A Fabio Volo basta un giorno in più per innamorarsi

Dagli esordi a Radio Capital, passando per i successi televisivi di Italo-Spagnolo e Italo-Americano-Homeless Edition, l'ex-panettiere di Calcinate conquista il grande schermo con la trasposizione cinematografica del suo best seller che dal 2007 a oggi ha venduto un milione di copie.

Conduttore, attore, scrittore e molto altro: Fabio Volo si è fatto letteralmente in tre per costruire una carriera all'insegna della diversificazione. Dopo aver smesso l'inequivocabile divisa de le Iene cui deve nel 1998 la riconoscibilità televisiva ed aver cavalcato il successo radiofonico con Il Volo del mattino, l'ex-panettiere di Calcinate ha conquistato gli onori del grande schermo grazie ad un unione d'intenti con registi come Alessandro D'Alatri (Casomai, La febbre), Giovanni Veronesi (Manuale d'Amore 2 - Capitoli Successivi), Eugenio Cappuccio (Uno su due) e Cristina Comencini (Bianco e Nero), mentre il mercato editoriale lo ha accolto come un narratore moderno capace di conquistare vendite da capogiro. In questo modo, quella che sembrava un'avventura momentanea si è rivelata essere un'attitudine consolidata che, dopo il successo di Esco a fare due passi, E' una vita che ti aspetto, Un posto nel mondo e il nuovissimo Le prime luci del mattino, regala a Volo la soddisfazione inaspettata di vedere una sua creatura ispirazione per una nuova esperienza cinematografica. Si tratta di Il giorno in più che, diretto da Massimo Venier, storico regista del trio Aldo, Giovanni e Giacomo, e distribuito dal 2 dicembre in 450 copie da 01Distribution, trasforma l'autore in attore e sceneggiatore per racconta con l'usuale ironia del suo stile una storia d'amore itinerante tra Milano e New York affiancato dalla delicata bellezza di Isabella Ragonese.

Dopo essere stato tradotto in 18 lingue e aver venduto un milione di copie, Il giorno in più ha conquistato anche il grande schermo. Signor Volo, come ha lavorato alla trasposizione del romanzo? Ha scelto di rimanere fedele al libro o si è concentrato esclusivamente sul percorso cinematografico? Fabio Volo: Durante le prime fasi di scrittura, riuniti nello studio di Massimo Venier a Milano con gli sceneggiatori Federica Pontremoli e Michele Pellegrini, il centro delle nostre discussioni è stato inevitabilmente il libro. Ci siamo concentrati sugli elementi che volevamo mantenere e quelli cui potevamo rinunciare senza avere, però, ben chiara la direzione da prendere. La preoccupazione maggiore era di far felici tutti e di non scontentare nessuno. Tutto è cambiato quando abbiamo deciso di prendere le distanze dal romanzo scrivendo insieme. Da quel momento in poi la storia ha preso una strada indipendente e il libro si è trasformato in un oggetto funzionale, una sorta di bussola per segnare il percorso del film.

Accanto alla figura centrale di Giacomo, simpatica canaglia affetto da instabilità sentimentale, prendono vita una serie di personaggi come la sfuggente Michela, il collega logorroico Dante e la paziente Silvia che, ben lontani dall'essere sfuggenti e indefiniti, dimostrano di possedere una compiutezza narrativa. Cosa vi ha intrigato di più nell'interpretare le loro personalità ? Isabella Ragonese : Ad essere onesti io avevo un po' paura ad interpretare Michela. Bisogna considerare che il romanzo è incredibilmente amato e il mio personaggio ha un nugolo di fan accaniti. Ho preso coscienza di tutto questo navigando su internet e leggendo i commenti di coloro che, per un verso o per l'altro, nelle difficoltà di Michela hanno riconosciuto se stessi. Partendo da questo presupposto era inevitabile che, qualunque cosa avessi fatto, avrei comunque rischiato di deludere. Quindi non ho fatto altro che ispirarmi alle ragazze di oggi, molti intraprendenti nel lavoro ma estremamente insicure nei sentimenti.
Camilla Filippi: Avevo appena partorito e, dovevo interpretare una madre sovrastata dai suoi impegni. Così mi sono appoggiata esattamente a ciò che ero, ossia alla stanchezza e alle occhiaie per mancanza di sonno. In realtà ho faticato meno di quanto accade solitamente per avvicinarmi ad un personaggio.
Pietro Ragusa: Spero che Massimo Venier non mi abbia scelto perché somiglio a Dante. Comunque, ciò che mi ha veramente intrigato è stata la possibilità di farmi vedere per la prima volta in mutande e canottiera.

