All'interno del programma dell'edizione 2020 del Toronto International Film Festival, edizione ibrida con proiezioni fisiche per il pubblico locale e accesso online per stampa e professionisti, c'è anche l'iniziativa Best of TIFF Reunions: proiezioni speciali di film che hanno fatto la storia del festival, introdotte da una conversazione - in diretta sui social della kermesse canadese - con cast e troupe delle pellicole in questione. Tra queste c'è Requiem for a Dream, che dopo il debutto a Cannes nel maggio del 2000 fece il suo esordio nordamericano a Toronto nel settembre dello stesso anno, dando inizio al fruttuoso rapporto tra il festival e il regista Darren Aronofsky (solo uno dei suoi film successivi non è stato presentato all'interno della kermesse, per questioni di data d'uscita). Il cineasta ha partecipato a una conversazione moderata da Cameron Bailey, direttore artistico del festival, e con lui c'erano l'attrice Ellen Burstyn (candidata all'Oscar per la sua performance), il direttore della fotografia Matthew Libatique, lo scenografo James Chinlund e il compositore Clint Mansell.
Vent'anni di orgoglio
Cosa significa Requiem for a Dream per i vari partecipanti, a due decenni di distanza? "Rimango convinta che sia la mia migliore performance", risponde Ellen Burstyn. "Una lezione di narrazione visiva", dice James Chinlund, che all'epoca era alle prime armi e successivamente ha lavorato a progetti mastodontici come The Avengers, Il Re Leone e The Batman. La componente didattica è qualcosa su cui concorda Clint Mansell, il quale svela anche la posizione che il film occupa nella sua personale classifica: "L'albero della vita è il mio preferito dei film che ho fatto con Darren, ma questo gli si avvicina." Simile, ma con un primo posto diverso (per lui è Madre!), il pensiero di Matthew Libatique, che aggiunge un dettaglio molto toccante: "Da giovane, quando vidi Fa' la cosa giusta, fu quello a spingermi a voler lavorare nel cinema. Oggi molti giovani di colore, come lo ero io allora, mi dicono che questo film ha avuto lo stesso effetto su di loro, e ciò mi rende felice." È un po' più malinconico Darren Aronofsky, che ricorda il compianto Hubert Selby Jr., autore del romanzo di base e co-sceneggiatore del lungometraggio: "Mi manca interagire con lui." La Burstyn gli chiede che fine abbia fatto l'intervista che lei fece a Selby sul set, al che il regista risponde: "Dovrebbe essere tra gli extra della riedizione 4K che uscirà il mese prossimo."
Requiem for a Dream: 20 anni dopo il film di Darren Aronofksy è ancora scioccante
Errori fortunati
Il secondo lungometraggio di Aronofsky è un film calibrato al millimetro, come svela Libatique: "Non avevamo storyboard, però Darren aveva preparato una lista delle inquadrature per ogni sequenza." Ciononostante, ci fu almeno un errore sul set, durante una scena in cui recita Ellen Burstyn: il direttore della fotografia, commosso dalla performance dell'attrice, perse la concentrazione per un attimo, e di conseguenza parte di quella scena è fuori fuoco. Il ciak incriminato è rimasto nel film, in parte perché quelli successivi non avevano la stessa efficacia, in parte perché Aronofsky ebbe un'illuminazione inattesa fuori dal set: "Mentre giro tendo a guardare grandi classici la sera, e rivedendo I sette samurai mi accorsi che a un certo punto Toshirô Mifune era fuori fuoco. In quel momento mi dissi che se andava bene per Kurosawa, andava bene anche per me." Il cineasta smentisce anche un luogo comune su questo tipo di produzione: "La gente pensa che quando un film è così intenso e drammatico, l'atmosfera sul set sia identica. Invece ci siamo divertiti molto, perché era tutto un insieme di scoperte e invenzioni, dovute alle limitazioni in termini di tempo e risorse a disposizione. Vedere la performance di Ellen ha cambiato la mia percezione del lavoro dell'attore, perché era la prima volta che lavoravo con una professionista del suo calibro."
Darren Aronofsky si racconta: "Le limitazioni alimentano la creatività"
L'attrice concorda, definendo quel set "l'essenza della creatività". Aggiunge: "Mi chiedono spesso come si faccia a tornare alla normalità quando si ha a che fare con un progetto così intenso e deprimente, e la verità è che io ero felice di interpretare un ruolo così esigente, perché non capita spesso di poterlo fare. Il più delle volte è facile, questa parte invece era meravigliosamente difficile. L'unico aspetto spiacevole era il trucco per farmi ingrassare, alla fine della giornata non si staccava da solo perché la mia pelle aveva assorbito la colla usata per applicarlo. Ci voleva un'ora per rimuoverlo, e la mia pelle era tutta rossa, agonizzante." E com'è stato gestire i diversi stati d'animo, nonché quelli fisici, del personaggio, dato che spesso le riprese non avvengono in ordine cronologico? "Se non ricordo male, nel mio caso abbiamo girato quasi tutto nell'ordine giusto." Interviene Aronofsky: "Sì, ci sono due o tre scene girate in disordine, ma tutto ciò che accade nell'appartamento era in ordine cronologico."