Recensione Le streghe di Salem (2012)

Un passo falso dunque per Rob Zombie che, pur offrendo una visione originale e totalmente naif degli Inferi e di Satana, non riesce ad andare oltre il semplice delirio manieristico e a fare il salto di qualità con un'opera solida sia dal punto di vista della scrittura che della cifra stilistica.

Sortilegio a ritmo di rock

Primo film soprannaturale di Rob Zombie, Le streghe di Salem (titolo originale The Lords of Salem) arriva dopo la parentesi celebrativa dei due Halloween per un ritorno sul grande schermo tra i più attesi. La strada scelta stavolta dal regista de La casa dei 1000 corpi e La casa del diavolo è di quelle più battute dal filone soprannaturale suggerito dal titolo. Tutto gira intorno ad Heidi Hawthorne (una Sheri Moon Zombie con una nuova acconciatura rasta), DJ radiofonica nella stazione hard rock di Salem, la cittadina del Massachusetts tristemente nota per i suoi trascorsi esoterici. Un giorno la donna riceve per posta una scatola di legno contenente un disco e, pensando ad un demo di qualche gruppo emergente della zona, lo ascolta immersa nel buio della sua casa, una splendida dimora arredata con un gusto maniacale per il design che si trasformerà nella sua prigione. Heidi ignora che il diabolico sound che si diffonderà nel quartiere, e successivamente nell'etere dalla stazione radio, in realtà è la chiave che riaprirà a Salem, a distanza di centinaia di anni, la porta dell'Inferno.

Un esercizio di stile insistente e a tratti ridondante che rimaneggia il tema demoniaco/satanico già affrontato da Sam Raimi ne La Casa e da Polanski in Rosemary's Baby, senza aggiungere nulla di nuovo al genere. Questo ne Le streghe di Salem, un horror che riporta troppo alla memoria capisaldi del genere come La casa dalle finestre che ridono, i capolavori claustrofobici di Kubrick e i due film sopra citati, archetipi che Zombie non riesce del tutto a rimodernare neanche con l'introduzione del 'mezzo' musicale a lui tanto caro. Un viaggio trascendentale e ipnotico di sicuro fascino scenografico quello che il regista ci propone, in cui lo spettatore viene trascinato fisicamente, senza però mai rimanerne coinvolto a livello emotivo. La messa in scena è di straordinaria bellezza, il sound design e il montaggio sono davvero pregevoli, per non parlare del reparto make-up ed effetti speciali (seppur con qualche caduta di stile davvero plateale), ma il problema maggiore del film è la mancanza di sostanza proprio laddove Polanski aveva invece dato il meglio e cioè nella caratterizzazione dei personaggi, su tutti l'impalpabile protagonista interpretata dalla Signora Zombie, appena accennati e piuttosto disconnessi tra loro.
Non mancano i momenti disturbanti né quelli esilaranti e qui e là c'è anche qualche colpo di genio, ma a non far raggiungere la sufficienza, seppur striminzita, contribuisce anche un finale troppo sbrigativo e assolutamente inconsistente, che rafforza la delusione dei fan che si aspettavano, se non un capolavoro, quanto meno una rilettura in chiave audacemente moderna e rockettara dei grandi classici del filone satanico.
Splendide le streghe, sia quelle nei flashback sia quelle di oggi, interpretate magistralmente da Dee Wallace, l'indimenticabile Meg Foster di Essi Vivono, la Patricia Quinn di The Rocky Horror Picture Show e l'inquietante Judy Geeson, mentre è risultata piuttosto anonima la performance della moglie del regista Sheri Moon Zombie nel ruolo cruciale della vittima sacrificale prescelta per dare alla luce l'anticristo. Un passo falso dunque per Rob Zombie che, pur offrendo una visione originale e totalmente naif degli Inferi e di Satana, non riesce ad andare oltre il semplice delirio manieristico e a fare il salto di qualità con un'opera solida e bilanciata sia dal punto di vista della scrittura che della cifra stilistica.

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2.0/5