La crisi qualitativa del cinema italiano è sotto gli occhi di tutti. Non è un'invenzione di Quentin Tarantino, e anche chi si fa in quattro per negarlo sa in cuor suo che il paragone con i film italiani di venti, trent'anni fa è imbarazzante. Il problema di fondo è forse un certo provincialismo che da molto tempo attanaglia il cinema nostrano. Il regista di Kill Bill e Grindhouse - A prova di morte è stato vittima di una gogna mediatica esagerata e senza senso, che ha forse influito sul forfait al Lido in occasione della rassegna Spaghetti Western.
Organizzata da Marco Giusti e Manlio Gomarasca, la rassegna non ha ottenuto il successo che meritava, complice un'organizzazione suicida. I biglietti non sono mai stati in vendita: per assistere a queste proiezioni era necessario un accredito oppure un pass gratuito distribuito alle casse, ma ovviamente queti terminavano dopo pochi minuti dall'apertura. Il risultato è stato inevitabile: primi arrivati che facevano incetta di biglietti e sale mezze vuote. Inoltre, il solito Tarantino avrebbe dovuto presenziare come padrino della rassegna, ma alla fine, come già scritto, non si è fatto vivo. All'inizio si è parlato di una lussazione a una vertebra, ma è molto più probabile che il regista americano abbia deciso di restarsene a casa per via della polemica sul cinema italiano.
Prima dell'inizio del Festival, la madrina Stefania Sandrelli si era lasciata andare a questa dichiarazione: "Tarantino è un babbeo, e questo solo per essere diplomatici. Non mi piacciono i suoi film, solo un po' Pulp Fiction". Forse sarebbe stato il caso di evitare una caduta di stile come questa, soprattutto dato il ruolo di madrina in uno dei festival più importanti del mondo. Prima di lei avevano dato il loro giudizio poco lusinghiero nei riguardi di Tarantino anche registi come Gabriele Muccino (che dopo lavori irritanti come L'ultimo bacio, Ricordati di me e un film girato negli States si crede Orson Welles), Marco Bellocchio ("Tarantino non può dare lezioni") e l'icona Sophia Loren, che commenta: "Come si permette di parlare del cinema italiano quando non sa nulla neanche del cinema americano..." (forse la Loren dovrebbe rivedersi Le iene e Jackie Brown).
In ogni caso ognuno ha diritto alle proprie opinioni, ma la stessa Sandrelli farebbe bene a dare un'occhiata ad alcuni dei suoi ultimi film e fiction: Caro maestro, Le faremo tanto male, L'ultimo bacio (appunto), Il bello delle donne, Ricomincio da me e Io e mamma; forse se il cinema italiano non fosse in crisi anche lei avrebbe recitato in un film degno di chiamarsi tale negli ultimi dieci anni.
Inoltre, parlare è sempre molto facile, così il 4 settembre ci si imbatte nella trasmissione W L'Italia - in diretta dalla Casa del cinema di Roma e si ascoltano le opinioni di alcuni personaggi dell'ambiente come Michele Placido, Elio Germano, Jasmine Trinca, Margherita Buy e Sabina Guzzanti, la quale pontifica e sposta la discussione sul piano politico, parlando della libertà nel cinema italiano (ma perchè?). Qui non si tratta di libertà, si tratta di idee e capacità.
In collegamento dal set del suo nuovo film interviene Virzì, la pellicola è Tutta la vita davanti e racconta di una ragazza laureata con lode in filosofia che fatica a trovare lavoro e accetta la proposta di un call center. L'Italia del precariato insomma, una novità.
Come non rimpiangere maestri del calibro di Mario Bava o Sergio Martino? All'epoca si parlava meno e si lavorava di più. I budget sono sempre gli stessi, è la passione ad essere cambiata, di pari passo con le competenze. Perché nessuno propone più un film di genere? Gli argomenti ci sarebbero anche (il fenomeno delle rapine in villa per un poliziesco ad esempio), gli attori capaci non mancano. Forse pochi produttori si lancerebbero nell'avventura di un western o di un peplum, ma perché non un horror? Senza effetti speciali digitali, senza ambientazioni imponenti, un film alla vecchia maniera: una buona storia e un grande lavoro tecnico e di messa in scena. Dagli Stati Uniti arrivano decine di horror ogni anno, e alcuni di questi sono dei buonissimi film, realizzati con budget modesti. Forse la soluzione è questa: un cinema meno impegnato e più tecnico, un cinema che nasce come intrattenimento e che potrebbe ridare fiato alle produzioni italiane.
E nel frattempo teniamoci i Muccino.