Recensione Bernie (2011)

L'abilità di Richard Linklater, e del suo interprete Jack Black, sta nel costruire una pellicola stratificata e molteplice, sofisticata, mai banale facendo sì che il vero significato del film si riveli a poco a poco.

Oh Bernie, what have you done?

La vita scorre placida nell'idilliaca Carthage, assolata cittadina di provincia del Texas nord-orientale. L'esistenza degli abitanti, bravi cristiani del Sud, è scandita da funzioni religiose, funerali e matrimoni accompagnati dalla voce angelica di Bernie Tiede, impiegato presso la locale impresa di pompe funebri. Bernie, quarantenne sovrappeso vagamente effemminato, dai modo pacati e dalla spiccata sensibilità, esercita i suoi mille talenti adoperandosi per la comunità e partecipando attivamente alle sue attività, in primis agli spettacoli messi in piedi dal locale gruppo di teatro. La vita di Bernie subisce una scossa quando l'uomo stringe amicizia con l'arcigna vedova Marjorie Nugent, ricchissima, ma talmente sgradevole da aver allontanato amici e parenti. L'unico che sembra tollerare il suo pessimo carattere è il paziente Bernie che diventa il compagno di viaggi e di vita di Marjorie fino al giorno in cui anche lui raggiunge il punto di rottura.

Con Bernie, dark comedy calibratissima, l'eclettico Richard Linklater costruisce un omaggio critico alla regione che gli ha dato i natali. Da attento analista della contemporaneità e acuto osservatore dei comportamenti umani, Linklater decide di partire da un raccapricciante fatto di cronaca: l'omicidio di una vedova ottantunenne da parte del giovane compagno omosessuale. La dinamica degli eventi viene ricostruita in un articolo comparso nel 1998 sul Texas Monthly, Midnight in the Garden of East Texas, firmato da Skip Hollandsworth. Sfidando gli attacchi degli abitanti e dei media di Carthage, che non sembrano particolarmente felici all'idea di diventare celebri in tutto il mondo per aver ospitato un delitto farsa come quello che ha visto responsabile Bernie Tiede, Linklater si tuffa a capofitto nella vicenda dirigendo un'arguta sceneggiatura firmata con lo stesso Hollandsworth. L'incipit di Bernie ci fa subito capire quanto curiosa e difficile da categorizzare sia la pellicola che stiamo vedendo. Il film si apre, infatti, con una lunga sequenza iniziale in cui un professionale Bernie Tiede illustra con dovizia di dettagli le tecniche per preparare i cadaveri per la sepoltura di fronte ai suoi studenti. Lo sguardo ironico del regista si diverte a indugiare in particolari raccapriccianti, quali la colla spalmata su palpebre e labbra per evitare che queste si aprano durante l'inumazione, che sembrano presi in prestito da Ladri di cadaveri - Burke & Hare di Landis.

Quando la narrazione entra nel vivo, Bernie assume la forma di tragicomico mockumentary dove, alla rappresentazione dei fatti, si alternano le voci degli abitanti di Carthage, amici, conoscenti, parenti, semplici osservatori esterni che non rinunciando a fornire il proprio punto di vista andando a costituire una sorta di coro da tragedia greca. Al centro di questo coacervo, che restituisce con efficacia la mentalità della provincia sudista, si muove il cortese Bernie. Dimenticate tutte le precedenti interpretazioni di Jack Black. In quella che è la sua miglior performance, il corpulento mattatore di tante pellicole scatenate fornisce una prova superlativa plasmando il proprio corpo, le movenze e la voce per trasformarsi nell'aggraziato Bernie. Sulle spalle dell'attore grava la responsabilità maggiore. Restiture sul grande schermo la complessità di Bernie, quella sua affabilità, quella cortesia estrema, quella piacevolezza apparemte che nasconde un eco di ambiguità, un sottofondo viscido, è una sfida notevole per un attore irruento come l'interprete di School of Rock. Jack Black riesce a scomparire dietro al misurato Bernie e al suo autocontrollo totale rendendo credibile quell'apparente assenza di emozioni che caratterizza l'omicida nel corso nel brutale delitto, nell'occultamento del cadavere, nascosto per nove mesi in un congelatore, e nelle menzogne vendute con un sorriso ai conoscenti insospettiti dalla scomparsa di Marjorie mentre spendeva allegramente il suo denaro, offrendolo generosamente anche ai concittadini ignari.

Al di là dei risvolti comici, la pellicola di Richard Linklater si muove sul confine che separa satira e dramma e dietro l'apparente normalità i suoi personaggi non sono altro che maschere tragiche. L'abilità del regista, e del suo interprete, sta nel costruire una pellicola stratificata e molteplice, sofisticata, mai banale facendo sì che il vero significato del film si riveli a poco a poco. Alla pienezza della maturità del Linklater autore corrisponde quella dell'interprete Jack Black. Il suo Bernie è il fulcro del film mentre il personaggio affidato a Shirley MacLaine, la bidimensionale Marjorie, ruolo quasi muto e apparentemente mortificante per la diva hollywoodiana, è funzionale alla storia così come quello di Matthew McConaughey, altro texano doc già diretto da Linklater in La vita è un sogno, che sfodera l'accento natio nel ruolo del rozzo pubblico ministero affidato al caso Tiede. Di fronte alle miserie dell'esistenza si rivolge lo sguardo partecipe del regista, critico, ma mai giudicante. Che tipo di persona era Bernie Tiede? Era buono o cattivo, opportunista o generoso? Di fronte a queste domande non esiste una risposta preconfezionata. In puro spirito southern non resta altro da fare che indossare un cappello di cowboy, imbracciare una chitarra e strimpellare una sad song ispirata alla vicenda.

Movieplayer.it

4.0/5