Una delle funzioni più importanti e di primo acchito meno considerate tra quelle del fumetto di genere supereroistico è quella di riflettere sulla Storia. Il fumetto è una forma linguistica che nel corso della sua ormai non breve vita ha costituito uno specchio "alterato" della realtà e del ragionamento intorno ad essa si è nutrito, rielaborandola attraverso propri archetipi, simboli e meccanismi semantici. Il fumetto parla di noi e del nostro mondo. Per questo lo amiamo.
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La forza della rivoluzionaria linea editoriale alla base del Marvel Cinematic Universe sta proprio nella riscoperta di questa funzione fondamentale, terreno contestuale verticale su cui si sono mosse tutte le trame orizzontali dei vari film che lo compongono, e che permette quindi non solo una coerenza, ma fornisce anche una direzione ad un mosaico altrimenti difficilmente gestibile. Il suo venir meno, vien da sé, è probabilmente il più grande problema che gli studios si sono ritrovati ad affrontare dopo Avengers: Endgame.
Problema ingigantito dalla volontà di allargare il ventaglio delle ramificazioni ad una dimensione seriale oltre che cinematografica e dalla difficoltà nella gestione di un'eredità pesantissima lasciata dalla scomparsa del vecchio team protagonista e del suo villain. Dopo l'Infinito si è scelto il Multiverso forse proprio per agevolare questa improvvisa liquidità caotica e su di essa costruire un nuovo ordine insieme allo spettatore. Non una scelta sbagliata, teoricamente. Insomma, l'MCU non riesce più a parlare di noi, e Captain America: Brave New World lo ha dimostrato in modo inequivocabile.
Il Marvel Cinematic Universe "attraverso i secoli"
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Ognuna delle Fasi che ha composto la Saga dell'Infinito faceva parte di uno schema più grande perfettamente raccordato, nel quale ogni supereroe, pur vivendo in funzione dei suoi simili, trovava il suo spazio in quanto singolo e in quello spazio aveva modo di snocciolare tutte le tematiche a lui legate. Ciò che teneva tutto insieme non era una solo una macrotrama di fondo in cui si componeva una squadra e si creava un villain, ma un universo che sapeva abilmente mettere in scena le trasformazioni della nostra realtà e, nel momento di massima lucidità, addirittura anticiparle, mettendo a fuoco dilemmi che non eravamo in grado di vedere da soli.
Il Marvel Cinematic Universe aveva reso il cinecomic un genere che, a livello di importanza metacinematografica, poteva essere paragonato solamente al western del Secolo scorso. Un risultato incredibile ottenuto "semplicemente" capendo e riproponendo nel mondo dell'audiovisivo ciò che aveva reso il fumetto supereroistico uno dei media più importanti della civiltà Occidentale. Operazione talmente influente da essere riuscita ad esportare le regole della propria struttura narrativa in pellicole e saghe decisamente lontane.
All'indomani di Avengers: Endgame, gli studios hanno pensato al Multiverso in modo da toccare con mano il caos strutturale invece di rinnegarlo, così da poterlo utilizzare come nuovo strumento narrativo e ricostruire un nuovo ordine con il pubblico (Loki è metafora perfetta di questo ragionamento non peregrino). Muoversi ai lati, muoversi indietro e ricomporre i ranghi prima di ricominciare a camminare, parlando ancora del pubblico. Ci sono però stati una serie di problemi che hanno portato i film a frammentarsi sempre di più, quasi sfuggendo alla linea editoriale, indebolendo la visione d'insieme e cercando nel formato famiglia, classicamente incentrato sul passaggio di consegne, il giusto bandolo della matassa per passare un guado sempre più profondo.
Captain America: Brave New World e la Marvel fuori fuoco
Il nascere di eroi non all'altezza dei precedenti e la perdita del supercattivo personificazione del caos (il triste affaire Jonathan Majors) in cui gli studios avevano coraggiosamente deciso di andare incontro perché gli permetteva di empatizzare con lo spettatore, ha messo definitivamente in discussione il loro piano, detronizzando così la complessa forza primordiale che fu il Big Bang del Marvel Cinematic Universe.
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Non è un caso: gli unici film della nuova saga che hanno funzionato sono stati Spider-Man: No Way Home e Deadpool & Wolverine, ovvero quelli che hanno sfruttato le potenzialità narrative del multiverso in modo endogeno. Recuperando dai fasti del passato e riflettendo sullo status presente del più grande franchise dei nostri tempi. Delle parentesi felici, probabilmente da inquadrare come motivo alla base della scelta di richiamare Robert Downey Jr. nel ruolo del nuovo maxi villain. In avanti, però, non si riesce ad andare più, perché per andare avanti serve quella funzione fumettistica totalizzante che ormai si stenta a vedere.
Captain America: Brave New World è, suo malgrado, il titolo che più ci dice questo perché la saga di Cap è quella da sempre "preposta" a guardare fuori dall'Universo Marvel per affacciarsi nel nostro Universo, facendo quindi il contrario dei titoli sopraelencati. La sua versione da operetta della realtà è il simbolo della confusione Marvel, aggravata da tempi disarmanti, in cui si intravede solo l'intenzione della riflessione a partire, in ordine di importanza, dal Presidente Hulk Rosso, le terre rare, il Mossad, il rapporto USA/Messico e la tecnocrazia alla Va' e uccidi, senza però riuscire a rendere nulla davvero efficace. Un fumetto fuori fuoco. Rimane una domanda da porsi: non è che, paradossalmente, esprimere la propria confusione sia invece il meglio che possono fare i cinecomics per parlare di noi in questo momento?