Recensione Il giorno in più (2011)

Dopo anni trascorsi ad esaltare lo spirito comico e sperimentale di Aldo, Giovanni e Giacomo e del duo Ale e Franz, Massimo Venier maneggia la materia romantica con un'attenzione fin troppo guardinga, dividendo involontariamente il percorso narrativo de Il giorno in più in due diversi spazi temporali.

E' una vita che ti aspetto

Trentasei anni, una carriera avviata e un appartamento lungo i navigli: questo è Giacomo, single impenitente con la maturità sentimentale di un quattordicenne. Affetto da un'evidente idiosincrasia nei confronti degli impegni a lungo termine ed incapace di relazionarsi anche con il cane Orazio, trascorre le sua esistenza tra incontri fugaci, viaggi di lavoro ed amici pronti a qualunque sacrificio pur di salvarlo dalla dannazione della solitudine. Eppure, all'insaputa di tutti, una donna riesce finalmente a scalfire il suo cuore e conquistare uno spazio imprevisto all'interno di una vita dettagliatamente declinata al singolare. Il suo nome è Agnese, lettrice appassionata, assistente universitaria e, soprattutto, fidanzata immaginaria. Colpito da un volto delicato e sfuggente scorto tra la multiforme umanità che affolla il tram mattutino, Giacomo, quasi inconsciamente inizia a plasmare la donna ideale in grado di salvarlo dalle assillanti stimolazioni famigliari e dalle pretese di un lavoro senza sosta. Ma si può iniziare ad amare qualcuno senza nemmeno conoscerne il nome? La risposta a questa domanda giunge inaspettata come l'invito impacciato di quel volto a lungo osservato e immaginato che, uscito finalmente dall'anonimato, si materializza nella personalità controversa di Michela, donna moderna in fuga dalle emozioni e dall'Italia. Così, spazzate via le certezze della fantasia, la realtà prende il sopravvento costringendo Giacomo ad una folle rincorsa tra Milano e New York per mettere alla prova, con una sorta di fidanzamento a tempo, la sua imprevista voglia d'amare.


Da Colazione da Tiffany ad oggi le avenue di New York sono state testimoni silenziose ma certo non invisibili di avventure sentimentali entrate nella memoria cinematografica di quasi ogni spettatore. Attraverso il romanticismo impacciato di Harry, ti presento Sally e quello più cervellotico di Woody Allen, per più di un ventennio sono stati costruiti archetipi narrativi che, dall'immagine all'interpretazione, hanno gettato le basi per la definizione di un genere spesso riprodotto all'infinito fino anche ad ottenere una esasperazione emotiva macchinosa e insopportabile. Un rischio, questo, che il regista Massimo Venier ha deciso di evitare nella trasposizione cinematografica de Il giorno in più, cercando di modulare con misura un Fabio Volo dall'inaspettato animo romantico con la necessità di non cadere ostaggio delle più stucchevoli tentazioni del genere. Da questo miscela degli opposti nasce una commedia romantica che, pur godendo di uno certo carattere internazionale per l'universalità dell'intreccio e la specificità dell'ambientazione, sembra guardare a questa sua anima americana con evidente sospetto.

Dopo anni trascorsi ad esaltare lo spirito comico e sperimentale di Aldo, Giovanni e Giacomo e del duo Ale e Franz, Venier maneggia la materia romantica con un'attenzione fin troppo guardinga, dividendo involontariamente il percorso narrativo in due diversi spazi temporali determinati dall'assenza e dalla presenza dell'elemento sentimentale. Così, sensibilmente più a suo agio nella rappresentazione di un'ambientazione italica e nella gestione di un personaggio che, nella manifestazione della sua egoistica leggerezza, stabilisce un contatto con l'ironia più sprezzante della comicità pura cui sembra essere fin troppo abituato, il regista rallenta il ritmo di fronte allo snodarsi dell'imprevisto amoroso. Preso da una sorta di pudore rappresentativo, non perde mai di vista la necessità di maneggiare l'oggetto newyorkese con senso della misura ma, allo stesso tempo, non lascia alle emozioni spazio per contaminare completamente le immagini.
In questo modo, grazie ad una fotografia più luminosa e ad una tecnica di ripresa mobile, la Grande Mela fa sentire il suo tocco magico senza trasformarsi in una città da cartolina offrendo a Giacomo e Michela la possibilità di rincorrersi liberamente come moderni Harry e Sally alle prese con un amore incomunicabile. Un'incompiutezza espressiva che Fabio Volo e Isabella Ragonese risolvono attraverso l'espediente della parola scritta, ma che il film non riesce a colmare completamente. Là dove solitamente risiede l'enfasi celebrativa del genere s'inserisce una sorta di sintetica evoluzione che, se riesce nell'intento di non cadere in errore, evita anche la rischiosa avventura di calibrare le sfumature cromatiche della commedia romantica. Così, lontano dall'essere di facile gestione, Venier sembra affrontare il genere attraverso un amorevole timore che, privo di acuti emotivi, ha la folle ambizione di moderare quella incontrollabile e necessaria passione per arrivare all'irrinunciabile ed eterno happy end.

Movieplayer.it

3.0/5