"Le storie erano tutto ciò che avevo. Adesso ho te"
Stephen King e Pablo Larrain, sulla carta un connubio impossibile. In pochi avrebbero scommesso di veder incrociarsi i cammini del maestro dell'orrore americano e del regista cileno fautore di un cinema politico crudo, doloroso e sconvolgente, eppure è successo. Non è un caso che, come evidenzia la nostra recensione di La storia di Lisey, la serie sia l'adattamento che più esula dal canone kinghiano e che dividerà nei giudizi gli spettatori. Le riflessioni che sorgono post-visione dello show in otto episodi, ogni venerdì dal 4 giugno su Apple TV+, non sono solo di ordine qualitativo, ma riguardano l'adesione della visione di Pablo Larrain all'omonimo romanzo di partenza e, più in generale, all'universo kinghiano. A questo va aggiunta la presenza dello stesso Stephen King come unico sceneggiatore dell'intera serie, aggiungendo complessità a complessità.
Stephen King ha dichiarato di essere molto legato a La storia di Lisey perché, pur non essendo uno dei suoi romanzi di maggior successo, affronta per la prima volta un tema topico: il matrimonio. E vista la lunga unione dello scrittore con la moglie Tabitha, a cui il libro è dedicato, il motivo per cui la storia gli stia a cuore è chiaro. Al centro de La storia di Lisey troviamo, infatti, la vedova Lisey Landon (Julianne Moore) che, due anni dopo la morte del marito Scott Landon (Clive Owen), scrittore celebre e molto stimato, si appresta a riordinare il suo studio e a catalogare le sue opere. La donna diviene, però, bersaglio di un ammiratore fuori di testa del marito, un "Deep Space Cowboy" nel linguaggio kinghiano, che insidia la sua incolumità presentandosi inaspettatamente a casa sua (questo sì, un classico nell'opera kinghiana in cui l'autore incanala fantasie e timori). Su questa base realistica si innesta un sostrato soprannaturale legato al passato di Scott Landon e a una misteriosa piscina sita in un'altra dimensione a cui viene attribuita la capacità di guarire rapidamente ogni ferita.
Un cast stellare, ma l'anima dello show è altrove
La storia di Lisey gode di una manciata di interpretazioni eccellenti. Non poteva essere diversamente con una protagonista come Julianne Moore, una delle migliori attrici in circolazione, e una spalla come Clive Owen, talmente magnetico da rubare la scena ogni volta che la telecamera lo inquadra. Se a loro aggiungiamo comprimari come Jennifer Jason Leigh, Joan Allen nel ruolo di Amanda, sorella psicotica di Lisey nonché personaggio tipicamente kinghiano, e un Michael Pitt di fronte a cui il termine "irriconoscibile" acquisisce un nuovo connotato si capisce che la potenza di fuoco impiegata dallo show è massima. Eppure le notevoli interpretazioni pesano solo in parte sul risultato complessivo della serie.
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L'impatto dello spettatore con La storia di Lisey, in particolare con i primi episodi, è segnato da un costrutto narrativo tanto raffinato quanto ostico. Fin dalle prime scene della serie veniamo risucchiati in una ragnatela di flashback. Presente e passato si intrecciano in un continuum che, seppur agevolato a livello visivo dal diverso taglio di capelli di Julianne Moore nelle diverse epoche, dà vita a un contrappunto che domina tutta la prima metà dello show. E non si tratta di un unico passato, ma di una sinfonia di passati che riguarda la storia familiare di Scott Landon e in parte anche quella di Lisey. Senza soluzione di continuità passiamo dalle varie fasi del fidanzamento e matrimonio di Scott e Lisey alla drammatica infanzia dello scrittore, offuscata dal difficile rapporto col fratello Paul e col padre padrone interpretato da Michael Pitt. Questa scelta narrativa, se da un lato valorizza la maestria registica di Pablo Larrain, dall'altra rischia di affievolire il coinvolgimento emotivo dello spettatore, troppo impegnato a districarsi nel legame tra gli eventi esposti e nelle immagini concettuali.
