Un mistero inestricabile alto 1 metro e 83 centimetri. Quarant'anni appena compiuti, di cui dieci passati tra tormenti, dolori e qualche raro raggio di luce. Ecco perché quando guardiamo in faccia Michael Fassbender, la sua evidente bellezza non dice tutto quello che c'è da sapere su di lui, non serve a distrarci da qualcos'altro. Non bastano gli occhi chiari e neanche quei lineamenti perfetti. No, Fassbender non brilla mai, nonostante i colori lucenti. Piuttosto implode mentre sul suo volto tagliente persiste un sorriso sottile che lascia spazio all'ambiguo. Come in perenne lotta con il suo splendido aspetto esteriore, mai sgombro da tempeste umorali, Fassbender ha prestato se stesso ad ogni bruttura dell'animo umano: la brama dei re, la ferocia dello schiavista, il fardello della dipendenza. Se l'esteriorità esibisce qualcosa di piacevole, il carattere messo in scena la tradisce di continuo, quasi a voler annullare la scorciatoia dell'avvenenza (come ha fatto nel delizioso Frank in cui non appare mai, coperto da un'enorme testa di cartapesta).
Ecco come un bellissimo hardware viene tradito da software difettoso; ecco come questo attore-mutante cambia personalità senza mai riuscire ad essere bello e allo stesso tempo buono. In lui persiste una natura ibrida, non solo per origini a metà strada tra l'Irlanda e la Germania, ma anche per una carriera costellata di scelte interessanti, che oscilla tra blockbuster e cinema indipendente. Oggi, nel giorno del suo 40esimo compleanno, non potevamo non celebrare una carriera breve (lunga esattamente dieci anni) quanto intensa. Ecco le dieci performance migliori di questo attore abituato a tralasciare l'impalcatura dell'aspetto per approfondire le fondamenta dell'animo. Alla ricerca disperata di un pizzico di spensieratezza.
Leggi anche: Steve Jobs: genio, idealismo e leggenda nel nuovo capolavoro firmato Sorkin
10. Un gesto sbagliato - Bastardi senza gloria
Un vero bastardo ha origini meticce e Quentin Tarantino lo sa bene. Allora perché non sfruttare le origini spurie del nostro Michael? Nel suo folle e trascinante Bastardi senza gloria, il regista mette in scena tutta l'essenza teutonica-britannica di Fassbender e lo infiltra nel suo affiatato gruppo anti-fascista. Pochi minuti sullo schermo bastano per diventare memorabili e il merito è soprattutto di un'indimenticabile sequenza che dovrebbe essere inserita nei dizionari di cinema alla voce "tensione". La scena della locanda nel seminterrato è un concentrato di pathos vibrante e Fassbender emerge gestendo ogni attimo, ogni sguardo, ogni gesto con un maestria. Almeno fino a quando tre dita fanno crollare tutto il suo teatrino...
Leggi anche: La guerra sullo schermo: i 15 migliori film e miniserie bellici degli ultimi anni
9. Dubbi magnetici - X-Men: l'inizio
Un ruolo più difficile di quello che possa sembrare, perché saper dare anima e corpo alla gioventù di un certo Ian McKellen non è cosa da tutti. Con le tormentate origini di Magneto, apprezzate in X-Men: L'inizio e X-Men: Giorni di un futuro passato, Fassbender vive ogni tappa di un malessere che affiora pian piano, per poi sfociare nella storica rivalità con il Charles Xavier di James McAvoy (i due sono grandi amici nella vita). Tutto è giocato sul filo sottile dell'ambiguità, e il suo Eric incarna l'orgoglio mutante di chi non vuole piegarsi all'intolleranza umana, combattendola con fierezza. Lo scontro etico con Xavier, vissuto anche attraverso la stima contesa di Raven, è stato uno dei grandi pregi alla base del rilancio della saga. E poi quel casco, a rendere ancora più impenetrabile il volto gelido di un attore ermetico.
Leggi anche: X-Men: La saga che lanciò la Marvel Comics al cinema
8. Reprimere a oltranza - A Dangerous Method
Lo abbiamo definito un attore estremamente complesso, mai banale, interessato alle profondità dell'animo umano. Non ci sorprende che David Cronenberg gli abbia affidato la parte del celebre psicoanalista Gustav Jung nel suo controverso A Dangerous Method. Scisso tra la figura di allievo (di Freud) e di guida per la sua paziente Sabina Spielrein, l'attore indossa una maschera rigida ma non imperturbabile, che pian piano si scioglie, ammorbidita da impulsi proibiti e dalla vita che distrugge ogni metodo rassicurante. Fassbender soffoca e spurga, reprime e si sfoga; vittima e assieme domatore di pulsioni irrefrenabili.
Leggi anche: David Cronenberg e il cast di A Dangerous Method a a Venezia
7. Fascino gotico - Jane Eyre
Qualche anno prima di calarsi nella rarefatta provincia statunitense di True Detective, Cary Fukunaga esplora le brughiere vittoriane raccontate da Charlotte Brontë con Jane Eyre. Se la triste vicenda di Jane rimane il fulcro della storia, Mr. Rochester acquista nuove tonalità, in linea con l'ambientazione gotica del film. Cupo, tagliente, perennemente ambiguo, Fassbender amplifica il potere seducente del personaggio, concedendogli un fascino sinistro. Luci ed ombre che, ancora una volta, convivono e si combattono di continuo.
