Si completa il puzzle del nuovo lavoro di Paolo Sorrentino con la proiezione della seconda parte, Loro 2, in uscita nelle sale italiane il 10 maggio, dopo che Loro 1 ha fatto il suo debutto lo scorso 24 aprile. Si completa, e rappresenta un altro tassello ricco e affascinante nella filmografia di uno dei nostri autori più celebrati e audaci. Dopo aver raccontato il riverbero sul mondo della personalità ingombrante di Silvio Berlusconi e averlo seguito nel suo lussuoso buen retiro sardo, questa seconda parte del dittico affonda negli aspetti più inquietanti, e allo stesso tempo umani, della sfera privata dell'imprenditore, statista, showman.
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L'affollata conferenza stampa ha visto il regista napoletano affiancato dal suo insostituibile co-sceneggiatore Umberto Contarello e da buona parte degli interpreti di Loro, dai magnifici Toni Servillo ed Elena Sofia Ricci fino agli illustri comprimari, Fabrizio Bentivoglio, Anna Bonaiuto, Riccardo Scamarcio, Kasia Smutniak, Euridice Axen e Giovanni Esposito.
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Il potere e la paura
Paolo, in questi giorni ha inevitabilmente imperversato sui media il gioco del "riconoscimento", con i tentativi di identificazione per i personaggi del film non chiaramente biografici. Vuoi chiarirci qualcosa a proposito di questo fenomeno legittimo ma forse sterile?
Paolo Sorrentino: Sì, forse è un gioco legittimo, ma fa tanto rotocalco d'antan, e oltretutto non ha senso farlo. Si è detto che il ministro interpretato da Bentivoglio è Sandro Bondi, ma non è affatto vero, nonostante le poesie, in realtà secondo me in Italia almeno una persona su due dice o scrive poesie. Come non è vero che il personaggio di Kasia sarebbe in realta Sabina Began. Non mi sembra il caso di scherzare chiamando in causa persone che non sono state effettivamente i modelli dei personaggi che abbiamo voluto inventare di sana pianta; io volevo creare dei personaggi ex novo e questo ho fatto.
Posto che la parodia è un grande complimento, si vedono ormai spesso parodie dello stile sorrentiniano. A te viene mai il timore di fare un film troppo "alla Sorrentino"?
Io non posso far altro che film "alla Sorrentino", poi capisco anche che possa stufare. Come dice qualcuno anche nel film, è difficile uscire da se stessi. Mi hanno accusato di imitare Kubrick, Fellini, Scorsese e anche Harmony Korine, ma si dice che quando si imitano i maestri è nella misura in cui non riusciamo che c'è l'originalità. Quindi si può dire che in questo sono stato originalissimo.
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E' stato più difficile affrontare la figura di Berlusconi in loro o quella del papa in The Young Pope?
Direi che la figura di Berlusconi è stata più problematica perché biografica. Il papa di The Young Pope è una figura immaginaria che non esisterà mai, che abbiamo affrontato con verosimiglianza sì ma anche con inventiva assoluta. Con Berlusconi l'inventiva doveva essere limitata per varie ragioni.
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Quando è stato annunciato il progetto dichiarasti di non voler fare un film politico. Sei ancora convinto che Loro non sia affatto un film ideologico?
Sì. Non è assolutamente un film schierato, non è mai stata mia intenzione sviscerare questioni ideologiche già dibattute e superate. Quello che era meno puntualizzato, a mio avviso, riguardava la sfera privata, i sentimenti dell'uomo e delle persona intorno a lui. Il punto di partenza, la chiave è la storia d'amore. Il fatto che in un momento del film Veronica incarni una controparte ideologica e faccia al marito le domande che molti avrebbero voluto fargli non significa che io sia d'accordo necessariamente con lei. Ho voluto indagare i sentimenti, le paure universali, forse sono un po' ripetitivo ma questi sono temi a cui ritorno, la paura di invecchiare, la paura della morte che è universale, è già presente anche nei giovani. L'attualità del film per me non è nei fatti, nella cronaca, ma in questi sentimenti, nel contesto di un periodo di vitalismo esuberante a cui segue inevitabilmente la delusione.
