Dopo Cannes 2024, Francis Ford Coppola porta Megalopolis anche a Roma: è l'evento di pre-apertura di queste edizioni 2024 della Festa del Cinema e di Alice nella Città. Per l'occasione si sono organizzate le cose in grande, con tanto di consegna delle Chiavi di Cinecittà e targa dedicata al leggendario regista di Il Padrino e Apocalypse Now. Ormai è noto: per realizzare questo film sognato a lungo, Coppola ha investito il suo patrimonio personale, contro tutto e tutti. Nelle sale italiane dal 16 ottobre, Megalopolis, secondo il suo autore, ha uno slancio ottimista verso il futuro.
E in effetti, sentendo parlare l'autore, che ha scritto una lunga e importantissima pagina di storia del cinema, sembra di ascoltare qualcuno che ha ormai raggiunto una sorta di illuminazione. Coppola sembra un filosofo, un pensatore a cui non interessa più la dimensione quotidiana, il piccolo, ma riflette soltanto in grande, pensando alle alte sfera. Nel corso dell'incontro con la stampa a Cinecittà, ha citato Pico della Mirandola, immaginando un mondo senza confini, in cui il concetto di Paese sia ormai superato. A Coppola interessa solo la cultura.
Certo, è un punto di vista privilegiato, di chi ormai ha fatto tutto e ha avuto tanto dalla vita e non deve più preoccuparsi. Ma il pensiero alle future generazioni è costante. Sul set di Megalopolis ha avuto 30 assistenti, tutti giovani, provenienti dai paesi più diversi (come Cina, India, Italia), a cui ha tramandato i segreti della sua carriera affinché potessero farne tesoro nelle loro opere. È sorridente e gentile con tutti.
Solo una cosa non bisogna fare: chiamarlo maestro. L'ha messo in chiaro subito all'inizio dell'intervista: "Non chiamatemi maestro, non sono Mr. Coppola. Non penso di essere importante, un pezzo da novanta. Chiamatemi zio Ciccio! Siamo tutti parte di un'unica famiglia, siamo tutti parenti: facciamo parte della grande famiglia dell'homo sapiens. Non mi interessa il mio cinema, ma il cinema. La miglior ricompensa per me non è un riconoscimento o un assegno, ma che un altro regista di valore venga a dirmi che ha cominciato a fare cinema perché da giovane ha visto uno dei miei film. È la cosa più bella. E penso che, così come prima di noi ci sono stati dei giganti, dopo ne verranno altri. In America non esiste che un regista parli male di un altro: c'è sempre uno scambio, collaborazione".
Megalopolis: perché New Rome
Presentare Megalopolis a Roma era un passaggio obbligato: la città in cui è ambientato il film, New York, si chiama infatti New Rome. Perché proprio la Città Eterna? Coppola: "Il cinema è cominciato 140 anni fa e all'inizio, quando tutti provavano a fare film, non c'erano tanti soldi a disposizione. Si cercava di spendere poco. Tutti conoscevano Roma, la storia romana, Caligola, Messalina, libri come Benhur o la storia di Cristo: quindi Roma era ottimo materiale per raccontare delle storie. Già all'epoca del cinema muto si è cominciato a raccontare storie ambientate a Roma".
"E ogni cinque anni c'è sempre qualcuno che fa un film legato a questa città: pensiamo a Il gladiatore di Ridley Scott o Spartacus di Stanley Kubrick. Io ho sempre voluto realizzare un'epopea romana e quindi mi sono messo a studiare la congiura di Catilina. E studiano ho capito che l'Antica Roma sembrava New York. Quindi ho cominciato a pensare a questa epopea ambientata in una New York che si chiama New Rome".
Megalopolis, recensione: il futuro di Coppola è già passato
Il cinema è arte o business?
Per realizzare la sua visione il regista ha speso 100 milioni di dollari, tutti suoi. Perché Coppola si è prodotto Megalopolis da solo? La risposta è semplice: "Si fa spesso un grande errore: il cinema è sia arte che business. Chi si occupa della parte legata ai guadagni vuole che il cinema sia come la Coca Cola: vogliono che risponda a una formula precisa, che crei dipendenza nello spettatore. E che quindi venga propinata al pubblico sempre nella stessa maniera: si fanno sempre le stesse cose realizzate nello stesso modo. Ma così non si sperimenta più, non si rischia più. Quindi la domanda è: il cinema è arte o business? Per me è arte. E dobbiamo renderci conto che il cinema che vedranno i nostri figli e nipoti sarà molto diverso da quello a cui siamo abituati noi. Per Megalopolis non ho voluto seguire la formula della Coca Cola e non volevo un finale tragico, volevo un finale felice, pieno di speranza. Megalopolis sta avendo lo stesso destino che ebbe Apocalypse Now all'uscita: molti lo hanno amato e molti altri lo odiavano. Spero che Megalopolis però continui a essere proiettato come accade ad Apocalypse Now ancora oggi".
