A otto anni di distanza dal trionfo de La grande bellezza, Paolo Sorrentino torna per la seconda volta in competizione agli Oscar nella categoria che, due anni fa, è stata rititolata miglior film internazionale, riservata alle produzioni non statunitensi e recitate in prevalenza in lingue diverse dall'inglese. La sera del 27 marzo il magnifico È stata la mano di Dio, memoriale autobiografico ispirato all'adolescenza del regista napoletano, sfiderà dunque gli altri quattro candidati in lizza per l'Academy Award: una cinquina, quella per il miglior film straniero, in cui l'Italia mancava dal 2014, vale a dire proprio dall'edizione della vittoria di Sorrentino. Da allora, l'interesse dell'Academy nei confronti del cinema internazionale è cresciuto in maniera esponenziale, come testimoniato dalla valanga di nomination e di premi per titoli quali Roma e Parasite.
Un trend confermato dal successo di pellicole non anglofone in questa novantaquattresima edizione degli Academy Award, incluse le due nomination (miglior attrice e miglior colonna sonora) per Madres paralelas di Pedro Almodóvar, che quasi certamente sarebbe rientrato anche nella rosa dei film internazionali qualora fosse stato scelto come rappresentante della Spagna. L'assenza di Almodóvar (candidato due anni fa per Dolor y gloria) ha lasciato spazio dunque ai cinque titoli che andremo a esaminare di seguito: ecco quali sono, in ordine alfabetico, i concorrenti per l'Oscar come miglior film internazionale del 2021 e quante chance hanno di conquistare un premio nella notte del 27 marzo.
Drive My Car
Giusto a proposito di premi, rimangono davvero pochissimi dubbi sull'esito delle votazioni per l'Oscar: a essere incoronato a furor di popolo come miglior film internazionale sarà infatti Drive My Car, scritto e diretto dal regista giapponese Ryusuke Hamaguchi sulla base di un racconto di Murakami Haruki. Per Ryusuke Hamaguchi, si tratterà del coronamento di un'annata eccezionale, inaugurata dall'Orso d'Argento al Festival di Berlino 2021 per il film a episodi Il gioco del destino e della fantasia. Pochi mesi più tardi, Hamaguchi ha incantato la critica al Festival di Cannes con Drive My Car, ricompensato per la miglior sceneggiatura: il ritratto di Yusuke Kafuku (Hidetoshi Nishijima), uno stimato regista teatrale la cui esistenza, privata e professionale, giunge a un improvviso punto di svolta.
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Dopo un lungo antefatto, il film si concentra su un allestimento di Zio Vanya di Anton Cechov a Hiroshima: nel corso dei preparativi dello spettacolo, la vita di Yusuke si intreccerà con quelle di un piccolo gruppo di personaggi. Il teatro diventa così lo strumento per esplorare se stessi, ma anche un codice comune che riesce a mettere in contatto individui con esperienze e punti di vista molto diversi. A sorprendere piacevolmente, nel caso di Drive My Car, è il fatto che un'opera tanto densa e introspettiva abbia raccolto un'approvazione trasversale, raccogliendo in tutto quattro nomination agli Oscar: miglior film, regia, sceneggiatura adattata e film internazionale. E se la vittoria in quest'ultima categoria appare scontata, un tale poker di candidature manifesta l'attenzione crescente dell'Academy verso tipologie di cinema ben lontane dai modelli hollywoodiani, ma in grado di raggiungere un pubblico sempre più ampio.
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Flee
A fronte delle quattro nomination di Drive My Car, ha quasi altrettanti motivi di festeggiare il regista danese Jonas Poher Rasmussen per il suo Flee, prima pellicola ad aver ottenuto tre candidature nelle seguenti categorie: miglior film internazionale, miglior film d'animazione e miglior documentario. Una tripletta inedita per un altro dei titoli più acclamati del 2021, uscito giovedì scorso nelle sale italiane: la storia (vera) al cuore del documentario animato di Rasmussen, co-prodotto da Riz Ahmed (anche doppiatore della versione in inglese), è quella di Amin Nawabi, un ex-rifugiato che rievoca la sua drammatica giovinezza in Afghanistan, la fuga dal paese natale e il percorso di accettazione della propria omosessualità. Paragonabile a titoli quali Persepolis e Valzer con Bashir per la sua capacità di rievocare i drammi di un popolo mediante i canoni dell'analessi e del racconto di formazione, Flee ha già sancito un record assoluto nella storia degli Oscar, a prescindere dall'esito delle sue tre nomination.
