Con la recensione di Scary Stories to Tell in the Dark, presentato in anteprima italiana alla Festa del Cinema di Roma 2019 prima di arrivare nelle sale, ci avventuriamo in un mondo piacevolmente datato, all'interno della storia (siamo nel 1968) e in termini produttivi, trattandosi di un film d'avventura adolescenziale mischiato con l'horror, il tipo di produzione che spopolava qualche decennio fa (il regista André Øvredal ha affermato in conferenza stampa di essersi ispirato ai film della Amblin degli anni '80, con cui è cresciuto), nonché un lungometraggio concepito con spirito deliziosamente artigianale, ricorrendo il meno possibile alla CGI per portare sullo schermo i brividi concepiti dallo scrittore Alvin Schwartz (e qui si sente anche l'impronta del produttore Guillermo del Toro, che ha firmato il soggetto e doveva inizialmente dirigere il film, prima di cedere le redini al collega norvegese).
C'era una volta la provincia americana
La storia di Scary Stories to Tell in the Dark ci porta nel paesino di Mill Town, in Pennsylvania, nell'ottobre del 1968. È l'anno della ribellione, la guerra del Vietnam è in corso da tempo, ed è anche l'anno de La notte dei morti viventi, la cui proiezione a un drive-in è l'occasione in cui si conoscono i quattro protagonisti: gli amici di sempre Stella, Auggie e Chuck, e il nuovo arrivato Ramón, di passaggio nella regione.
Insieme, i quattro si recano in quella che si presume sia una casa infestata dai fantasmi: la dimora della famiglia Bellows, che contribuì alla fondazione di Mill Town ma fu anche segnata dalla tragica vicenda della figlia Sarah, accusata di aver ucciso diversi bambini. All'interno della casa, Stella, aspirante autrice horror, si imbatte in un libro, quello che Sarah avrebbe scritto col sangue mentre era segregata e passava il tempo a sussurrare storie da brivido ai passanti. Per la giovane è solo un cimelio innocuo, ma il giorno successivo si accorge di nuove storie che si manifestano completamente da sole sulle pagine ancora vuote, e questi racconti si avverano, prendendo di mira lei e i suoi amici...
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Cinque storie dai libri di Alvin Schwartz
L'ispirazione è l'omonima serie di libri di Alvin Schwartz, pubblicata in tre volumi fra il 1981 e il 1991. Un totale di 82 racconti, tutti basati su folclore e leggende urbane degli Stati Uniti. Il film ne adatta cinque, costruendoci attorno una narrazione coerente (l'escamotage del libro) ma mantenendo quella dimensione molto mitologica, con un'atmosfera deliziosamente rétro dovuta sia alla collocazione cronologica che a quella geografica, restituendoci un'America più piccola, rurale, vicina alla produzione horror d'epoca, con un tocco filologico che dà al tutto un sapore più autentico, intimo.
La componente letteraria incide anche sul tono da fiaba squisitamente dark e a tratti perversa (nei limiti del ragionevole, essendo il film PG-13 negli USA), e proprio lì si percepisce l'interesse di Guillermo del Toro, il cui tocco è visibile sul piano visivo (il design delle creature) e in parte a livello di casting: uno dei mostri è interpretato da Javier Botet, attore spagnolo specializzato in ruoli paranormali a causa di un disturbo congenito che gli dà articolazioni fuori dal comune (ha prestato il corpo ad alcune delle presenze in Crimson Peak).
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Brividi adolescenziali
La forte impronta del produttore e soggettista non incide però sulla firma di André Øvredal, che continua a muoversi nell'horror dopo Trollhunter e la prima trasferta americana con Autopsy e in questo caso osserva la provincia statunitense con occhio europeo, raccontando il coming of age con empatia e ironia, mescolando avventura e terrore con un gusto nostalgico ma non per forza citazionistico (fatta eccezione per la doverosa presenza del film di Romero, che ha segnato una svolta nel brivido cinematografico americano).
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Gusto nostalgico solo parzialmente contaminato da un che di moderno, nel senso che i veri spaventi sono abbastanza rarefatti, in parte per questioni di censura e in parte perché il vero orrore che devono affrontare i protagonisti non ha a che fare con la dimensione paranormale, ma con il mondo "normale" in cui vivono. Su questo influisce forse anche il fatto che i singoli episodi abbiano livelli di intensità diversi, con una sorta di sapore antologico indiretto e tutte le conseguenze del caso. Ma è un'antologia perfettamente godibile, con la possibilità di tornare a questo universo per un eventuale sequel. D'altronde la seconda raccolta letteraria si chiama More Scary Stories to Tell in the Dark...
Conclusioni
Arrivati alla fine della nostra recensione di Scary Stories to Tell in the Dark, la sensazione è per lo più positiva, reduci da un discreto horror ad altezza teenager che mescola tormenti adolescenziali e minacce dall'oltretomba con un gusto per il brivido che è squisitamente vintage. A tratti forse un po' troppo vintage per il pubblico odierno, abituato a ben altro horror, ma l'intrattenimento è assicurato.
Perché ci piace
- L'ambientazione d'epoca è molto affascinante.
- Il cast giovane è alquanto notevole.
- La componente visiva orrorifica è impeccabile.
Cosa non va
- Gli spaventi sono un po' diseguali.
- L'assenza di sangue potrebbe deludere chi preferisce gli horror più brutali.