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Quindi il tuo sguardo di autore dov'è?
Il mio sguardo è nel tono, in una parola che forse sto ripetendo troppo spesso, la parola tenerezza. Non volevo essere pretenzioso, ambire a raccontare una verità, volevo cercare di comprendere, a dispetto della cronaca. Credo che un film, un libro, debbano essere avamposti di comprensione, anche se questo atteggiamento ci può esporre a giudizi non gradevoli. Ma vale la pena di provare a capire il perché delle cose anche quando le riteniamo moralmente discutibili, o non ci piacciono.
Loro due, Silvio e Veronica
Toni Servillo e Elena Sofia Ricci, a voi è toccato dare il volto a questi sentimenti non ancora raccontati da nessuno. Come vi siete avvicinati alla sfera privata di questi personaggi superpubblici?
Elena Sofia Ricci: Personalmente faccio un po' di fatica a parlare del personaggio reale, sul quale comunque mi sono informata, leggendo la biografia della signora Lario per sapere qualcosa in più di lei. Quando ho letto per la prima volta la sceneggiatura del film ci ho trovato cose che vivono un po' tutte le donne, il dolore che si prova al momento della fine di un amore, quando si sente il progetto di una vita che si sgretola; la malinconia di vedersi sfiorire. Sono cose che abbiamo vissuto tutte noi donne che non abbiamo più vent'anni. Sul set mi sono fatta guidare da Paolo come una danzatrice di tango, e lavorare con Toni è stato facilissimo, è un gigante; di mio ci ho messo l'esperienza di una donna di cinquantasei anni: il trauma della separazione, la difesa della propria dignità, sono cose universali. Vedendo il film, poi, non ho visto me stessa, e in fondo nemmeno Veronica Lario, ma tutte noi che abbiamo vissuto questa fase della vita.
Toni Servillo: Io ho avuto la fortuna fare Il Divo con Paolo, per cui mi sono già misurato con la riflessione su un personaggio pubblico. Andreotti ne Il divo era un personaggio a cui si attribuiva la qualifica degli imperatori romani, che si muoveva esclusivamente palazzi politica con un'introversione e una riservatezza che alimentavano il mistero. Questo Berlusconi è un "divo" necessariamente estroverso che si pone al centro della scena con un'esuberanza che ne fa un personaggio da cinema, che non la sua presenza finisce per occupare ossessivamente l'interiorità di coloro che tentano affannosamente di rincorrere questo modello senza riuscirci. Mi interessava questo più di tutto il resto. E poi ci sono un paio di scene in questa seconda parte del film che mi hanno fatto capire che Paolo ci avrebbe portato ben oltre la cronaca, grazie al linguaggio del cinema. Un elemento interessante dell'approccio è la distanza del personaggio dagli spazi della politica, Paolo lo affronta in questo Eden sardo, un luogo di sopravvivenza, dove la sopravvivenza si nutre di potere e il potere si alimenta di sopravvivenza, aspettando di poter rientrare in scena. Per documentarsi di queste cose è bastato viverle, non mi interessava tanto l'imitazione meticolosa quanto le indicazioni di natura simbolica.
Umberto Contarello, il faccia a faccia così pregnante tra Silvio e Veronica è nato dall'esigenza di rispecchiare il rapporto dell'Italia con Berlusconi o è stato una scelta artistica?
Umberto Contarello: Credo che in molti momenti della vita di coppia, sorpattutto quelli che preannunciano un addio, un lungo, doloroso addio, avvengano anche lunghe e dolorose discussioni in cui tutto emerge e tutto si intreccia, la vita privata, il passato, i misteri coltivati, le domande mai fatte. A proposito di quella scena vorrei fare i complimenti a Elena e a Toni che l'hanno interpretata con enorme verità e forza, con una dolenza importante. In una situazione come quella un deragliamento del discorso era inevitabile; è stata una scelta umana più che artistica.