Per lui lo stato dell'industria cinematografica riflette l'insoddisfazione della gente: "Perché oggi sono tutti così infelici? Secondo me perché le persone sono rese intenzionalmente infelici: così è più facile vendere loro qualcosa. Chi assume gli artisti controlla il mondo. E chi sono? Le grandi aziende, che devono fare pubblicità per vendere".
Megalopolis, le opinioni della redazione
Megalopolis e l'America di oggi
Anche se è ambientato nel futuro, cosa ci dice dunque Megalopolis dell'America di oggi? Il regista: "Penso che la repubblica americana sia esposta a un grandissimo rischio. Dovremmo ricordare ciò che diceva Pico della Mirandola, ovvero che l'essere umano è un genio in grado di risolvere qualsiasi problema. Ma non sono interessato agli Stati Uniti d'America. Per me facciamo tutti parte dello stesso mondo: viviamo su questo bellissimo pianeta e il concetto di paese è un'idea vecchia. Dovremmo tutti pensare a salvare la Terra. Dovremmo eliminare il concetto di confini e tenere solo le diverse culture: la letteratura, il cibo. Un tempo si poteva viaggiare in tutto il mondo senza passaporto".
Il rapporto di Coppola con il tempo
A 85 anni Coppola sa che non ha molto tempo davanti a sé, ma il suo approccio è titanico: "La scena del film in cui il protagonista ferma il tempo è successa a me: dovevo andare via da un appuntamento importante e ho detto tempo, fermati! E gli artisti fanno questo: controllano il tempo. Per quanto riguarda le miei maggiori soddisfazioni sono legate alla famiglia: mia figlia Sofia è una grandissima regista, mia nipote Gia ha visto San Sebastián, mio nipote Nicolas Cage è un grandissimo attore. Mio figlio Roman ha scritto Midnight Kingdom. I Coppola non avevano tanti soldi, ma abbiamo sempre dedicato tantissimo tempo al gioco, al racconto. Passavamo estati a recitare atti interi di commedie. Tutti dovremmo giocare di più, soprattutto con i nostri figli. Dovremmo giocare di più e far fare tutto il lavoro ai robot".
Per quanto riguarda i rimpianti invece, il regista non ha dubbi: "Ne ho due: non aver girato Un sogno lungo un giorno nel modo in cui avrei voluto. E il secondo è che non stiamo lasciando il cinema alle nuove generazioni con più possibilità di quante ne abbiamo avute noi".
I prossimi progetti
Il suo entusiasmo è talmente grande che ha già in mente almeno altri lavori. E sì, Coppola vuole fare altri due film: "Sono vicino alla morte, quindi non so se ci riuscirò, ma vorrei fare ancora due film: uno piccolo, per divertimento, da girare in Italia. E uno grande, grandissimo, come Megalopolis".
E se gli si chiede se pensa che il cinema stia morendo, dice: "Le istituzioni belle seguono sempre questo processo di morte e rinascita. Lo stesso respirare è formato da inspirazione ed espirazione. Le stagioni alternano inverno e primavera. C'è sempre morte e rinascita. Due grandi e belle istituzioni stanno morendo: il giornalismo e il sistema degli Studios. Credo che dietro l'angolo ci sia un nuovo tipo di giornalismo da cui si possa ripartire. Nutro questa speranza: spero ci possa essere un altro modo per continuare a portare avanti questo lavoro. Quando queste istituzioni sono morenti è molto doloroso: oggi ci sono fonti non attendibili e clickbait. Fa male. Per il cinema è lo stesso. Ma sono sicuro che ci sia la possibilità di una rinascita".
Il rapporto con l'Italia
Avendo origini italiane, il rapporto di Francis Ford Coppola con l'Italia è molto forte. Ha quindi ricordato alcuni dei momenti legati al nostro paese che conserva con più affetto: "Uno dei più belli è stato tornare nella casa dei miei antenati in Basilicata. Riassaporare il cibo della Lucania. Oppure quella volta che, in aeroporto, Nino Rota mi ha canticchiato il tema del Padrino. Amo gli attori italiani, come Leopoldo Trieste. Gli attori americani vogliono che tu soffra con loro, mentre quelli italiani ti fanno vedere cosa sanno fare con grande maestria. E poi l'incontro con i grandi registi: Mario Monicelli, Michelangelo Antonioni".