Drive My Car, la recensione: farsi guidare dalle storie

La recensione di Drive My Car: in concorso a Cannes 2021, il film giapponese di Ryūsuke Hamaguchi riflette con amara eleganza sul potere della finzione.

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Drive My Car: una sequenza

Una delle cose più belle dei festival è entrare in sala totalmente vergini. Sedersi in platea senza sapere assolutamente nulla del film che stai per vedere. Titolo, regia e cast sono solo vaghe indicazioni, ma tutto il resto è un viaggio nell'ignoto da gustare immacolati. Apriamo la nostra recensione di Drive My Car, film giapponese in concorso a Cannes 2021, raccontandovi come ci siamo approcciati alla nuova opera di Ryūsuke Hamaguchi. Sapevamo che era un adattamento cinematografico dell'omonimo racconto di Haruki Murakami e avevamo visto soltanto una fotografia. Una foto vaga e anonima. Quasi come stessimo sfogliando il catalogo di una concessionaria, Drive My Car aveva svelato solo l'auto protagonista del film: una Saab 900 rosso fuoco. Una macchina senza conducente. La celebre automobile svedese davvero il simbolo di un film che prende strade impreviste e ci conduce con pazienza verso un viaggio lungo esattamente 3 ore. Un viaggio rilassato, eppure mai davvero sereno, in cui Hamaguchi sembra guidare sempre in terza, senza accelerare mai, procedendo a fari spenti verso un dramma intimo e dolente.

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Drive My Car: una scena del film

Le vite degli altri

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Drive My Car: una foto

Lui e lei stanno facendo l'amore. Durante l'amplesso lei inizia a raccontare la storia di un'altra donna, e mentre fantastica sulla vita altrui, prova grande piacere. Una volta finito, lui e lei continuano a immaginare racconti con voracità, affascinati dal poter decidere le sorti di personaggi partoriti dalla loro immaginazione. Drive My Car è la storia di Yusuke e di sua moglie. Lui attore di teatro, lei sceneggiatrice. I due si alimentano a vicenda in un rapporto simbiotico dove intesa fisica e intellettuale sono stretti come un nodo. Per questo quando la vita separa le loro strade, Yusuke è costretto a iniziare un viaggio interiore lungo e doloroso, diretto verso una consapevolezza che forse è sempre stata al suo fianco. Ryusuke Hamaguchi dirige con grande maestria un dramma on the road che gira quasi in tondo. E non è un caso che Yusuke cambi posto in macchina: non più pilota ma passeggero. Perché quest'uomo deve guardare fuori dal finestrino per riflettere e risentire senza distrazioni le battute che sua moglie registrava sulle musicassette. Drive My Car, però, non è un film di paesaggi, di luoghi, di spazi da attraversare. Drive My Car è un film statico, tutto dedicato all'introspezione di un uomo che impara poco per volta ad ascoltare gli altri invece di ripetere sempre lo stesso copione. Per farlo, Hamaguchi si prende tutto il tempo che serve con un ritmo molto dilatato e tante, tante parole. Il che non significa che Drive my car sia verboso. Anzi, i dialoghi riflettono il tipico gusto giapponese per battute secche e ficcanti. Perché i fiumi di parole che attraversano questo film riguardano sempre la finzione: copioni da imparare a memoria per affogare il dolore della realtà.

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Curarsi con le storie

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Drive My Car: un'immagine

La finzione come orgasmo, come desiderio costante. E la recitazione come maestra di vita. Quanto serve fingere per essere felici? E soprattutto quanto c'è di vero nelle storie che inventiamo? Drive My Car si aggira in questa terra di mezzo in cui il bisogno di messa in scena cammina al fianco a un profondo bisogno di verità. Nella loro relazione, Yusuke e sua moglie si curano di storie, riversando nei loro copioni tutto quello che vorrebbero e che hanno perso per sempre. Come se per i due amanti immaginare mille vite aiutasse a capirne almeno una: la loro. In questa allegoria lampante ma mai didascalica, Hamaguchi trova nell'ascolto la chiave per ambire alla consapevolezza. In un mondo dominato dall'ego di chi è autore e attore di sé stesso, Drive My Car ci ha regalato una meravigliosa lezione di empatia. Ecco che quella Saab 900 diventa un piccolo confessionale mobile, dove Yusuke si sfoga e ascolta, fa incontri nuovi e conoscenze destabilizzanti. Avviene tutto in un film mai ostico nonostante la sua durata consistente. Perché girato, recitato e scritto con un tatto, una cura e una misura che non lo rendono mai ostico. Rimane la piacevole sensazione di essere stati passeggeri di un viaggio bellissimo. Un viaggio in cui abbiamo spiato nella vita di Yusuke senza alcuna voglia di scendere dalla sua Saab 900 rosso fuoco.

Conclusioni

Un viaggio lungo 3 ore nella vita di un uomo. Un viaggio dolente, lento e approfondito. In questa recensione di Drive My Car, in concorso a Cannes 2021, vi abbiamo raccontato quello che abbiamo provato lungo la strada, dentro un racconto on the road statico, in cui la finzione serve a definire la realtà e le storie aiutano a vivere meglio.

Movieplayer.it
4.5/5
Voto medio
3.9/5

Perché ci piace

  • Il film è girato, recitato e scritto con grande misura ed eleganza.
  • Il tema del potere delle storie è trattato con il giusto tatto.
  • Dopo 3 ore si fatica a scendere dall'auto del protagonista...

Cosa non va

  • ...ma la durata e il ritmo compassato potrebbero rendere il film ostico per qualche spettatore.