Orson Welles e Herman J. Mankiewicz, un Oscar condiviso per la sceneggiatura di Quarto Potere, una vera e propria pietra miliare della storia del cinema. Una sola nomination nella loro carriera, una sola vittoria, un solo vero e proprio momento di trionfo. Dopo di questo la fine, in un modo o nell'altro, delle loro carriere nella Hollywood che conta. Il regista faticherà sempre più a trovare soldi per produrre i suoi film e lo sceneggiatore non raggiungerà più l'apice di scrittura del suo American, così come l'aveva chiamato prima delle modifiche. Il nuovo film di David Fincher, Mank racconta proprio la scrittura del capolavoro del 1941, quella originaria di Mankiewicz, isolato dal mondo in un ranch e con una gamba rotta a seguito di un incidente. Lo fa relazionandosi direttamente con il film di Welles fatto e finito, replicandone la struttura e lo stile cinematografico dell'epoca. Di conseguenza, due sono gli elementi che si alternano tra loro durante tutta la durata del film: il ritratto frammentato di uno sceneggiatore autodistruttivo e tutt'altro che perfetto e la realtà, filtrata attraverso la penna, dell'uomo su cui si basa Charles Foster Kane ovvero il magnate William Randolph Hearst. Ma in generale, la trama del film è la storia di un uomo inserito in un sistema che non gli appartiene più, è la storia di mine vaganti e di intrusi, di apici a cui segue la decadenza. Il significato di Mank si mostra nel suo epilogo, ma per comprenderlo al meglio occorre cominciare dall'inizio.
Cittadino Mank
Per parlare del film di David Fincher dobbiamo, per forza di cose, partire dal film di Orson Welles. Chi è Charles Foster Kane? Un uomo che ha tutto e che, in realtà, non ha niente. È la versione romanzata di William Randolph Hearst (qui interpretato da Charles Dance) che lo stesso Mankiewicz rappresenta tra le pagine della sceneggiatura di più di 300 pagine, American. Un titolo che usa l'aggettivo preferito di Hearst per descriversi. Ma Charles Foster Kane è anche un uomo che solo lo spettatore può conoscere, attraverso i racconti frammentari e non consequenziali di persone che l'hanno conosciuto, ognuno che mette in mostra un aspetto diverso, diverse sfumature di carattere, anche contraddittorie. Kane è un uomo che, chiuso nella sua Xanadu (in italiano, Candalù), il suo castello dei sogni è davvero incompreso e solo. E se Kane fosse lo stesso Mank? Il gioco stilistico di Fincher non si limita ad imitare lo stile di un film degli anni Quaranta, ma a riprendere quella stessa struttura che caratterizzava e predominava Quarto Potere rendendolo, di fatto, uno dei film più moderni del suo tempo e rivoluzionario.
Entrare nel ranch di Victorville equivale a oltrepassare i cancelli di Xanadu e scoprire, come spettatori, un pezzo di storia che non dovremmo conoscere. La domanda che lega gli episodi del film di Welles (chi è Rosabella?) si trasforma nella domanda che lega aneddoti sul passato di Mank (perché scrive American?). Alternando presente e passato, in entrambi i film cerchiamo di capire chi è il protagonista e in entrambi i casi dobbiamo cedere nell'impresa e riconoscere che non si può descrivere un uomo e una vita intera in due ore o attraverso una parola.
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Verso l'autodistruzione
Riusciamo, però, ad avere un ritratto di Mank: uno sceneggiatore divertente, sagace, ma anche incostante, più interessato al gioco d'azzardo che a portare in alto il suo nome. Sarebbe uno sceneggiatore talentuoso, forse il migliore, e tutti ad Hollywood e alla MGM sembrano rispettarlo. O forse tutto questo è una bugia in cui Mank sceglie di vivere. Forse in realtà è solo un buffone di corte che fa piacere avere intorno perché può essere fonte di idee inconsapevoli (è quello che succede con la campagna politica a opera di Irving Thalberg), forse il suo status quo deriva da una certezza e da una specie di paura da parte di Louis Mayer e dello stesso Hearst (meglio tenersi nella "famiglia" questa personalità anarchica perché chissà cosa potrebbe scrivere per gli altri studios), forse lo stesso Mank si trova in un limbo in cui nessuno lo vuole perché per anni si è adagiato sulla sua "fama", sul fatto di essere pagato pur non aspirando a niente di più che del sano mestiere, sul suo talento più narrato che dimostrato e sulla sua incapacità di portare a termine un lavoro ("Io non sono mai stato non licenziato" dirà).
