In un parcheggio, all'alba, una macchina con i finestrini appannati oscilla. Sembrerebbe che ci siano due persone intente a fare l'amore. Invece scopriamo subito che si stanno dando botte da orbi. Una dei due è Riley North, e nella recensione di Peppermint - L'angelo della vendetta, il nuovo film di Pierre Morel, in uscita il 21 marzo, vi racconteremo la sua storia.
Peppermint - L'angelo della vendetta è un revenge movie, diretto dal regista della serie Taken, di cui può essere considerato la versione al femminile. È un noir teso, cupo, violentissimo, solido e con un sapore di déjà vu. Che ha il pregio di riportare Jennifer Garner al punto di partenza della sua carriera, quelle produzioni action, come Alias che l'aveva lanciata, un genere che non frequentava da undici anni. Ovviamente ci torna con un bagaglio di esperienza da attrice drammatica che oggi è la sua marcia in più.
La trama: la vendetta di Riley North
La trama di Peppermint si apre descrivendoci la vita di Riley North (Jennifer Garner), una donna tranquilla, che si divide tra il suo lavoro in banca e la famiglia, composta dal marito e una figlia. Il marito, che lavora in un'officina, è tentato, da un amico, di fare un colpo ai danni di un trafficante di droga. Si tira indietro in tempo, ma la voce si è già sparsa e così la resa dei conti riguarda anche lui: e pochi giorni prima di Natale, il giorno del compleanno della bambina, viene freddato insieme a lei, proprio davanti agli occhi di Riley. Per via di un giudice corrotto, gli assassini non vengono assicurati alla giustizia, e Riley sta per essere rinchiusa in un ospedale psichiatrico. Ma sparisce. E cinque anni dopo, le persone coinvolte in quegli omicidi cominciano a morire...
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Come la Sposa di Kill Bill?
Una donna che si vendica degli assassini del marito. Raccontata così, questa storia assomiglia molto a quella di Kill Bill: Volume 1 di Quentin Tarantino. Ma ci troviamo in un film completamente diverso. Se nel film con Uma Thurman la violenza era estetica, talmente stilizzata e coreografata da trasformarsi, a ogni appuntamento con la morte, in un genere cinematografico diverso, qui siamo in un film monocromatico, uniforme, in cui la violenza è concreta e realistica. Un film che funziona, ma che inevitabilmente sa di già visto. Ma qualche motivo di interesse che lo eleva leggermente dalla media ce l'ha.
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Quella violenza catartica
In comune con Kill Bill, e con altri film di Tarantino, nel film di Pierre Morel c'è quella violenza catartica, quel processo psicologico che ci fa accettare la violenza nei confronti di qualcuno che a sua volta si è macchiato di delitti orrendi. E che ci rende, in questo senso, un po' complici degli efferati delitti che stiamo vivendo. Attenzione: è un processo che non sarebbe accettabile nella vita reale, né in alcuna società civile, ma lo è, da sempre, al cinema, dove comunque siamo consci di assistere a uno spettacolo di finzione. Il che non toglie che film di questo tipo ci pongono anche delle domande su noi stessi, sui limiti etici e morali che ci diamo, sulla giustizia e a chi spetta il ruolo di applicarla. Semplificando al massimo, è la classica frase: cosa faremmo noi al posto loro?
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Riley North, la polizia e i social network
Ed è una domanda che si pongono anche i poliziotti di Los Angeles, terza parte in causa nella lotta tra Riley e il boss della droga. I poliziotti che, attenzione, non sono da considerare un unico blocco, ma che sono persone diverse con diverse opinioni sul caso di Riley North. E anche con diversi livelli di onestà... Dal punto di vista della giustizia, Riley è ovviamente un'assassina. Ma, se si pensa alle persone che uccide, che sono molto peggio e non riescono ad essere assicurate alla giustizia, non è forse un eroe? La pensano così anche le persone sui social network. Che sono un media che sta entrando sempre di più nella narrazione del cinema di genere, pensiamo a Il giustiziere della notte e a Glass.
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Come Batman?
In fondo, Peppermint - L'Angelo della vendettafa la stessa riflessione dei cinecomic come Glass e Il cavaliere oscuro. Nel momento in cui la sua effige appare su un graffito sul muro, con due ali da angelo a contornare la sua figura, e vediamo che, oltre a vendicarsi, sta proteggendo il quartiere in cui si trova, capiamo che è diventata una sorvegliante. Come tanti dei supereroi che conosciamo, come l'Overseer di Glass o come Batman, è una figura che si muove tra la legalità e l'illegalità, tra il convenzionale e il non convenzionale, in una linea sottile in cui passare dal giusto allo sbagliato è questione di attimi. Peppermint racconta questo da una prospettiva inversa rispetto ai cinecomic, che ci presentano l'eroe per poi metterne in dubbio il suo essere tale. Qui abbiamo una criminale che, da qualcuno, o da molti può essere considerata un eroe. Va arrestata? Ma qualcuno penserebbe mai di mandare in galera Batman?
Movieplayer.it
3.0/5