La giustizia è solo un'illusione
Questa è una delle tante frasi che accompagnano i nuovi episodi di Perry Mason, nato come miniserie e presto diventato l'ennesimo prodotto seriale di punta della HBO che ha capito di avere un altro asso nella manica, e ora tornato dopo tre anni complice la pandemia. Dopo aver preso l'avvocato per antonomasia della tv e averci costruito intorno ad arte un prequel ambientato negli anni della Grande Depressione, ha saputo utilizzare le caratteristiche che ne hanno fatto la fortuna nelle due serie storiche negli anni '60 e '90 nate dalle opere di Erle Stanley Gardner ma reimmanginandole ancora una volta nel contesto degli anni '30. La recensione di Perry Mason 2 sarà altrettanto entusiastica perché la serie torna con otto nuovi episodi in cui si dipana un nuovo grande caso proprio come nel ciclo inaugurale e nuove sfide attendono tutti i protagonisti a partire dal personaggio del titolo, e tutto sembra incastrarsi davvero alla perfezione.
Nuovo caso, stessa presunzione di colpevolezza
La stagione 2 di Perry Mason riprende sei mesi dopo gli avvenimenti del primo ciclo, con le conseguenze delle evoluzioni dei personaggi e delle loro dinamiche viste nel precedente finale, soprattutto per quanto riguarda il protagonista interpretato dal Premio Emmy Matthew Rhys, ancora una volta convincente per la ritrosia e la diffidenza che dimostra continuamente verso tutti. Ha perso quella poca fiducia che poteva aver guadagnato nella Legge e in se stesso dopo il suicidio della sua precedente cliente, che sente di non aver salvato dal braccio della morte. Appare così ancora più chiaro perché, quando gli si presenta un nuovo caso in cui due persone della classe sociale meno fortunata vengono accusate di un delitto di cui non sono colpevoli, la memoria gli gioca brutti scherzi e ha il terrore di ripercorrere tutto di nuovo. Tanto più che, dopo i precedenti avvenimenti, ha deciso di darsi al civile e non al penale, pur accorgendosi parallelamente di quanto eredità e contratti lo rendano ancor più apatico verso il mondo e non stimolato dalla propria professione. Così, mentre si ritrova a gestire gli affari legali di un grande supermercato e del suo direttore despota (un inedito e riuscitissimo Sean Astin), mette ancora una volta in discussione se stesso e il proprio credo (legale e umano).
Perry Mason, la recensione: tra processi e delitti nella serie HBO
Non si vive di solo Perry Mason
La forza del Perry Mason di HBO però non sta solo in Rhys ma anche nel suo cast di alto livello, a partire da quelli che diverranno i suoi storici comprimari e "partner in crime". La Della Street lesbica di Juliet Rylance e il Paul Drake nero di Chris Chalk sono due personalità che vanno ben oltre la quota da inserire in uno show oggi: sono sfaccettati, onesti, a volte contraddittori ma sempre leali, la prima ora assistente e quasi socia di Perry mentre studia per diventare avvocato, il secondo investigatore privato abilissimo che cerca di stare il più possibile lontano dai riflettori insieme alla moglie Clara.
Riflettori che riporteranno sulla bocca di tutti la squadra di Perry Mason, il quale conferma ancora una volta le caratteristiche che faranno la fortuna del personaggio, come i divertenti e arguti siparietti dentro e fuori dall'aula di tribunale per dimostrare la propria tesi. Ancora una volta le storie dei personaggi si intrecceranno a quelle del sistema giudiziario di Los Angeles per dar vita a una rara sinfonia cospirativa in cui ogni tassello si conferma essere al proprio posto, tanto da farcene desiderare ancora. Se il tema centrale della prima stagione era la religione, ora che il personaggio di Tatiana Maslany si è recato altrove (e viene nominato in tal senso), ad emergere in questo secondo ciclo saranno le tematiche della disparità sociale, la discriminazione razziale attraverso i due sospettati messicani e la difficile convivenza tra culture, sempre sotto gli occhi attenti di un Sistema che non sembra voler aiutare i più deboli ma favorire i più potenti, o meglio quelli che hanno più da perdere.
Uno splendido e raffinato noir
Sarà merito della produzione in mano a Robert Downey Jr. e Susan Downey, sarà merito delle location per la maggior parte ricostruite senza l'uso massiccio di CGI di HBO, sarà merito della scrittura elegante e della messa in scena fumosa e scura, ma Perry Mason 2 si conferma uno splendido e raffinato noir, grazie anche alla penna precisa che non tradisce il passato dei nuovi showrunner Jack Amiel e Michael Begler (Qualcosa di straordinario), alla sapiente regia di Coimbra (Narcos), Jessica Lowrey (Halo), Marialy Rivas (LaJauría), e Nina Lopez-Corrado (Agents of S.H.I.E.L.D.) e alle preziose interpretazioni dei ritrovati Shea Whigham e Justin Kirk insieme alle new entry Katherine Waterston, Hope Davis, Tommy Dewey e Jen Tullock (la sorella del protagonista in Scissione).
Fidarsi è bene...
Quello che ritroviamo in questa seconda stagione è sostanzialmente un Perry Mason, insieme agli altri personaggi, più disilluso e cinico, e la tematica che sembra accomunare tutti è la possibile (s)fiducia verso il sistema legale statunitense dell'epoca (che strizza però l'occhio anche a quello della nostra contemporaneità, se ci pensiamo un attimo). È possibile trovare giustizia all'interno di un sistema corrotto, o meglio pregiudizievole che ha già pronunciato la propria sentenza ancor prima di varcare la soglia del tribunale, discutere e deliberare in aula? O rimarrà una pia illusione come decantato dal sostituto procuratore interpretato da Justin Kirk? Domande esistenziali che sono anche legittimate da un'esistenza terribilmente in balìa degli eventi, poiché l'occhio attraverso cui viviamo la storia è quello dei protagonisti, che sono tutti degli emarginati a modo proprio e dei reietti per motivi e a livelli diversi. Insomma, che dire se non "Buona la seconda, signor Perry Mason!".
Conclusioni
Chiudiamo la recensione di Perry Mason 2 felici di ritrovare le caratteristiche che avevano fatto la fortuna del ciclo inaugurale senza perderne però l’invettiva e il fascino, nonostante il cambio di showrunner. La messa in scena continua a regalare una Los Angeles fumosa e noir, mentre il caso che attraversa le otto puntate è ancora una volta appassionante e reitera vecchie e nuove tematiche come la discriminazione razziale, la disparità sociale e la fiducia nel sistema legale.
Perché ci piace
- Il nuovo caso funziona e porta nuovi spunti narrativi e cospirativi.
- Matthew Rhys convince ma soprattutto si confermano ottimi e sfaccettati Juliet Rylance e Chris Chalk.
- Le new entry e i personaggi di contorno, come un inedito e crudele Sean Astin.
- L'atmosfera noir ed elegante che permea tutta la messa in scena.
Cosa non va
- Anche la nuova stagione ci mette un po' ad ingranare e a farci tornare nel mood giusto per la visione.
- Il ritmo rimane compassato.