Dopo l'incredibile successo riscosso dal romanzo di Paolo Giordano, La solitudine dei numeri primi diventa un film diretto da Saverio Costanzo. Il regista approda a Venezia per presentare il suo nuovo lavoro, quarta e ultima pellicola italiana in concorso alla Mostra del Cinema, accompagnato dai due protagonisti, Alba Rohrwacher e Luca Marinelli, e dallo stesso Giordano. Prima di aprire l'incontro con la stampa, Costanzo mette le mani avanti facendo una premessa che illustra chiaramente il suo stato d'animo in questi giorni di febbrile attesa prima della priezione del suo nuovo lavoro. "In questi giorni mi trovavo a Roma e non si faceva che parlare del mio film. Ho sentito usare aggettivi molto importanti, ma quando ho letto la parola 'trepidante' non ne potevo proprio più. Immagino che siate arrivati stamattina alle nove al cinema aspettando di vedere Il Gattopardo e invece avete visto semplicemente un film. Io ci ho provato come ogni regista fa con le sue opere, perciò state attenti con le parole".
Saverio, come è avvenuto l'incontro con Paolo Giordano?Saverio Costanzo: Mi hanno proposto il libro in un momento in cui non ero interessato a una storia d'amore. Poi però il libro, commercialmente, è cresciuto moltissimo diventando popolare. A questo punto mi sono proposto come sceneggiatore e ho iniziato a collaborare con Paolo. Solo alla fine ho deciso di occuparmi anche della regia.
Paolo Giordano: In genere le scelte legate all'adattamento dipendono da questioni economiche, ma quando ho incontrato Saverio ho deciso di cedergli i diritti del film perché la sua idea di film era molto vicina alla mia. Però all'epoca non conoscevo i lavori di Saverio. Valutavamo la possibilità di far dirigere l'adattamento da un esordiente, ma il libro è diventato troppo popolare per affidarlo a mani non esperte.
Quali temi del romanzo ti hanno attratto?
Saverio Costanzo: Sono stato affascinato dalle prime due immagini presenti nel libro, la caduta della bambina e l'abbandono della sorellina da parte di Mattia. Erano due immagini concrete dell'archetipo del dolore originario. Tutti si identificavano in quella inadeguatezza e questo mi sembrava meraviglioso. E' la storia dei corpi di Alice e Mattia nell'arco di vent'anni. E' una piccola epica del corpo. In più parlare dell'amore in senso assoluto per me era una sfida, una spinta a superare i miei limiti.
C'è un contrasto ossessivo tra il disagio e l'incomunicabilità e una colonna sonora ossessiva, frastornante.Saverio Costanzo: L'idea che volevo trasmettere era quella della distrazione. Le date presenti nel film non sono casuali, perciò la musica ci consentiva di storicizzare il film e creare un effetto di distrazione. La generazione che era piccola nell'84 era distratta dal rumore, dalla musica tecno, dal compiacimento. Per consentirmi il silenzio del venti minuti finali, che sono la parte del film a cui tengo di più, dovevo fare casino prima distraendo lo spettatore, per permettermi un silenzio vivo.
Paolo, quali pensieri ti ha suscitato la visione del film?
Saverio Costanzo: Avendo scritto con lui la sceneggiatura ero cosciente della direzione che stava prendendo il film. Devo ammettere che tra scrittura e ripresa c'è un salto sorprendente. Io ho cominciato il lavoro di separazione dal libro nel momento in cui ho deciso di cedere i diritti perciò non ho nessun tipo di ansia da possesso.
Si parla di epica dei corpi. I corpi dei due attori sono l'emozione del film. Cosa avete provato nel mutare i vostri corpi per il film?Alba Rohrwacher: Saverio ci ha dato una grande opportunità. E' la prima volta che arrivo al personaggio passando attraverso un lavoro drastico sul corpo. Mutando il mio corpo ho capito meglio l'interiorità di Alice e poi ho stretto un rapporto forte con Luca. Prima non ci conoscevamo, ma il percorso che abbiamo condiviso ci ha avvicinato molto.
Luca Marinelli: Io avevo una certa paura nel dover ingrassare. Mentre io ingrassavo Alba dimagriva perciò si è creato un forte legame, ma anche una distanza visto che, per necessità alimentari, non mangiavamo più insieme.
Il libro è fatto di sfumature più che di eventi. Per questo l'adattamento era piuttosto complesso. Vi siete resi conto delle difficoltà? Avete avuto delle discussioni in fase di sceneggiatura?
Paolo Giordano: Molti mi hanno detto che il mio libro era molto cinematografico, ma io non ero d'accordo perché è un libro che funziona per sottrazione. Il cinema si basa sulla visione perciò eravamo consapevoli di questo ostacolo. Anche la scelta del genere all'interno del film è stata netta proprio per evitare la delicatezza, la sospensione del libro. Il film non se lo può permettere perché deve essere reale, visibile.
All'inizio del film si ha l'impressione di assistere a un horror. Questa scelta è legata alla centralità del corpo visto che l'horror gioca molto coi corpi?Saverio Costanzo: Il dolore presente nel romanzo è tale che se non si stempera un po' diventa irrappresentabile. L'horror permette di rileggere il dolore attraverso l'ironia, fornisce la libertà di sdrammatizzare. La musica che apre il film è un pezzo dei Goblin e il coretto presente nella parte dell'infanzia è di Morricone, tratto da L'uccello dalle piume di cristallo. Quando giravamo la musica era sul set, l'operatore di macchina ce l'aveva nelle cuffie e gli attori recitavano sopra la musica.
La scena della cicatrice che Alice mostra a Mattia è molto forte. Come l'avete realizzata?
Saverio Costanzo: Abbiamo cercato di rendere tutto finto, non avevamo pretesa di realismo. L'immaginario del cinema non ha a che fare con la realtà, ma con la finzione. Io volevo il teatro. Per la scena in montagna Giordano mi ha portato al Sestriere e io gli ho detto: "Ma fammela fare a Cinecittà". L'idea era quella di lavorare sull'immaginario e non sul realismo.