"Scrivi tanto, mira in basso" gli dicono, conta la quantità e non la qualità, soprattutto in una Hollywood conservatrice, di facciata, che meno accoglie le nuove generazioni e il cambiamento. E Mank ha acquisito sempre di più questo carattere autodistruttivo, quasi fregandosene di una carriera: problemi di alcol che lo rendono instabile, problemi economici (addirittura non ha un dollaro in tasca), il suo unico punto fermo è la moglie Sara ("la povera Sara") che continua ad amarlo nonostante il suo carattere difficile. Perché peggio di uno sceneggiatore eccentrico c'è uno sceneggiatore lascivo incurante del futuro. Inizia a scrivere per Orson Welles solo per bisogno di lavorare, rinunciando addirittura al nome sui crediti, annullando il suo contributo e quindi la sua stessa esistenza. Sa benissimo che il ragazzo prodigio arrivato ad Hollywood a soli 24 anni e con un contratto che gli permette il controllo totale (un caso più unico che raro) è destinato a fallire e Mank con lui.
"La migliore che abbia mai scritto"
Solo 60 giorni di tempo per scrivere American e più di 200 pagine in soli 13 giorni. Mank riesce nell'impresa di scrivere la sua sceneggiatura migliore, a detta di tutti, ispirandosi proprio a quelle personalità che lo circondavano. Il suo script è la voce della ribellione contro quel sistema hollywoodiano, composto da individualità forti sempre più legate alla politica e al successo personale che all'arte, che l'ha inglobato e che l'ha rigettato (esemplare il momento al termine del funerale di Thalberg, in cui Mank non è andato oltre la segretaria della segretaria). "Racconta la storia che conosci": è questo il consiglio che gli viene dato e Mank prende spunto da Mayer, da Hearst, dalla compagna del magnate Marion Davies per prendersi gioco di loro e sfogare la sua rabbia, ben conscio delle conseguenze. Perché questa volta il talento dello sceneggiatore si libera come mai prima d'ora dando vita a una storia forte, provocatoria, dagli effetti terribili per il suo futuro. L'ennesimo passo verso la sua stessa autodistruzione, un obiettivo che, seppur scherzando, non nega di voler raggiungere ("So bene che ci vogliono molti anni per suicidarsi"). E con la scrittura del film di Welles questo obiettivo lo raggiunge, ma lo fa a modo suo: raggiungendo l'apice della sua carriera.
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Welles vs Mank
Robert Wise, il montatore di Quarto Potere, ricorda che durante la notte degli Oscars del 1942 il film fu sempre fischiato durante la lettura delle nomination (ne aveva ben nove) e che l'applauso all'annuncio della vittoria come miglior sceneggiatura fu soprattutto per Mankiewicz. Orson Welles era considerato l'intruso in quel sistema e il film visse un travagliato e discusso percorso di distribuzione, tra minacce, denunce, tentativi di vendita e una lotta tra RKO (la casa di produzione), Welles e lo stesso Hearst che si riconosceva nel ritratto di Kane. È ancora difficile riuscire a dividere con sicurezza il lavoro alla scrittura tra Mankiewicz e Welles: Quarto Potere è un film dove il genio e il talento delle due forti personalità si contamina a vicenda e, nel corso degli anni, critici e studiosi ancora sono indecisi su chi dei due abbia avuto un ruolo predominante.
Il film di Fincher si pone nel mezzo, prediligendo il punto di vista di Mankiewicz ma senza negare l'apporto fondamentale del genio ventiquattrenne. Tant'è che, proprio nel finale, i due avranno modo di scontrarsi apertamente. Mank vuole ritrattare dal suo contratto iniziale, nel quale cedeva ogni diritto e nome nei crediti, e vedersi riconosciuto il suo lavoro, nonostante Welles modificherà le pagine. Dal canto suo, invece, Orson Welles è un giovane che ha voglia di dimostrare di essere grande (un altro Kane? Sappiamo che lo stesso regista e attore rifiutò inizialmente il copione perché si riconosceva troppo nel personaggio), considera un quarantenne un vecchio che potrebbe avere problemi di cuore, vuole prendersi tutto il merito di quello che sarà un film che rivoluzionerà il modo di fare film.
Un finale di tragedia e magia
Lo scontro tra i due finirà pari, nel bene e nel male. Il loro è un tragitto autodistruttivo che accettano di percorrere. Entrambi vinceranno la statuetta dorata, entrambi dimostreranno all'industria di essere talentuosi e capaci nel loro lavoro, entrambi ne accetteranno le conseguenze e il peso delle responsabilità che ha comportato la creazione del film. Il regista diventerà un nemico di Hollywood (ricordiamo che il suo secondo film, L'orgoglio degli Amberson gli fu tolto dalle mani e fu rigirato il finale dalle maestranze della RKO), lo sceneggiatore si prenderà la sua rivincita contro chi lo preferiva come buffone che come scrittore ("A Hearst piace il modo in cui parli, non il modo in cui scrivi") ma uscendo di scena dall'industria.
Vince il film stesso, Quarto Potere, vincono l'arte e il talento che nascono anche dallo scontro e dall'autodistruzione. Entrambi degli Icaro che volano troppo vicini al sole e a cui si bruciano le ali, resi immortali dal prodotto stesso del loro talento. È allo stesso tempo il tragico mondo di Hollywood e la meravigliosa magia del cinema.