Recensione Oscure presenze a Cold Creek (2003)

Cold Creek Manor si inserisce nella nuova, disarmante moda dei film di tensione holliwoodiani: l'horror/thriller light, l'horror/thriller che non spaventa.

La solita presenza, nella solita casa

Inconcepibile e degradante come la birra analcolica e il caffè decaffeinato, questo nuovo tipo di horror/thriller light sta diventando inevitabile, e purtroppo sempre più diffuso, nella società attuale, che costringe ad essere accettabile e di massa.
Se ci pensiamo bene, sono veramente pochi i film di genere che sono andati oltre la routine nell'ultimo periodo ed è molto grave per un tipo di film che deve rompere gli schemi, colpire, stupire, infastidire, per avere ragione di esistere.

In realtà, il titolo di questa recensione (così come quello italiano e il trailer del film, che lo presentano come la storia di una casa stregata) è fuoriviante: perchè di presenze, in questa Cold Creek, nemmeno l'ombra! Forse in consapevole, e giustificata, fuga da un set che non poteva dar loro soddisfazioni, le presenze, oscure o meno che siano, non sono presenti in questo film, e l'unica minaccia alla tranquillità della famiglia Tilson è il più che terreno vecchio proprietario, che rivuole indietro la sua proprietà.
Con un po' di cattiveria, potremmo osare dire che anche autori e attori latitano, ma cercheremo di essere più dettagliati e meno lapidari.

Mike Figgis non è certo uno sprovveduto, nè l'ultimo arrivato (suo l'intenso Via da Las Vegas), quindi la sua colpa potrebbe essere di aver affrontato con troppa leggerezza un genere che non padroneggia. Sicuramente, dal punto di vista registico, non c'è molto da notare: nessuna invenzione degna di nota, nessuna incisività, poca sicurezza nella direzione degli attori.
Ma forse, il vero punto debole è la sceneggiatura di Richard Jefferies, che cerca di concentrarsi sui personaggi, sulla loro psicologia, sulle loro interazioni, cerca di metterli al centro della vicenda, per partire da loro, ma fallisce nel costruire dialoghi e reazioni naturali e reali, rendendo forzato e poco credibile tutto il plot.

Non è certo aiutato dalla prova medio bassa degli attori, in primis Sharon Stone, fuori luogo e sperduta nel migliore dei casi, imbarazzante in più di una occasione.
Portano a termine, bene o male, il loro compitino sia Dennis Quaid che Stephen Dorff, nei panni del nuovo e vecchio proprietario di Cold Creek, ma non riescono a donare spessore e forza a due personaggi che già sulla carta non ne avevano.
Convenzionale anche Juliette Lewis nel suo solito personaggio da balorda, sul quale la sua carriera sembra essersi arenata, dopo aver lavorato con autori del calibro di Oliver Stone e Martin Scorsese.

Niente altro da notare in un film che si rifugia nel dimenticatorio non appena usciti dalla sala.

Movieplayer.it

2.0/5