A dieci anni di distanza dal primo contagio, il T-Virus ha quasi finito di sterminare la razza umana. Esiste però un antidoto, custodito nel complesso sotterraneo noto come l'Alveare, a Raccoon City, e Alice ha 48 ore a disposizione prima che sia troppo tardi. Inizia così lo scontro finale tra l'eroina affetta da amnesia e la perfida Umbrella Corporation, il cui dirigente Alexander Isaacs, in precedenza dato per morto, è pronto a tutto pur di portare a termini i propri piani apocalittici.
Chi non muore si rivede
Negli ultimi mesi abbiamo assistito agli esiti non proprio positivi - in termini artistici e commerciali - di Warcraft - L'inizio e Assassin's Creed, due film che, nella speranza dei cinefili e degli appassionati di videogiochi, avrebbero dovuto sfatare il mito della presunta impossibilità di realizzare un buon adattamento cinematografico di un successo videoludico, sottogenere nel quale "brillano" diversi tentativi più o meno disastrosi, da Super Mario Bros. a Lara Croft: Tomb Raider, passando per gran parte della filmografia in lingua inglese di Uwe Boll. Un oceano di mediocrità dal quale emerge una saga che, per quanto non eccelsa, riesce a vantare un più che discreto successo commerciale. Parliamo ovviamente di Resident Evil, che dal 2002 ha partorito ben sei capitoli al cinema, laddove altri aspiranti franchise del medesimo genere tendono a morire dopo il secondo episodio. Un piccolo fenomeno il cui successo è attribuibile in gran parte al cineasta Paul W.S. Anderson, architetto della saga e regista di quattro film su sei (e nel caso di Resident Evil: Apocalypse e Resident Evil: Extinction, diretti rispettivamente da Alexander Witt e Russell Mulcahy, è comunque rimasto coinvolto come produttore e sceneggiatore), e all'attrice Milla Jovovich, icona del cinema action contemporaneo grazie al personaggio di Alice, creato appositamente per il primo lungometraggio e tuttora il cuore "umano" del franchise sullo schermo.
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Proprio alla luce di tale successo è difficile non reagire con un certo cinismo dinanzi alla promessa che Resident Evil - The Final Chapter sarà, come suggerisce il titolo, l'epilogo definitivo della saga. Questo perché il franchise, nonostante un calo progressivo degli incassi negli Stati Uniti, rimane molto redditizio, avendo superato la soglia del miliardo di dollari al box office in tutto il mondo, un record per quella che ufficialmente è una saga horror (ha battuto persino i gettonatissimi - in termini puramente commerciali - Saw e Paranormal Activity), e primato assoluto per gli adattamenti dei videogiochi. Inoltre, se anche avessimo a che fare con la fine della storyline sul grande schermo, c'è sempre la possibilità, già menzionata in passato, di raccontare storie legate a questo mondo in formato televisivo (e le vie da esplorare in tal senso ci sono, anche post-Final Chapter). E poi siamo sinceri: quante volte ci è capitato di vedere un film con la parola "finale" nel titolo e la promessa del capolinea definitivo, per poi ritrovarci con un altro sequel tra le mani qualche anno dopo? Un po' troppe, tant'è che il critico inglese Mark Kermode in uno dei suoi video-blog per la BBC ha consigliato di far modificare la definizione dell'aggettivo "finale" nel dizionario (vedi sotto).
Ritorno all'Alveare
Come abbiamo detto nel paragrafo precedente, Resident Evil è ufficialmente considerata una saga horror, sebbene i sequel precedenti si siano per lo più discostati da tale classificazione e abbiano puntato più sull'action fantascientifico/post-apocalittico. Il punto di forza di The Final Chapter è proprio un ritorno a quelle atmosfere iniziali, con una maggiore insistenza sulla claustrofobia e sul buio, con l'aggiunta di una sana dose di gore (e, a onor del vero, di una successione iniziale di jump scares che diventano presto stucchevoli). Una letterale chiusura del cerchio che coinvolge anche diversi personaggi storici del franchise e un paio di colpi di scena conclusivi che segnalano una vera volontà da parte di Anderson di rispettare la promessa del titolo del film. Ma c'è anche il desiderio di chiudere in grande, con la rappresentazione ultima - in tutti i sensi - del mondo creato dal T-Virus e l'influenza palese di Mad Max: Fury Road. Certo, manca la purezza viscerale della narrazione visiva di George Miller, ma l'omaggio ad un film che per certi versi si rifà alla logica videoludica è pertinente e molto efficace.
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Dal prologo che riassume benissimo l'antefatto della saga e quanto accaduto nei cinque episodi precedenti (con qualche omissione legata a minuscoli buchi di coerenza narrativa) alla corsa contro il tempo che domina il terzo atto, Anderson consegna un meccanismo imperfetto ma tremendamente efficace, volto al divertimento puro senza doversi preoccupare di porre le basi per il capitolo successivo (un problema presente soprattutto in Resident Evil: Retribution, che era sostanzialmente un trailer di 90 minuti). Il risultato sarà probabilmente apprezzato dai fan della saga, ma dovrebbe anche accontentare gli scettici che hanno abbandonato il franchise anni fa (grazie al suddetto prologo che rende superfluo il recupero degli episodi non visti).
Alice in the Wasteland
Per l'ultima volta spetta alla misteriosa Alice il compito di salvare il mondo, e lì si cela il velo di malinconia che attraversa indirettamente il film, perché se da un lato uno può legittimamente arrabbiarsi sapendo che per vedere il sequel più compiuto di Resident Evil è stato necessario aspettare il gran finale (?), dall'altro è altrettanto legittimo intristirsi un po' per l'addio di Milla Jovovich al franchise dove, malgrado abbondanti dosi di materiale non del tutto all'altezza del suo talento (e della fonte videoludica), ha sempre dimostrato una bravura sufficiente per rendere tollerabile la visione e una grinta tale da rendere imprescindibili quasi tutti i momenti d'azione pura (in questa sede con un avversario amabilmente odioso, interpretato da Iain Glen). Con il suo ultimo viaggio si chiude una sorta di era, forse non tanto potente da generare una sensazione di nostalgia, ma nemmeno del tutto trascurabile per come ha segnato una fetta di immaginario e, a suo personalissimo modo, rivoluzionato il videogame movie.
Movieplayer.it
3.0/5