6. Tra madre e figlia - Fish Tank
Premiato dalla giuria di Cannes nel 2009, Fish Tank sbircia nella quotidianità della problematica Mia, solitaria adolescente dei sobborghi londinesi. Grazie ad un co-protagonista ancora una volta decisivo, Fassbender irrompe nel film come nella vita della ragazza, diventando oggetto del contendere in una realtà domestica difficile, alterata dalla sua presenza. La sua prova è asciutta, essenziale e inevitabilmente legata ad una prestanza che smuove l'incedere di un film schietto e stridente.
5. Onore a Macbeth
Lo aveva già recitato da ragazzino, a scuola. Ne aveva già subito il fascino e compreso il valore tragico. Poi, spinto da una Lady Macbeth subdola e affascinante (Marion Cotillard), ecco che un maturo Fassbender si fa tentare dal dramma shakespeariano e indossa la pesante corona di Macbeth. Immerso in una fotografia fuligginosa, il volto di Michael diventa malleabile. Prima fermo, statuario, deciso nel raggiungere il bramato trono; poi, pian piano, sempre meno presente a se stesso, annebbiato da visioni distorte e offuscato da streghe oniriche. Abile con la spada in mano ma totalmente privo di scudo nella sua integrità mentale, questo re maledetto ritorna ad ammaliare con le parole poetiche di un tempo e la forza immaginifica del cinema moderno.
Leggi anche: Michael Fassbender: il fascino di un Macbeth cupo e visionario che ha diviso la critica
4. Il diavolo bianco - 12 anni schiavo
Se la schiena deturpata è quella di Chiwetel Ejiofor, la mano che guida la frusta appartiene al nostro. Alla sua terza collaborazione con Steve McQueen (forse quella cinematograficamente meno coraggiosa, nonostante il tema delicato), Fassbender veste i panni dello schiavista Edwin Epps. Senza concedere al personaggio un briciolo di umanità, il regista gli affida un diavolo bianco, slavato e sciatto; personaggio estremo e detestabile che combatte il suo male di vivere attraverso un dominio violento sugli altri. Qui la prova d'attore è melliflua, viscida, capace di insinuare persino pena nello spettatore che guarda questa anima perduta trascinarsi nel fango assieme ai suoi maiali.
Leggi anche: Da Hunger a 12 anni schiavo: Michael Fassbender e il cinema di McQueen
3. In memoria di Mac - Steve Jobs
"Siate affamati, siate folli". Seguendo alla lettera il mantra del guru Steve Jobs, Fassbender riesce ad essere entrambe le cose, e lo fa con pacatezza, misura, senza mai cadere nell'eccesso e nemmeno nell'imitazione. In questo biopic teatrale, sostenuto dai dialoghi arguti di Aaron Sorkin e dalla regia sobria con qualche raro sussulto di Danny Boyle, Jobs viene descritto come un sistema binario, incapace di far convivere la persona pubblica e l'uomo privato, l'affetto umano e l'effetto della sua tecnologia. Scisso in tre atti, questo lungo backstage affollato di parole ci restituisce un Fassbender equilibrato, prima schermato dietro la sua ostinazione e, infine, incline ad un pizzico di amore paterno. E mentre Sorkin ribadisce che "i computer non sono quadri", l'attore dipinge sul volto di Jobs il conflitto tra il volere e il dovere, vecchi rimpianti e nuovi, incredibili sogni tascabili.
Leggi anche: Steve Jobs: Danny Boyle a Roma per spiegare la sua idea del genio della Apple
2. Scomparire - Hunger
In netta antitesi con il suo esordio "addominale" in 300, Fassbender perde 15 chili nutrendosi soltanto di bacche, sardine e noci. Lo fa per diventare Bobby Sands, membro dell'IRA che nel 1981 si ribellò contro la gestione scellerata dei prigionieri politici nelle carceri dell'Irlanda del Nord. L'esordiente Steve McQueen sorprende, conquista (La Camera d'Or a Cannes) e ferisce lo sguardo dello spettatore. La sua arma pungente si chiama Michael e attorno a lui costruisce un film aspro, dallo stile spietato, dove il logorio fisico non influisce mai con delle ferree ideologie. Hunger è un film pieno di lunghi silenzi, spezzato da un magistrale piano-sequenza lungo 17 minuti dove Sands confessa il suo credo e Fassbender tutta la sua bravura.
Leggi anche: Tutto d'un fiato! I migliori piani-sequenza cinematografici degli ultimi 25 anni
1. Autodistruggersi - Shame
Un predatore famelico che caccia ovunque e azzanna chiunque. In metro, in ufficio, al ristorante. Erotomane consumato da un vuoto emotivo incolmabile, Brandon è un 40enne che gira a vuoto, viene di continuo per non arrivare mai da qualche parte. È ancora una volta McQueen a chiudere Fassbender in labirinto opprimente e con Shame, l'attore evapora dentro un fantasma vittima di uno scompenso affettivo incurabile. Il film è una lenta e inesorabile discesa negli inferi privati di uomo disperso tra milioni di stimoli e nessun rapporto autentico; un dramma doloroso perché credibile, con quel predatore che caccia di continuo ma fa male prima di tutto a se stesso. Qui Fassbender trova la sua apoteosi più cupa, disturbante, riuscendo a denudarsi senza alcuna vanità. Perché in scena va soltanto l'autodistruzione. E, per una volta, chi lo guarda non vorrebbe specchiarsi in lui. Mai e poi mai.
Leggi anche: Gli scandali al cinema, da Basic Instinct a 50 sfumature di grigio