comprimari.