Mank: la verità sul conflitto tra Herman J. Mankiewicz e Orson Welles

Analizziamo la questione della disputa creativa fra lo sceneggiatore Herman J. Mankiewicz e il regista Orson Welles, oggetto del film Mank.

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Mank: una delle prime immagini del film di David Fincher

Da qualche giorno è disponibile su Netflix il film Mank, lungometraggio che David Fincher ha dedicato alla genesi di Quarto potere e in particolare alla figura dello sceneggiatore Herman J. Mankiewicz, che firmò il copione insieme al regista Orson Welles e si portò a casa un Oscar. La loro collaborazione è stata oggetto di congetture per decenni, e il debutto del film di Fincher ha fatto riemergere la discussione, per via delle licenze poetiche del regista e del copione scritto da suo padre, il compianto Jack Fincher. In questa sede vogliamo provare a fare chiarezza sulla questione, partendo dalla versione proposta dal nuovo lungometraggio e dalla sua controversa, a lungo discussa fonte principale. N.B. L'articolo contiene spoiler per chi non ha visto Mank.

Orson vs. Mank

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Mank: un'immagine tratta del film Netflix

Per gran parte della durata di Mank quella di Orson Welles è una presenza minore, cosa inevitabile essendo il film incentrato sulla figura di Herman J. Mankiewicz, grande sceneggiatore hollywoodiano la cui carriera fu più volte messa in pericolo dal suo attaccamento alla bottiglia. Il regista si impone poi con una certa prepotenza verso la fine, quando viene dato spazio alla questione spinosa dei credits: per contratto, Mankiewicz non dovrebbe essere menzionato, cosa che il diretto interessato aveva accettato pur di poter lavorare.

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Arrivato però alla fine della scrittura ha deciso che tale accordo non gli va giù, perché secondo lui Quarto potere è la cosa migliore che egli abbia mai scritto. Ne risulta un battibecco feroce, con Welles che fa presente i rischi legati a una eventuale disputa (incluso il coinvolgimento del neonato sindacato degli sceneggiatori), ma alla fine entrambi appaiono nei credits, e condividono anche la vittoria dell'Oscar. L'ultima parola spetta però a Mankiewicz, grazie a un buffo scherzo del destino: nessuno dei due era presente alla cerimonia, e così sono intervistati separatamente, e a Mankiewicz chiedono come sarebbe stato il suo discorso di ringraziamento. Lui risponde "È giusto che accada così, esattamente come è stato scritto il film: senza Orson Welles."

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Mank: una scena del film con Gary Oldman

L'ultima parte corrisponde al vero (seguita però da una menzogna, ossia che Mankiewicz non avrebbe più lavorato dal 1941 in poi), ma la disputa contrattuale è stata smentita da più parti, in primis da Welles in persona che, pur avendo diritto alla libertà creativa totale, non negò mai il contributo del collega, anzi: quando la prima versione dei credits finali propose il nome di Welles come primo dei due sceneggiatori, fu proprio lui a suggerire che le posizioni venissero invertite, e stando a Charles Lederer, altro noto sceneggiatore dell'epoca, non fu necessario coinvolgere il sindacato nella disputa, come suggerisce invece il film di Fincher. Mankiewicz però continuò effettivamente a sostenere di essere l'autore vero del copione, e fu appoggiato in tal senso da John Houseman, storico collaboratore di Welles che proprio per questa presa di posizione non lavorò mai più con il grande regista. La posizione ufficiale sulla questione da parte di esperti in materia, principalmente i biografi di Welles che hanno avuto modo di leggere tutte le stesure del copione e visitare gli archivi della RKO, che distribuì il film, è la seguente: entrambi hanno contribuito in modo sostanzioso alla versione che conosciamo, e se l'idea fu principalmente di Mankiewicz (che si ispirò alla figura di William Randolph Hearst, il quale cercò di affossare il film), a Welles va riconosciuto il merito di aver arricchito il tutto (prima che lui mettesse mano alla sceneggiatura Charles Foster Kane era molto più caricaturale).

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Il curioso caso di Pauline Kael

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Mank: Gary Oldman e Amanda Seyfried in una scena

Tutto qui? No, perché nel 1971 la Bantam Books chiese a Pauline Kael, influente penna del New Yorker, di scrivere un saggio introduttivo per l'edizione paperback della sceneggiatura del film. Kael, nota oppositrice della politique des auteurs (il cui principale esegeta americano era Andrew Sarris, all'epoca critico cinematografico del Village Voice), voleva usare quest'opportunità per ridare dignità alla figura dello sceneggiatore, essendosi già fatta l'idea che Mankiewicz fosse il vero autore di Quarto potere. La sua principale fonte fu John Houseman, il quale sosteneva che Welles non avesse scritto una parola del copione (pur avendo affermato l'opposto nei suoi appunti personali depositati alla UCLA), e un altro aspetto controverso di quello che divenne Raising Kane fu una questione di plagio: la giornalista spacciò infatti per proprie le ricerche di Howard Suber, professore alla UCLA, senza mai menzionarlo nonostante glielo avesse promesso (intervistato al riguardo nel 2011, in occasione dell'uscita della biografia di Kael, Suber disse di non averle fatto causa perché non esistevano versioni scritte dell'accordo e nessuno gli avrebbe creduto, dato il prestigio di lei).

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Mank: una scena del film

Il saggio fu pubblicato prima sul New Yorker, in due parti, e poi nel libro, provocando subito reazioni forti da parte di chi conosceva bene Welles (che non fu intervistato per Raising Kane), in primis il critico e cineasta Peter Bogdanovich. Questi rispose alle teorie mendaci di Pauline Kael nel 1972, con un articolo intitolato The Kane Mutiny (al quale Welles contribuì in forma anonima), smontando pezzo per pezzo la sua tesi e svelando il dettaglio del plagio. Non ci fu però alcuna querela da parte di Welles, per due motivi: quella proposta da Kael era una teoria, non un'affermazione fattuale assoluta; e siccome il libro conteneva anche la sceneggiatura del film, il regista aveva diritto a parte dei proventi. Welles si vendicò a modo suo, parodiando la giornalista nel progetto The Other Side of the Wind, attraverso il personaggio di Juliette Rich. Il saggio, quasi del tutto screditato già alla fine degli anni Settanta, fu però la fonte d'ispirazione per Jack Fincher, sceneggiatore di Mank, e in una recente intervista concessa a Vulture David Fincher ammette di aver effettuato alcune revisioni, dato che la prima stesura era più apertamente anti-Welles. E considerando come il regista è rappresentato nella versione finale, è lecito supporre che precedentemente fosse un vero e proprio villain, a pari merito con Hearst.