Recensione Scott Pilgrim vs. the World (2010)

Edgar Wright attinge ancora una volta alle convenzioni di un genere, in questo caso la teen-comedy, per innovarle stilisticamente attraverso la contaminazione con altri linguaggi. Con 'Scott Pilgrim vs. the World' realizza una delle trasposizioni più efficaci dell'immaginario dei videogiochi applicato al cinema.

Life is just a (video)game

Cos'è la vita se non una corsa frenetica per passare al livello successivo? Un percorso a ostacoli, in cui è necessario progredire acquisendo abilità o competenze sempre maggiori? Uno scontro continuo, dove bisogna difendersi da nemici progressivamente più agguerriti e caparbi? La generazione dei "nativi digitali" (quella cioè nata e cresciuta a stretto contatto con dispositivi elettronici come computer e console) ha ormai introiettato le logiche dei sistemi informatici fino a concepire la propria stessa esistenza entro gli schemi rigidi e ricorsivi del pensiero binario. Al punto che i confini tra realtà materiale e virtuale cominciano ormai a perdere di significato. Il fumettista canadese Bryan Lee O'Malley, nato nel 1979, è un perfetto esemplare della tribù degli "esseri digitali", per dirla come Nicholas Negroponte. La sua graphic novel più apprezzata ha per protagonista l'imbranato ventitreenne Scott Pilgrim, bassista di un'improvvisata garage band, che per conquistare l'adorata Ramona Flowers dovrà sconfiggere in duello i suoi sette temibili ex ragazzi. È fuor di dubbio che Scott sia cresciuto negli anni Ottanta (quelli in cui imperversavano le console a 8-bit di Nintendo e Sega e i cabinati a gettone delle sale giochi, mentre i manga e gli anime giapponesi avevano già invaso l'Occidente) e l'intera sua esistenza è totalmente imbevuta della sottocultura geek.


L'operazione compiuta da O'Malley è per certi versi molto simile alla vena postmodernista di Joss Whedon, il quale ha riproposto nei suoi lavori le eterne tematiche adolescenziali, declinandole però secondo i nuovi linguaggi della pop-culture e ispirandosi soprattutto alle forme artistiche più bistrattate dalla critica come B-movies, fumetti e videogiochi. In mancanza di Whedon, tuttavia, risulta calzante la scelta di affidare l'adattamento cinematografico della saga di Scott Pilgrim al britannico Edgar Wright, classe 1974, che già si era dimostrato capace di riflettere con acume e ironia sulle convenzioni dei generi cinematografici.
Anche in Scott Pilgrim vs. the World Wright attinge alle consuetudini di un genere (in questo caso tutti gli stereotipi della teen-comedy) per innovarle dal punto di vista stilistico attraverso l'ibridazione con elementi inconsueti (questa volta gli stilemi dei videogame). Il risultato è analogo a quanto compiuto dal regista con le sue precedenti incursioni nell'horror (L'alba dei morti dementi - Shaun of the Dead, ma anche l'esilarante finto trailer Don't in Grindhouse) e nell'action (Hot Fuzz): brillante, sincopato, istrionico, originale in ogni singola inquadratura.
Lo stesso discorso vale per il cast: Wright dimostra ancora una volta di saper scegliere gli interpreti più adeguati, non solo per quanto riguarda i protagonisti Michael Cera e Mary Elizabeth Winstead, ma forse soprattutto per i comprimari (Brandon Routh nel ruolo di un rintronato bassista vegano, Chris Evans in quello di un egocentrico divo dell'action e Jason Schwartzman nelle vesti un odioso impresario discografico). Ma quel che più conta è che Scott Pilgrim vs. the World rappresenta senza dubbio una delle trasposizioni più efficaci al cinema di un certo tipo di immaginario da videogames (in particolare quello retrò di un paio di decenni fa).

A partire dal logo introduttivo della Universal realizzato in 8-bit, lo spettatore è immerso in una realtà che, pur recuperando anche l'espressività grafica del fumetto, riprende soprattutto con accuratezza tutte le caratteristiche tipiche del videogioco: progressione narrativa strutturata su livelli di difficoltà crescente; elementi grafici (come scritte onomatopeiche, simboli e icone) che irrompono dinamicamente e interattivamente nella scena; riproposizione di alcune figure retoriche come la perdita di una "vita" che fa ritornare nello scenario precedente, o l'utilizzo di "password" per sbloccare ambientazioni. Nonostante le citazioni videoludiche abbondino (da Super Mario a Zelda, fino ai più moderni "picchiaduro" e a Guitar Hero) Scott Pilgrim vs. the World non rinuncia comunque mai al gusto del racconto e all'empatia per i personaggi tipica del cinema di genere, realizzando così una fusione perfetta tra i due diversi linguaggi mediali.