Estetica sublime e distacco emotivo
Pablo Larrain è un regista eccelso, basta guardare i suoi lavori precedenti per rendersene conto. Il suo approccio con la materia densamente emotiva di Stephen King risulta, però, distaccato, anche se visivamente splendido. Larrain compone immagini esteticamente perfette sfruttando il paesaggio mentale di Scott Landon ideato da King, dando vita a veri e propri quadri, composizioni romantiche dominate da cieli purpurei e incorniciate dalla vegetazione verde intenso del Maine autunnale. In aiuto del regista interviene la spettacolare fotografia di Darius Khondji che, insieme alle struggenti composizioni sonore di Clark, va a costituire un ulteriore punto di forza della serie. Alle immagini abbacinanti non sempre corrisponde, però, pari intensità emotiva.
Intendiamoci, i momenti di terrore puro non mancano. Pablo Larrain dosa i jumpscare in maniera efficace riservandoli ai momenti davvero topici, senza mai abusarne . Questa scelta ne amplifica l'efficacia. Se si guarda la serie nel suo insieme, però, la tensione emotiva che tiene unita la narrazione non è tanto di natura orrorifica quanto sentimentale. Il vero collante, ne La storia di Lisey, è il legame tra Lisey e il marito, un legame che supera il pregiudizio, la morte e la violenza travalicando dimensione terrena e ultraterrena. É in quest'ottica che Pablo Larrain opera valorizzando tutto ciò che possa rafforzare questo concetto visivamente e narrativamente. Perfino una citazione esplicita di Shining (di citazioni kinghiane, da Misery in giù, la serie è assai ricca), integrata astutamente da Stephen King nell'atipico viaggio di nozze di Scott e Lisey, si trasforma nell'ennesima occasione per suggerire quanto sia salda l'unione della coppia in virtù del mondo interiore da essi condiviso.
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La fede scricchiolante nel soprannaturale
Oltre a risultare concettualmente complessa per gli amanti dell'horror tout court, ne La storia di Lisey due forze contrapposte vanno a collidere: l'afflato realistico di Pablo Larrain e la dimensione fantastica creata da Stephen King. Che Larrain non sia a suo agio col soprannaturale lo si percepisce chiaramente in alcuni incursioni nella piscina, una dimensione parallela che segna il limen tra vivi e morti, ma anche tra passato e presente, e nel tratteggio del villain Jim Dooley. Nonostante il coinvolgimento del suo inteeprete Dane DeHaan, il personaggio di Dooley risulta ecceasivo e stereotipato. Villain a tutto tondo, la malattia mentale con cui Dooley viene bollato fin dalla sua presentazione lo incasella in una tipologia ben definita impedendo di lavorare su quelle sfaccettature che appartengono invece al personaggio affidato a Michael Pitt.
A un'attenta analisi si percepisce che Pablo Larrain sembra aderire alla risoluzione soprannaturale, che è poi la chiave di questa e tante altre storie di Stephen King, con uno sforzo volontaristico più che con vero trasporto. Questa caratteristica, dopotutto, lo accomuna al Re del Brivido ben oltre il previsto (si pensi ai finali monchi di romanzi come The Dome o lo stesso Shining). Questo inficia la qualità della visione? A nostro parere no. Tale e tanta è la ricchezza di ingredienti ne La storia di Lisey da permettere a ogni spettatore di trovare qualcosa con cui relazionarsi, che sia nella realtà o nel sogno.
Conclusioni
La nostra recensione de La storia di Lisey mette in luce come l'adattamento più distante dal mondo di Stephen King, seppur lo scrittore ne abbia firmato interamente la sceneggiatura, è anche il lavoro più raffinato e complesso nel recente corpus kinghiano. Forte delle eccellenti interpretazioni di Julianne Moore e Clive Owen, la serie mescola sguardo sul reale e afflato soprannaturale con risultati ambiziosi, ma problematici. Da vedere perché, nonostante il suo porsi fuori dai canoni, la ricchezza è tale che ogni spettatore troverà l'aspetto da valorizzare.
Perché ci piace
- Un cast stellare di protagonisti e comprimari.
- La struggente bellezza visiva delle immagini composte da Pablo Larrain.
- Le citazioni all'opera di Stephen King riproposte da uno sguardo nuovo e inedito.
- La complessità nella struttura narrativa mai banale né scontata...
Cosa non va
- ...che però rischia di distogliere l'attenzione dai momenti puramente horror raffreddandoli.
- Il regista non sembra pienamente convinto nella sua esposizione della dimensione soprannaturale.
- Il villain di Dane Dehaan è l'unico personaggio che sfugge alla complessità risultando stereotipato e poco originale.