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È stata la mano di Dio
E al filone del racconto di formazione appartiene pure il candidato italiano agli Oscar 2022: È stata la mano di Dio, l'undicesimo lungometraggio di Paolo Sorrentino (se si considera Loro come un dittico) e quello dalla matrice esplicitamente autobiografica. Insignito del Gran Premio della Giuria alla Mostra di Venezia 2021, dove il ventunenne Filippo Scotti ha ricevuto il premio Mastroianni come miglior attore emergente, e distribuito in tutto il mondo da Netflix, È stata la mano di Dio è stato accolto come un capolavoro in particolare dalla critica italiana, che ha elogiato in maniera unanime l'amalgama fra sincerità e invenzione, fra comicità e tragedia del memoriale sull'adolescenza di Sorrentino, con il sedicenne Fabietto Schisa (interpretato dall'esordiente Scotti) a fungere da alter ego del regista.
Il senso di appartenenza a un microcosmo familiare e sociale, la dolorosa elaborazione di un lutto e la ricerca del proprio posto nel mondo sono alcuni fra i temi-chiave di un'opera magnifica, che ha portato per la trentaduesima volta l'Italia in gara per l'Oscar come miglior film straniero (a detenere il primato di candidature è la Francia, con ben quaranta titoli). In quest'occasione, sembra impossibile che Sorrentino possa fare il bis dopo La grande bellezza; tuttavia, già la nomination costituisce uno splendido tributo a uno dei film italiani più amati degli ultimi anni.
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Lunana: il villaggio alla fine del mondo
A fronte dell'ennesima candidatura per l'Italia, è invece una storica prima volta agli Oscar quella del Bhutan, un piccolo Regno nell'entroterra asiatico, fra i monti dell'Himalaya. A rappresentare il Bhutan è Lunana: il villaggio alla fine del mondo, debutto dietro la macchina da presa del fotografo Pawo Choyning Dorji con la storia di un giovane insegnante, Ugyen Dorji (Sherab Dorji), che per il suo ultimo anno di tirocinio viene spedito in un piccolo villaggio nel Nord del paese, Lunana, abitato da una comunità in condizioni di grande povertà e carenza di mezzi; per il maestro, ancora alle prime armi, si tratterà di una sfida tutt'altro che semplice. Lunana: il villaggio alla fine del mondo è stato l'autentica sorpresa di questa categoria, dove ha superato la concorrenza di uno dei grandi favoriti della vigilia (Un eroe di Asghar Farhadi), probabilmente anche in virtù della fascinazione dell'Academy per i racconti di ambientazione scolastica. Il film di Pawo Choyning Dorji sarà distribuito nelle sale italiane dal 31 marzo.
La persona peggiore del mondo
Arriviamo così all'ultimo titolo della cinquina per l'Oscar come miglior film internazionale: La persona peggiore del mondo, sesta pellicola dalla Norvegia ad aver ricevuto una nomination nella suddetta categoria. Applauditissimo dalla critica fin dal Festival di Cannes, dove Renate Reinsve ha vinto il premio come miglior attrice per il ruolo della protagonista Julie, il film è diretto da uno dei maggiori talenti del cinema scandinavo, Joachim Trier, che porta a compimento la sua cosiddetta "trilogia di Oslo" con un altro coming of age, dopo i precedenti Reprise e Oslo, 31. august. Attraverso una struttura divisa in dodici capitoli, un prologo e un epilogo, La persona peggiore del mondo mette in scena i turbamenti sentimentali di Julie, divisa tra il fidanzato Aksel Willman (Anders Danielsen Lie), fumettista quarantenne con aspirazioni molto diverse dalle sue, e una nuova fiamma, Eivind (Herbert Nordrum).
Contraddistinta da un tono personalissimo, benché ancorato agli stilemi del cinéma vérité, l'opera di Joachim Trier sta ricevendo numerosi apprezzamenti pure in America ed è il principale sfidante di Drive My Car nella corsa all'Oscar. Accanto alla candidatura come miglior film internazionale, La persona peggiore del mondo si è aggiudicato anche la nomination per la miglior sceneggiatura originale, firmata da Trier insieme al suo fedele collaboratore Eskil Vogt, e costituisce l'ultimo, eccellente tassello di una delle più belle cinquine negli annali della categoria.
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