Continuando ad analizzare la struttura dei personaggi, questo film ha il merito di attribuire al ruolo femminile una posizione di rilievo nonostante una vicenda strutturata e raccontata esclusivamente da una voce maschile. Come avete sfruttato questa possibilità insolita per il cinema italiano? Camilla Filippi: Per quanto mi riguarda la mia Silvia gioca su una sorta di umanità totalmente assente dalle corde di Giacomo, almeno per tutta la prima parte. L'elemento vincente è stato tirar fuori dal mio personaggio un affetto cieco che la caratterizza fin dall'inizio.
Isabella Ragonese: Nella commedia le donne sono spesso figurine che potrebbero essere facilmente sostituibili, ma in questo film non sono previsti personaggi piatti. Per me è stato divertente fare la parodia della donna ideale. Per la prima parte del film io sono solamente un'immagine su cui ognuno può proiettare ciò che vuole, poi, avvicinandoci a Michela, scopriamo che anche lei ha delle caratteristiche peculiari.

Signora Ragonese, dopo il successo ottenuto da Dieci Inverni è tornata alla rappresentazione del romanticismo, questa volta in chiave comica. Non ha avuto timore di tornare ad un ruolo e a delle atmosfere già ampiamente interpretate? Isabella Ragonese: Quando ho letto la sceneggiatura di Il giorno in più ho rintracciato una sorta di umore, un'atmosfera comune con Dieci Inverni, ma non mi sono preoccupata affatto di ripetere l'esperienza, anche perché in questi anni penso di essermi lanciata in molti progetti diversi tra loro. Inoltre credo che, fatta eccezione per la storia, questi due film siano profondamente diversi. Dieci inverni si muove attraverso un mood molto più romantico senza nessun riferimento alla commedia più pura. Si tratta di un film di situazioni con dei ritmi completamente diversi ed una evoluzione temporale più lunga.

Il tema portante del film sembrano essere la ben nota teoria di Peter Pan, di cui sembra affetta in modo particolare la generazione dei trentenni ed un certo romanticismo vintage. Non credete che questi due elementi siano stati fin troppo utilizzati e abusati da cinema e letteratura? Fabio Volo: Non sono mai stato d'accordo sulla definizione della sindrome di Peter Pan che frequentemente mi è stata attribuita. E non credo nemmeno che la nostra generazione sia affetta da una mancanza di crescita quanto da un crollo dei ruoli. Non penso che mio padre si sia mai chiesto se desiderasse o meno diventare un marito, semplicemente era quella la consuetudine secondo cui tutti vivevano. Questo vuol dire che improvvisamente, giovanissimi e probabilmente impreparati a sostenere certe responsabilità, hanno accettato di rivestire dei ruoli e non di diventare delle persone. Oggi le cose sono completamente cambiate, le donne possono fare ciò che desiderano e l'individuo s'interroga sulla necessità di rispettare se stesso. Nel film troviamo dei personaggi che interagiscono proprio attraverso questi nuovi stimoli, mettendo al centro la propria persona e la realizzazione di desideri finalmente onesti e non indotti. Per quanto riguarda il romanticismo posso assicurare che grazie a Venier tutto è stato limitato e gestito sicuramente con più misura rispetto al romanzo. Massimo è stato in grado di trovare dei giusti equilibri sia per quanto riguarda la qualità delle immagini che la rappresentazione dei sentimenti.

Ambientato tra Milano e New York, Il giorno in più gode di un respiro internazionale che riporta con naturalezza alla tradizione della commedia romantica americana anni ottanta/novanta, ma come siete riusciti ad evitare il tranello del sentimentalismo? Massimo Venier: Se devo scegliere tra tutte le pellicole del genere, una delle mie preferite è sicuramente 500 giorni insieme di Marc Webb. Del film apprezzo soprattutto l'uso dell'immagine e molti elementi narrativi che ho cercato di riadattare al mio stile e alle necessità della storia. Con questo non vuol dire che nel film ci siano delle citazioni dirette anche se, riferendoci ad una porzione talmente vasta di cinema, non mancano dei riferimenti puramente estetici. D'altronde qualsiasi pellicola prende spunto da qualche cosa fatta prima, a meno che non ci si trovi di fronte ad una personalità artistica geniale ma non è questo il caso. Per quanto riguarda il mio lavoro, ho cercato di evitare la stucchevolezza, il romanticismo eccessivo e il ruolo della donna incapace d'intendere e volere. In fin dei conti non ho fatto che fuggire dai tranelli del genere dovendo necessariamente confrontarmi con questo.
Fabio Volo: Come fai a girare a New York un film d'amore e non pensare a Harry, ti presento Sally? Ogni volta che si presenta un film, però, c'è sempre qualcuno pronto a farti notare le somiglianze con un'altra storia, eppure, in questi anni, oltre Dogville non ricordo di aver visto nulla di incredibilmente interessante. D'altronde se piove è Blade Runner, se c'è un nano si tratta di David Lynch, mentre se i protagonisti sono due uomini innamorati non può essere che Pedro Almodovar.

Dopo aver ricevuto il battesimo del grande schermo come autore non vuol cedere al fascino della regia? Fabio Volo: Ho pensato di fare il regista come ho accarezzato l'idea di diventare un'astronauta. E' indubbiamente un'ipotesi che tengo in conto ma ogni volta che sembro deciso al grande passo mi tiro indietro. Il fatto è che, arrivato al nono film come attore, vorrei acquisire ancora un po' di esperienza prima di passare al mestiere più interessante ma anche più duro tra tutti quelli che compongono l'ambiente cinematografico.